Maaza Mengiste, Lo sguardo del leone (a cura di Giulia De Martino)

 

Maaza Mengiste, Lo sguardo del leone

Traduzione di Massimo Ortelio

Neri Pozza, 2010

 

Un medico di ospedale, la sua famiglia e i vicini di quartiere nella morsa degli anni tremendi tra il '74 e il '77 che videro la caduta di Hailè Selassiè e l'istallarsi della dittatura di Menghistu, e poi il primo costituirsi della resistenza al “Colonnello”.

Sono questi gli ingredienti di un avvincente romanzo, scritto in un linguaggio crudo e diretto che non risparmia nessuno. Ogni personaggio è frugato in tutte le sue sfaccettature, donando al lettore pagine di emozioni ed ansie come solo  i buoni scrittori sanno dare.

Ma la crudezza di certe scene, relative a pestaggi, torture, massacri individuali e di massa si unisce al poetico uso dei sogni, delle fantasie e dei deliri dei personaggi sotto la pressione di situazioni particolari.

A partire dal simbolo del leone che ritorna costante in molti punti della storia. È il Leone di Giuda della bandiera a cui pensa nella prigionia l'ottantenne imperatore, ormai impotente, a cui si stringe il cuore nel sentire il ruggito del suo leone preferito in gabbia e solo come lui. Travolto da un destino che sente più grande di lui, sente e vede solo gli angeli che lo salveranno da una situazione per lui dolorosamente intollerabile:la fine di una dinastia, discendente dal re Salomone, con più di tremila anni di storia, affossata da militari zotici e incolti, che non ne riconoscono più la sacralità.

E 'ancora un leone l'immagine che ricorre nella storia del piccolo Berhane, figlio di Daniel, un soldato ucciso perché non si è prestato a compiere un massacro, a cui la madre ha tenuto nascosta la morte per non fargli perdere le speranze. In groppa ad un leone immagina di cercare e trovare il padre. Sarà aggrappato alla sua criniera quando, torturato e ucciso, finalmente incontrerà suo padre, a cavallo di un bianco destriero nei prati celesti. Sul finale del racconto Dawit, uno dei protagonisti, vede un uccello selvatico sul dorso di un leone lanciato al galoppo verso casa, avvolto da una vivida ed abbagliante luce celeste.

Questo perché, sembra, che il sogno e la speranza, cerchino di sostenere la trama di una vita che si è fatta troppo buia, priva ormai di qualsiasi possibilità di uscita. Solo ad alcuni è dato di credere  ad un nuovo futuro combattendo, a quelli che diventano eroi, gli altri hanno bisogno dei sogni, della magia, delle preghiere e delle superstizioni per farcela.

Il dottor Hailu è uno di quelli che non sogna, abituato dalla scienza e dalla professione a capire le cose concrete, tangibili, finché la morte non lo tocca personalmente nella persona della moglie Selam: non vuole cedere alle sue richieste di non accanirsi terapeuticamente sul suo corpo, di lasciarla andare in pace. Questo evento lascia una traccia nella sua vita di tipico rappresentante della media borghesia, cresciuto all'ombra dell'imperatore e del suo tentativo di modernizzare l'Etiopia, sicuro dei tremila anni di storia e della capacità della dinastia di superare carestie e complotti di studenti illusi e militari da strapazzo. Per questo ha paura per suo figlio Dawit, studente di giurisprudenza,attirato prima dalle attività anti Hailè Selassiè e poi da quelle contro Menghistu, in nome della libertà e di un socialismo che il dittatore ha infangato con il suo dispotismo sanguinario. Ma non capisce bene neanche suo figlio Yonas, il primogenito, rinchiusosi, dopo la partecipazione ad un complotto fallito 14 anni prima, nel suo lavoro di professore di storia all'università e nelle preghiere assidue, La moglie Sara, figlia di combattenti della resistenza agli italiani, cova una sorda rabbia contro un dio crudele che gli ha tolto i genitori, due figli che il suo grembo non ha potuto trattenere e la malattia della piccola Tizzie, luce della casa. Un dolore sordo la porta ad atti di autolesionismo “religioso”, ma poi, di fronte a fatti di inaudita ferocia, commessi dal Derg, esce dal suo dolore individuale e approda alla resistenza insieme al cognato.

Dawit diventa il leggendario Mekonnen, sottraendo i corpi dei torturati e uccisi dal regime, scaraventati per le strade con l'interdizione a chiunque di procedere alla sepoltura, consegnandoli alla pietà delle famiglie. Ci metterà tempo prima di sparare e uccidere qualcuno, provando un'innata repulsione fisica, ma gli eventi decideranno per lui. Insieme a Salomon e a Anbessa,il”leone”,animerà le sorti della resistenza al Derg. In eterno conflitto con suo fratello Yonas che lui giudica un vigliacco per non essersi mai schierato, per non aver difeso il padre, quando questi cade nelle mani dell'esercito, per occuparsi solo della sua piccola vita in cui non sembra brillare nessun ideale, se non l'affetto per la famiglia. Proprio la prigionia del padre e la sala della preghiera, costruita da Hailu per Sellas e da Yonas assiduamente frequentata, risolveranno in modo imprevisto i loro dissapori.

Il fatto è che la vita del dottore viene sconvolta dall'arrivo, in ospedale, di una giovane donna: ha visionato molti corpi, sottoposti a sevizie o a colpi di arma da fuoco, ma la vista della ragazza è insostenibile. Stuprata e ridotta in condizioni disumane tocca qualcosa nel profondo del suo cuore e farà per lei quell'atto di misericordia che non aveva concesso a sua moglie, consegnandole una capsula di cianuro:la giovane stava infatti per migliorare un po'ed essere riconsegnata ai suoi torturatori.Ma Hailu non sa in che guaio tremendo andrà a cacciarsi, per il quale sarà imprigionato, torturato e poi rilasciato.

Durante quei cupi eventi  nessuno può più continuare come prima, anche chi pensa di mettersi, in qualche modo, al riparo: ognuno deve  recitare la sua parte, l'eroe Dawit -Mekonnen come l'opportunista assassino amico d'infanzia Mickey . Memorabile è il ritratto del militare grassoccio, apparentemente innocuo e bonario che fa carriera perché non dice mai di no ai capi del Derg, neanche di fronte alle peggiori efferratezze:trova nel potere militare la possibilità di rivincita da un destino socialmente mediocre e pieno di complessi.

Così come la storia di Lily, la ragazza di cui è innamorato Dawit, è emblematica di chi non vuol vedere veramente le cose come stanno, per non perdere il suo obiettivo personale, diventare un medico, accettando una borsa di studio a Cuba, offertale dal regime.A Dawit sembra impossibile avere amato teneramente questa donna .

Neanche il quartiere può essere più lo stesso, stretto tra il terrore e la voglia di sopravvivere:chi fa la spia sta meglio degli altri, ma c'è anche chi decide di non pensare solo al proprio tornaconto e rischia ,come il piccolo commerciante Melaku e perfino la fattucchiera Emama Seble.

Non c'è un vero e proprio finale ed è un bene, perché il lettore penserebbe inevitabilmente alla situazione dell'Etiopia oggi, a quanti ancora soffrono per la mancanza di libertà e scappano, a che fine hanno fatto tutte quelle sofferenze e speranze: chi libererà il paese dai suoi liberatori?

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