Yasmina Khadra- Il pazzo col bisturi- recensione a cura di Giulia De Martino

 

 

 

 

Yasmina Khadra

Il pazzo col bisturi

Edizioni del Capricorno, 2017

traduzione di Roberto Marro

 

Compare in Italia, nel 2017, questo polar che ha visto la nascita in Algeria nel 1990 in forma anonima e in Francia nel 1999 con lo pseudonimo di Yasmina Khadra, dopo la pubblicazione della trilogia delle inchieste del commissario Llob: i lettori che già lo conoscevano e ne avevano appreso il pensionamento triste e nostalgico, si ritrovano qui con le origini di  questo personaggio.

La casa editrice del Capricorno, aprendo una nuova collana dedicata al ‘giallo’, ha inserito quella che, a tutti gli effetti, è la prima avventura ad Algeri del commissario uscito dalla penna di Mohammed Moulessehoul che continua, dalla Francia in cui si è trasferito, a firmarsi con il suo pseudonimo, con cui è ormai conosciuto in tutto il mondo. Rimandiamo, per chi volesse saperne di più, ad un nostro approfondimento del 2012 sul noir africano uscito in traduzione italiana, presente nel sito.

Vediamo all’opera un poliziotto  triviale e ignorante, sboccato nel linguaggio e nei pensieri più di quanto appaia nei successivi romanzi, quasi che l’avanzata del terrorismo islamico e della guerra civile, contesto in cui avvengono le inchieste di Llob, lo abbiano reso in seguito più riflessivo e malinconico, forse per sottolineare la sua estraneità alla barbarie dilagante nel suo paese. Ma la caratteristica di commissario onesto e integerrimo resta, anzi sono le qualità che lo fanno scegliere come amico e confidente telefonico del ‘pazzo col bisturi’, che gli preannuncia e descrive nei minimi particolari i suoi omicidi.

La vicenda di per sé non è un granché originale, anche se il lettore la segue con trepidazione fino all’ultima riga per sapere ‘come va a finire’.Il legame tra  poliziotto e  assassino è il soggetto anche di diversi film,  l’incorruttibilità del primo è un dato costante di questa tipologia di personaggio, un po’ Sanantonio e un po’ Philip Marlow, di cui condivide le disillusioni, il disincanto , un po’ di cinismo e un certo maschilismo.

Ma il vero interesse non sta in questo: c’è una sorta di identificazione di Llob con il killer. Hanno provato le stesse umiliazioni, hanno toccato con mano una società corrotta che senza alcuna pietà e con arroganza schiaccia la povera gente, pur di mantenere i propri privilegi e non ammettere mai i propri errori. Il contesto è quello dell’Algeria, alle soglie dello scoppio della guerra civile: ci sono nel testo numerosi rimandi alla realtà sociale ed economica del paese, sui giovani, privati di beni materiali e ideali, sui quartieri dei nuovi ricchi, sorti sulle macerie del Fronte di liberazione nazionale e ingrassatisi alla sua ombra, sul senso di impunità delle classi dirigenti e di chi li sostiene, convinti di poter commettere qualsiasi sopruso grande o piccolo che sia, senza essere mai chiamati a pagarne le conseguenze.

Il lettore vede agire Llob, il commy, come lo chiama scherzosamente il suo braccio destro Lino, al volante della sua modesta Zavasta, la macchina prodotta dalla Jugoslavia di Tito e assai venduta in Algeria tra la gente non altolocata: attraversa quartieri in cui si stenta a credere che ci sia gente che li abiti, fa indagini in appartamenti di una povertà dickensiana o in lussuosi immobili provvisti di ogni ben di dio che fanno sgranare tanto d’occhi agli agenti di polizia che non potevano nemmeno sospettare un benessere simile. Il loro commissariato, invece versa nell’indigenza, a parte la stanza del Capo, ipocrita e leccaculo, come Llob lo definisce, arredata con mobili d’importazione e piena di comodità. La descrizione degli ospedali poi, un campionario di immagini da terzo mondo…

Nella sua amarezza, Llob trova conforto solo nella sua famiglia, soprattutto nella moglie, la bella e intelligente Mina , che lui ama teneramente, con un certo fondo di egoismo: lei ha rinunciato alla sua carriera e alla sua libertà per stare appresso ad un orso, facile all’ira e bisognoso di coccole come un bambino.Come avete visto non è un personaggio gradevole, ma ci affascina la sua intransigenza, la sua lealtà ai valori emersi durante la guerra di liberazione,anche ai valori tradizionali appresi dal padre. Perché scrivo in francese, anziché in arabo, chiede ai suoi lettori il commissario Llob , che narra le sue avventure in prima persona? Perché , quando lui ci è andato,  semplicemente non si insegnava l’arabo  nelle scuole e ha, creduto veramente, a” nos anciens les gaulois “e il francese è restata la sua lingua.

Molto autobiografico questo primo testo delle inchieste del commissario Llob: l’autore sente che il suo paese è una polveriera pronta ad esplodere e il suo poliziotto incarna queste sensazioni, valutando la triste storia del killer: “Sono cresciuto nel disprezzo degli altri, all’ombra del mio rancore, ossessionato dalla mia infima irrilevanza, sopportando con rassegnazione come una concubina il suo aborto, sapendo che un maledetto giorno partorirò un mostro chiamato Vendetta e che infangherà il mondo di orrore e di sangue”. Non è solo del killer che si parla, è della sua Algeria, e una voce sepolcrale nella sua testa ripete incessantemente:” Che cosa è un criminale, se non lo zimbello, poi il capro espiatorio dei suoi stessi giudici?”  Ovviamente la storia del killer la apprenderete leggendola...

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