In cerca della liberta di Nabil Ayouch-recensione a cura di Silvana Turco

In cerca della libertà

In cerca della libertà , questo si potrebbe anche solo dire del  regista proveniente dal Marocco , Nabil Ayouch  ( nato a Parigi) conosciuto, a livello internazionale, meno in Marocco.

Le sue opere, che hanno tutte un’ispirazione alla libertà e al rinnovamento, sono state distribuite in vari paesi , ma non in Italia . Un’occasione preziosa è stata la presenza del suo film “Razzia” al  Medfilm festival  svoltosi a Roma ( novembre 2011).

Si tratta di un’opera corale che intreccia, con maestria,  cinque racconti in due epoche diverse, dove l’autore dimostra la sua profonda sensibilità nei confronti dell’animo umano e del vivere le contraddizioni  del suo mondo. L’inizio è nel 1982 in un villaggio sperduto dell’Atlante, dove un maestro coraggioso è costretto a sottostare alle direttive statali che impediscono di insegnare in lingua berbera, che è l’unica compresa dagli allievi e, sconfitto, deve abbandonare tutto e tornare nella natia Casablanca.

 Un’altra storia, nella città marocchina del 2015, ha per protagonista una donna che ha un grande slancio e coraggio  nell’affermare le libertà e i diritti delle donne, così tenacemente avversate dalla società: nel vestire, nel comportarsi, nel professare le proprie idee.

Altra storia è quella di un giovane ebreo , proprietario di un bar-ristorante, che vive di sogni e di speranze deluse dalle barriere religiose presenti nel paese. Incertezze e frizioni psicologiche sono rappresentate negli adolescenti  divisi tra realtà culturale attuale e proiezioni di culture “altre” provenienti dal mondo globalizzato. Un clima di forti tensioni  che sfocia poi nelle rivolte urbane di quegli anni. Mentre fuori infuriano le manifestazioni, anche violente, dei giovani che innalzano barricate, nel bar di Casablanca si rievoca il tema del famoso film sulla resistenza francese nella seconda guerra mondiale, con Humphrey Bogart e Ingrid Bergman , che il protagonista si illude sia stato girato lì. Ma c’è la caduta delle illusioni, si sa che il film è stato girato a Hollywood in una ricostruzione , è bello continuare comunque a sognare. Tutte le illusioni si infrangono al cospetto della realtà e una scintilla alimenta il fuoco di ciò che esplode nella città.

Molti film di questa epoca mettono poi in scena le rivolte della cosiddetta “primavera araba” ed insieme tutto il disagio e la disillusione degli artisti,gli  intellettuali che assistono, anche da lontano, e cercano risposte , ma sempre nella riaffermazione dell’identità di questo loro mondo, che anche storicamente è sempre stato aperto e tollerante, e ora vive una grande crisi.
 

La cinematografia marocchina ha origine alla fine degli anni ’60, con illustri precedenti nei documentari dei fratelli Lumière del 1896 , ma la sua maturazione è avvenuta dopo l’indipendenza dal protettorato francese. Tutti i generi sono stati frequentati, dal teatrale e musicale, d’ispirazione egiziana, all’ambito sociale  che esplora con passione i rapporti fra vita di città e campagna come  in “ Tracce” del 1970 e “Mille e una mano” del 1972. Con una particolare attenzione all’identità nazionale questo cinema si oppone al colonialismo culturale dell’occidente e le tematiche principali  hanno condiviso poi quelle contemporanee di tutto il cinema mondiale , dai road movie, “ La sorte” del 1997, al thriller e al noir, alla contaminazione dei generi con opere di grande qualità riconosciute a livello internazionale e presenti in tutti i più importanti festival cinematografici. Da sottolineare infine che , da sempre sono state partecipi, a tutti i livelli, donne autrici, registe, sceneggiatrici, attrici e operative nell’ambito della produzione .

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