Taiye Selasi, La bellezza delle cose fragili, - Marie Reine Toe, Il mio nome é Regina, - (a cura di Rosella Clavari)

Taiye Selasi, La bellezza delle cose fragili

Einaudi, 2013

Marie Reine Toe, Il mio nome é Regina

Sonzogno, 2010

Presentando insieme queste due scrittrici intendiamo focalizzare due aspetti: la famiglia come nucleo vitale e microcosmo di una società in crisi e la loro natura cosmopolita. La stessa  Selasi ha coniato 8 anni fa il termine “afropolitan” riferendosi agli scrittori e scrittrici di origine africana che abitano fuori dall' Africa e hanno una mentalità globale,  pur conservando il legame affettivo con la loro terra.

Il titolo originale dell'opera di Taiye Selasi è Ghana must go, lo slogan con cui i ghanesi rifugiati in Nigeria venivano espulsi e di riflesso i capitoli del testo sono scanditi dal termine to go-going-gone. La traduzione italiana non è fedele a questa prima impronta, tuttavia l'autrice spiega che “la bellezza delle cose fragili”, si riferisce alla fragilità di una struttura come la famiglia, la fragilità e la sofferenza di legami sciolti e ricomposti nel tempo.
C'è senz'altro qualcosa di autobiografico nel testo della Selasi, personalità poliedrica che ha attraversato vari paesi del mondo: di padre nigeriano e madre ghanese ha vissuto dapprima in Gran Bretagna, poi in America dove ha compiuto i suoi studi, in India che è un po' la sua patria elettiva e dove si reca spesso, in Italia dove si è sposata due anni fa e ora è di nuovo in partenza verso la Danimarca.  Ricco il suo curriculum: conosce molte lingue tra cui il latino e l'italiano che parla perfettamente, è una musicista e ha scritto sceneggiature sia per il cinema che per la tv.   

Kweku, il padre protagonista del romanzo, come molti ghanesi ha lasciato il suo paese e si è trasferito a Boston. E' sposato con Fola da cui ha avuto quattro figli, il primogenito Olu che ha seguito le sue orme con la professione di medico, i gemelli di sorprendente bellezza Taiwo e Kehinde e l'ultimogenita Sadie, strappata alla morte nei primi giorni di vita; è proprio con la morte che si fanno i conti fin dall'inizio del libro, anche se si parte dalla fine per ricongiungersi nell'ultimo capitolo a questo evento.
Kweku, sta morendo solo nel giardino della sua casa in Ghana, dove si trova con la seconda moglie Ama, in tutto e per tutto diversa da Fola. Ama è tutto ciò che può desiderare un uomo: una donna felicemente appagata, che non chiede mai niente e che dirige silenziosamente la vita del marito. Fola è la donna vivace, che si mette in discussione e che ama discutere con il suo uomo.
Due parti femminili difficili da gestire insieme, l'arrendevolezza, la sottomissione e la vivacità. La donna semplice e felice è un po' il desiderio utopistico della Selasi, come afferma lei stessa in un'intervista, ma riconosce di somigliare a Fola. Molti vedranno forse in Ama la proiezione di un desiderio maschile, la donna che non chiede troppo ed è disposta soprattutto a dare. 
Continuando la nostra lettura, il testo si presenta con continui salti tra presente e memoria, seguendo una struttura musicale come afferma la Selasi: “il primo è un largo, il secondo una marcia, il terzo un allegro con il punto di vista che cambia continuamente”; si passa infatti dalle riflessioni sul padre e la madre alle  diverse prospettive dei figli nei confronti dei genitori e tra di loro. I figli vivono in diversi modi il trauma dell'abbandono del padre e si allontanano tra di loro, rivendicando la propria personalità: Olu, il più inquadrato nella società,i gemelli e Sadie più conflittuali e fragili.
Perché Kweku ha lasciato Fola?  Più della sua morte è questo a sorprenderci. Accusato ingiustamente della morte di un paziente e licenziato subito dopo, non rivela ciò alla moglie.
Ferito nell'orgoglio da questo atto di razzismo, medita e attua la fuga dalla sua famiglia, lasciando sua moglie sola e nei debiti.
Qui l'autrice mette in rilievo in Kweku l'ideale irraggiungibile- una posizione onorata nella società americana- che cozza contro la semplicità dell'affidarsi totalmente all'altro, in questo caso alla moglie Fola, il suo orgoglio ferito che costringe vigliaccamente alla fuga anziché alla confessione della propria sconfitta, dell'ingiusta accusa. Quello che succede di sbagliato nel piccolo nucleo di una famiglia, allargato a macchia d'olio nella società è la causa dei confilitti e delle incomprensioni.
L'autrice con un'eleganza e un preziosismo letterario di rara bellezza, ci introduce nella vita e nella psicologia dei figli, svelando le loro paure, le loro cadute e il loro ritrovarsi proprio in occasione di quella morte improvvisa del padre per infarto. La madre è lì ad attenderli, nella grande casa  in Ghana, l'Africa ritrovata dopo l'America conosciuta.


Nel  primo romanzo di Marie Reine Toe, invece,  “Il mio nome è regina”, presentato dopo tre anni dalla sua prima pubblicazione, notiamo l'assenza di una ricerca letteraria stilistica ma il pregio di una sincerità e trasparenza sulla sua vita, in una sorta di diario-documento: una descrizione senza veli e impietosa sulla sua graduale discesa in un mondo privo di moralità per rinascere a nuova vita, coltivando anche un'impegno sociale che la vede tuttora attiva. Vive in Italia dal 1991 e attualmente si occupa di un progetto per combattere la malnutrizione infantile. Ha in comune con la Selasi il fatto di provenire da una famiglia benestante- il padre funzionario d'ambasciata - che dopo l'ascesa di Sankara in Burkina Faso, si trova dalla parte degli spodestati, quelli del vecchio regime di Saye Zerbo.  Il padre non supererà mai quel trauma, verrà torturato e poi riconsegnato alla famiglia nei giorni del terrore, in uno stato pietoso da cui non si riprenderà più affogando nella solitudine e nell'alcool i suoi ultimi giorni. 
La figlia rievoca i momenti lieti passati con la famiglia : l'infanzia felice in Cina, la visita al villaggio in Burkina con la presenza carismatica della nonna materna; la madre entrerà in conflitto poi con la nonna a causa del rifiuto della pratiche tribali di circoncisione femminile a cui vorrebbe sottoporre la piccola Reine, allontanando la figlia da lì; “un altro legame della famiglia si spezzava per sempre” annota la giovane ricordando anche la crisi coniugale dei genitori cui non gioverà nemmeno la nascita del terzo figlio.
Dietro interessamento del padre che ha un fidato amico italiano, la ragazza partirà per l'Italia per compiere i suoi studi e crearsi un avvenire migliore. Ma il percorso sarà molto accidentato e non così lineare: a Pescara vivrà presso una famiglia italiana da cui si allontanerà in seguito notando anche l'assenza di amore e rispetto tra i componenti di quella famiglia, a Genova nelle zone losche e di malaffare, a Perugia dove infine compirà i suoi studi. Prima di approdare all' università, Marie Reine cercherà in altri modi di sbarcare il lunario, “toccherà il fondo” come lei stessa  ha affermato.  Dopo aver accettato il lavoro di cubista in una discoteca, avverrà la graduale discesa nell'ambiente della droga e dell'alcool, confortata da ragazzi benestanti e affettuosi nei suoi confronti ma anche da personaggi privi di scrupoli.
La morte del padre è stata una netta linea di demarcazione tra il suo passato e il periodo in cui ha cercato di stordirsi per cacciare via il dolore ricorrendo all'alcool, alla droga, alle esibizioni in locali equivoci come cubista e spogliarellista.  Ma nel cuore conserva sempre un angolo per la sua passione preferita, lo studio; fin da piccola amava leggere e raccoglieva i libretti che trovava sulle bancarelle al mercato, romanzi a cui mancava spesso l'inizio e la fine delle pagine, così poteva sopperire con l'immaginazione alllo svolgimento di quelle storie; romanzi strampalati come la sua vita forse ma che le facevano compagnia.
Studiando si rende conto che la passione per le storie  è rimasta viva in lei, per maturare poi in analisi dei fatti storici con un particolare indirizzo giornalistico. L'agognato permesso di soggiorno che verrà facilitato da un suo ex fidanzato, le permetterà di iscriversi alla facoltà di Scienze Politiche dove inizierà la nuova parte della sua vita.

Parlavamo all'inizio dell'importanza data alla famiglia in queste due autrici, come nucleo di formazione dell'essere umano e come microcosmo della società. In un passo del libro, i giorni della rivoluzione con l'ascesa di Sankara, ciò viene evidenziato: “Restammo a casa. Nascosti.  Per cinque giorni. Noi bambini ci organizzammo. Trasformammo la camera dei miei nella nostra tana, dividendola in tante aree diverse  e giocando a costruirvi una nostra piccola società, con le sue tribù e i suoi clan che variavano secondo il giorno e l'umore: io e Albertine contro tutti, oppure io e i miei fratelli contro i cugini. Senza rendercene conto, stavamo riproducendo in piccolo le divisioni del nostro Paese”.  
 

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