Waguih Ghali- Una birra al circolo del biliardo- a cura di Giulia De Martino

 

 

 

Waguih Ghali

Una birra al circolo del biliardo

 Francesco Brioschi editore, 2019

 traduzione dall’inglese di Ada Arduini

 postfazione Elisabetta Bartuli

 

E’ con piacere che presentiamo una autentica chicca letteraria: un originale testo di un autore egiziano, scritto in inglese nel 1964 e suo unico romanzo. La interessante storia editoriale ce la racconta Elisabetta Bartuli nella sua postfazione, quando ci informa come il libro passi da un iniziale promettente successo nel mondo anglosassone, che si evidenzia in numerose e continue ristampe, ad un perenne disconoscimento in Egitto, nel periodo di Nasser e Mubarak, anche tradotto in arabo.

E’ solo con l’esplosione giovanile di Piazza Tahrir che il romanzo diventa diffuso e amato da quella generazione di giovani che aveva lottato per il cambiamento: si sente, anche a distanza di cinquanta anni, la carica eversiva e disperata di Waguih Ghali, assurto a novello giovane Holden.

Ghali  come Salinger, attraverso i loro protagonisti, non hanno nulla da insegnare di propositivo o rivoluzionario se non esporre la dimensione di forte disagio e ribellismo espressa dai loro personaggi.

Non è estranea all’attuale successo di Ghali la consapevolezza di come questo autore, morto suicida nel 1969, abbia pagato con un esilio e un vagabondare incessante in molti paesi d’Europa, principalmente in Inghilterra, la sua resistenza personale (e potremmo dire prepolitica) all’establishement del periodo nasseriano, alle delusioni politiche di fronte alle contraddizioni del socialismo e, soprattutto del comunismo.

Ma il testo è di una modernità sconcertante per i tanti temi che offre: globalismo, pacifismo, l’appartenenza multiculturale e il problema identitario, i diritti dei paesi ex-colonizzati, l’eterno problema di Israele.

Il protagonista Ram proviene da una famiglia copta in dissesto finanziario, inglobata in un sistema di aiuti famigliari dei parenti ricchi che non possono tollerare che un membro di un grande clan latifondista possa sprofondare. Ram e la madre spendono e spandono quanto viene loro elargito da sorelle e zii restati saldamente in possesso dei loro averi, anche dopo qualche tentativo di riforma di Nasser, avvicinandosi alla casta militare al potere che sta sostituendo quella aristocratica latifondista di monarchica memoria.

Il demone del gioco d’azzardo ( poker o biliardo poco importa) possiede il giovane rampollo, così come era successo al padre, causa della rovina del suo nucleo famigliare, ma non si fa mancare neanche una funesta tendenza all’alcolismo e a  una certa dissolutezza di costumi sessuali.

In realtà, il giovane utilizza questi comportamenti per sbeffeggiare di continuo la sua classe di appartenenza e quella della grande borghesia ebraica, che frequenta assiduamente, soprattutto attraverso la conoscenza di Edna, una bella, colta, cosmopolita e politicizzata  ebrea.  Di lì a poco gli ebrei, gli inglesi e i francesi lasceranno Il Cairo e Alessandria, dopo la nazionalizzazione del canale e le avvisaglie di una eterna guerra con Israele. Restano sullo sfondo i fellah, che sono la maggioranza, con la loro miseria e le loro sofferenze.

Ram, Edna e Font, un amico fraterno del protagonista, formano un trio formidabile, esemplari di una classe sociale che parla e conosce poco l’arabo, studia nelle scuole francesi e inglesi, frequenta università estere,  parla in un miscuglio di lingue e culture: in particolare Ram è innamorato della lingua e letteratura inglese. I due giovani amici leggono e discutono di tutto, testi letterari, filosofici, storico-politici, ma la loro resta una cultura di libri che non si fa mai carne e vita vissuta. Font, più riflessivo, cerca di ovviare iscrivendosi al partito clandestino comunista, lo segue per poco l’amico, disgustato ben presto da ciò che avviene in Unione Sovietica.

Per un periodo vivono tutti e tre  a Londra. A Ram sembra finalmente di non stare più soltanto dentro un libro letto, ma nella vita vera che ha sempre sognato di sperimentare. Scopre però il sostanziale imperialismo, razzismo e classismo di molti inglesi, come aveva già individuato al momento della crisi del canale di Suez, che lo aveva momentaneamente avvicinato al nasserismo.  Paradossalmente, proprio quando, a Londra, sta nel centro dei suoi desideri, scopre meglio la sua egizianeità e si percepisce estraneo a quella realtà, per tanto tempo agognata. Badate bene, si sente egiziano, non genericamente arabo, perché l’appartenenza alla antica comunità cristiana copta lo mette al riparo da un generico panarabismo, sostanzialmente musulmano.

Ma allora lui chi è? Perennemente peregrino tra usanze di privilegio della sua classe, humour egiziano, appartenenza a gruppi clandestini che cercano di informare il pubblico nazionale e internazionale sulle nefandezze e crudeltà della repressione di Nasser, tra uno straordinario legame d’amore con Edna e amoreggiamenti con prostitute e donne che non lo interessano per niente.

Nella maggioranza dei casi, nell’impossibilità di scegliere una appartenenza o di risolvere qualche doloroso dilemma  preferisce tuffarsi al circolo del biliardo, avviare una giocata d’azzardo con due formidabili amici-nemici armeni, oppure darsi a una colossale ubriacatura di whisky, di cognac o di birra inglese da cui si risolleva peggio di prima. Non riesce a vivere la politica come Font o Edna.

I pensieri solleciti nei confronti delle classi povere si annegano anche loro nell’alcol.

Il finale ci dice che rientrerà nella classe sociale da cui proviene grazie a un matrimonio con una ricca signorina, peraltro bella e sessualmente desiderata, conosciuta da sempre, facendo quello che tutti si aspettano da lui: non si troverà un lavoro che gli dia da vivere ( da sempre aborrisce un quieto impiego statale) come il suo amico Font, vivendo alle spalle sia della famiglia d’origine che di quella acquisita.

Un personaggio pieno di slanci e di ambiguità, una contraddizione vivente, specchio della vita reale dell’autore, che si concluderà con un suicidio.

Si critica tutto e anche ci si piange addosso, ma con uno stile pungente e pieno di sorprese stilistiche. Un libro triste, dunque? No, ma triste e divertente ad un tempo, pieno di osservazioni acute e di azioni sciagurate, scritto in un linguaggio sempre ironico, anche quando sembra cedere al sentimento. Si capisce come sia diventato un cult presso i giovani egiziani, imbrigliati in un cambiamento di cui si sono impossessati i poteri forti, che procede a rilento e che spesso lascia le cose come stanno.

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