Ali Bécheur- I domani di ieri - recensione a cura di Giulia De Martino

Ali Bécheur

I domani di ieri

Francesco Brioschi editore, 2019

traduzione di Giuseppe Giovanni Allegri

 

Prima una carriera di brillante avvocato, poi l’approdo alla letteratura dopo le illuminanti letture di Garcia Marquez, Céline, Proust - per citare gli autori che hanno contato di più per lui - è quanto emerge in più interviste sull’ottantenne Ali Bécheur. Insignito di numerosi premi nazionali, in Francia è forse il maggiore scrittore tunisino contemporaneo in lingua francese. La Tunisia, a differenza del Marocco e soprattutto dell’Algeria,  ha stentato a far conoscere all’estero i propri scrittori francofoni, a parte l’exploit di Albert Memmi e pochi altri. In effetti, la letteratura in francese si è sviluppata a rilento, forse perché la lingua araba non è stata cancellata nelle scuole e nelle università come è successo per  l’Algeria.

Questo romanzo si configura come un ininterrotto colloquio con il  padre morto e con la propria infanzia e giovinezza , trascorsa durante il protettorato francese e i primi anni dell’indipendenza.

Ed è un discorso tutto al maschile: ci sono, è vero,  mogli, madri, amanti, prostitute, amiche di una notte e amori mai consumati, se non nel sogno o nel desiderio; ma sono i maschi i protagonisti delle pagine di questo testo. Colpisce come l’autore dia ampio spazio all’analisi del desiderio maschile: dopo i cinque anni passati a Parigi da giovane, l’attraversamento del desiderio, senza più i limiti colpevolizzanti della religione e della educazione tradizionale, strappa lo scrittore all’adolescenza e lo consegna ad una vita più matura, ma non ancora all’amore. Perché c’è qualcosa che trattiene la crescita del protagonista: il silenzio dei sentimenti, l’incapacità di porre domande all’altro e di predisporsi ad accettare le risposte, attitudini negative, secondo lui,  apprese da un padre autoritario e severo, assai parco di lodi, insensibile agli slanci affettivi. Atteggiamento dovuto senz’altro ad una educazione culturale patriarcale che non solo pratica la divisione dei sessi, generando una difficoltà negli approcci personali tra uomo e donna, ma che giudica vergogna, per i maschi,  esternare l’intimità dei propri sentimenti. Il giovane comincia a comprenderlo quando si distacca dal padre e dal suo ambiente.

E’ dunque contro questo padre che si scaglia rabbiosamente l’autore da giovane, ritrovando in sé certi elementi paterni dai quali fa fatica a liberarsi, anche se, ad un certo punto,  frappone tra lui e il genitore la distanza della migrazione in Francia. Non ce la fa più il ragazzo a sentire su di sé l’eterno sguardo di disapprovazione del padre: non sarà mai quello che lui gli chiede di essere. Più il padre lo schiaccia con il suo esempio, più il figlio assume atteggiamenti estremi, tacciando, dentro di sé -  il suo è un ribellismo di atti, non di parole - il padre di perbenismo piccolo borghese, di ipocrisia e adeguamento alle consolidate e obsolete convenzioni sociali. Ma il punto  è proprio questo: lo sfondo storico-sociale in cui è vissuto il padre Omar.

Veniamo, perciò, all’altro filone del romanzo: la storia della Tunisia che fa da sfondo alle vicende delle famiglie paterne e materne del protagonista. Ancora una volta le storie private narrano la Storia. Il piccolo Omar, suo padre, destinato ad un brillante avvenire,  è figlio di un barbiere della medina di Sousse, suo fratello è un fruttivendolo al suq. La famiglia appartiene a quella classe di piccoli artigiani, minuti commercianti, tutti analfabeti- a parte qualche imam-  posti sotto il giogo del protettorato francese. Il nonno Ali è fiero che suo figlio sia bravo nella scuola coranica, ma scopre che lo è anche nella scuola dei francesi, perciò un maestro  ne perora la prosecuzione negli studi presso il prestigioso collegio Sadiki.

E’ fatta: comincia  l’inarrestabile ascesa di Omar che si fa largo tra gli alunni francesi e poi anche fra i maggiorenti locali, diventerà un famoso avvocato, capace di difendere gli esponenti della élite tunisina ma anche i bougnoules, i fellah, gli arabi poveracci insomma, distribuendo a tutti il suo senso del diritto, della giustizia e della libertà.  Diviene un monumento così grande, che per il figlio, passeggiare con il padre, costituisce un momento imbarazzante: tutti lo riveriscono, lo  invitano, lo ammirano, lo ringraziano di qualcosa. Lui, il rampollo,  non è altro che l’anonimo leoncino, figlio del magnifico Leone.

Se i bisnonni e i nonni sono ritratti all’epoca dell’inizio del protettorato, i genitori e gli zii rientrano nel periodo delle due guerre mondiali e della devastante occupazione nazista. Argomento parecchio insolito per un europeo, abituato a conoscere solo una parte della Storia.

L’adolescente figlio di Omar comincia l’ apprendistato politico  con il suo amico Amin, durante le lotte per l’indipendenza, apprendendo della nascita del neo-destur , il nuovo partito di Bourghiba, che entra ed esce da processi e internamenti carcerari a causa dei suoi  atti rivoluzionari in favore della libertà della Tunisia. Gli ultimi capitoli ci presentano i periodi di trasformazione di Bourghiba da padre della patria a dittatore e del passaggio al potere di Ben Ali, fino alla cosiddetta  rivoluzione dei gelsomini. Ma il protagonista vi presta scarsa attenzione, teso com’è a giocare tra le stradine con gli amici d’infanzia, all’insegna di un metissage notevole: figli di francesi di ogni provenienza, maltesi, siciliani, ebrei, spagnoli, rifugiatisi in Tunisia durante la guerra civile del ‘36. E quando diventa  preda, in seguito, dei suoi ormoni in crescita nulla sarà più interessante che sbirciare le tettine che spuntano dalle magliette delle figlie dei Preponderanti o i fondoschiena che aggettano dagli aderentissimi pantaloni, procurando sogni erotici a non finire. La mescolanza però s’interrompe al momento della pubertà, ognuno rientra nei ranghi segnati dalle rispettive condizioni: o si è Preponderanti o bougnoules , non si possono travalicare i confini dei quartieri e dei luoghi di svago a ciascuno deputati. Solo il bordello conserva la mescolanza: le puttane non fanno questione di pelle o di provenienza.

Più l’autore cerca di rievocare l’infanzia e la giovinezza, più queste gli sfuggono, in quanto irrimediabilmente passate: ci si accontenta, dice,  di una infanzia immaginaria, di ricordi falsificati e non proustianamente evocabili. Tornato in Tunisia, il protagonista vive una vita dominata dalle disillusioni,  vede gli amici in cui aveva creduto, passare dalla parte del potere, farsi largo pur di accaparrarsi un pezzo della torta; osserva suo padre, il colosso che ha  sempre saputo cosa fare e cosa dire in ogni circostanza, rifluire in una vecchiaia smemorata, apatica e solitaria, sua madre continuare la abitudinaria sottomissione a cui è stata educata. Ali, ormai professore e padre di famiglia, abita nella capitale e torna raramente nella sua cittadina, fino alla notizia della sorella: nostro padre è morto.

Ma qualcosa è cambiato, ora non c’è più la distanza delle generazioni che li aveva resi lontani e nemici, ora anche il figlio è avviato alla vecchiaia e può considerare senza rancore la vita di suo padre, riconciliarsi con la sua immagine, intuendo che in ogni uomo occorre proteggere la zona d’ombra, attorno a cui si è strutturata la sua vita.  Chi era stato veramente suo padre? Come si può ricostruire la vita di chi è scomparso? Frugando tra le sue cose, leggendo postumo  quello che non ci ha consegnato in vita? Ogni uomo ha diritto all’oblio. La pacificazione è solo dentro di noi.

Ci vuole tempo e calma interiore: solo con le onde lunghe una rivoluzione diventa tale, questo vale per lui come per la rivoluzione dei gelsomini. “E’ dentro le nostre teste che bisognerà fare la rivoluzione, prima di tutto”. 

Un testo veramente denso, ricco di riflessioni e sfumature, reso in una lingua precisa, che ricorre spesso ai procedimenti anaforici, in grado di rendere poetica la storia. Ci si perde volentieri in questi cantilenanti elenchi di aggettivi ed espressioni. Soprattutto ci si rende conto che il francese è proprio la sua lingua, nutrita di echi letterari di diverse provenienze ed è con questa scelta che ci presenta una Tunisia araba, ma con una forte vocazione multiculturale, dovuta al suo passato stratificato: fenici, greci, romani, vandali, berberi, arabi, turchi, francesi, italiani, ebrei sefarditi e altri ancora. La descrizione di Sousse durante gli anni ‘30-’40 ne è un mirabile esempio.

Il tema della rivolta contro i padri, ma anche della riconciliazione sta diventando  comune  tra gli autori di origine nordafricana e costituisce una riflessione interessante che chiarisce meglio le motivazioni delle generazioni attuali.

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