Francesca Romana Mormile - Mare loro - a cura di Rosella Clavari

   

 

 

 

   Francesca Romana Mormile

   Mare loro

   Nutrimenti ed. 2020

 

 

 

L’ambientazione scelta dall’autrice di questo romanzo, rispetto ad altri autori italiani immersi nelle stesse situazioni disperate di emigrazione per un impegno sociale intrapreso e per una specie di immedesimazione, è quella piccolo-borghese di un condominio: qui, una donna avvocato di prestigio con le tipiche nevrosi delle persone sole e insoddisfatte, dà una svolta alla propria vita accogliendo due creature provenienti dall’Eritrea, un ragazzo di 14 anni, Anbessa e la piccola Nica, la cui giovane madre è morta dopo averla data alla luce; favorirà in seguito il ricongiungimento alla madre di Anbessa che diverrà anche la madre della piccola Nica: il tutto in una situazione particolare di convivenza che stravolgerà le abitudini e gli orizzonti limitati dei condomini che popolano quella palazzina elegante di Roma Nord.

L’ambientazione borghese quindi è il taglio originale di questa storia che vede in primo piano l’azione di due donne diversissime tra loro: Bentivoglio, avvocato divorzista  e Ida insegnante in pensione, dedita al volontariato.

L’avvocato Bentivoglio scherzosamente appellata dal suo ex amante giudice Sciacca con paroline composte “bentivoglio-assai” “ bentivoglio poco poco” etc etc., per la prima volta segue da vicino una pratica di  affidamento di minori che provengono dall’Eritrea.  Sarà proprio il giudice, dal piglio seduttivo e intrigante, a spronarla in questo senso invitandola a prendere parte al tavolo tecnico della regione Sicilia su Migranti e minori non accompagnati. L’incontro con la Sicilia e poi con l’Africa le cambieranno la vita.

L’Africa giunge da lei nella persona di Anbessa ragazzo eritreo di 14 anni ; impara facilmente la lingua italiana poiché la  madre era a servizio presso una famiglia italiana e l’avvocato in seguito lo condurrà a Lampedusa per essere inserito come mediatore culturale.  Altra figura importante la piccola Nica, che significa in siciliano piccola ma in greco vincitrice, colei che ha sfidato la morte….

Veniamo a Ida, l’altra donna- colonna portante del romanzo: dopo la pensione, da cinque anni segue i gruppi di osservazione e ascolto presso la Casa delle donne. Si presenta con molta semplicità e dolcezza alla Bentivoglio e aggiunge: “ ho fatto un corso di formazione per malati terminali e ho capito che mi riesce naturale ascoltare in silenzio”; la sua lentezza opposta al dinamismo e all’inquietudine dell’avvocato la rendono complice immediata nell’opera di sostegno ai minori; si offrirà infatti come insegnante di italiano per minori non accompagnati. Si crea una bella alleanza per cui “ si può dire che Sciacca stava a Ida come l’avvocato Bentivoglio a tutti e due. In posizione di riconoscenza, non per quello che facevano, ma per quello che erano: testuggini che attraversano gli oceani”. 

La madre di Anbessa che comparirà quasi alla fine della storia, si trascina dietro tutto il dolore delle sue molte vite “arrivò centrata e bella, con le cento vite sulle spalle, senza per questo lasciarsi piegare” e finalmente può ricongiungersi ad Anbessa, il figlio per cui spera un avvenire migliore e a Nica, una figlia acquisita.

Vi sono molti personaggi di contorno come la fedele segretaria Cristina e altri , ciascuno con le sue manie: l’edicolante, quasi voce narrante che registra i cambiamenti intervenuti tra gli abitanti della sua zona; la signorina Serra sua dirimpettaia che uscirà dal grigiore della sua vita rinnovando il suo aspetto e forse i suoi pensieri; il portiere Babu e l’amabile colf dell’avvocato, Dora.

L’autrice nata a Taranto, vive e lavora a Roma; ha collaborato con l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni razziali .

Il senso più profondo del romanzo: come si può cambiare in un attimo la propria vita quando ci si relaziona con chi ha bisogno di aiuto, di protezione. E si scopre attraverso lo sconosciuto bisognoso, la propria fragilità, il proprio bisogno di dare e ricevere amore . Uno scambio che avviene non solo per la protagonista ma anche per le altre persone che ruotano intorno a lei.

Se il titolo del libro può ingannare e aspettarsi di entrare subito nel vivo di una situazione di immigrazione, in realtà l’Africa compare solo dopo 80 pagine, ma è la metafora significativa dello spazio che riserviamo allo straniero, al diverso da noi nella vita di un condominio italiano benestante: così il testo distribuito in 57 frammenti di vita osservata e vissuta si ricapitola nella parabola finale del viaggio di una “caretta caretta”, lungo e inesorabile. 

Francesca Mormile con una scrittura accattivante, traboccante di frasi desuete e perifrasi creative in funzione antiretorica, sa creare un clima e avvicinarci con levità a un tema così drammatico non privandoci delle dovute riflessioni in merito e su quanto ancora possiamo fare, ciascuno di noi, nel proprio piccolo mondo. Infatti il testo rivela una aderenza precisa alla cronaca nel riportare tutte le operazioni inerenti gli sbarchi a Lampedusa e portando a galla i sentimenti di gioia mista a paura sia dei migranti  salvati che dei membri della guardia costiera e dei volontari. Una cronaca estesa anche ai fatti riguardanti lo sgombero dei locali di via Curtatone a Roma nel 2017 che ha rimesso sulla strada centinaia di rifugiati e richiedenti asilo, perlopiù eritrei, etiopi e somali ; particolare attenzione viene prestata al burnout che colpisce spesso tutti coloro che prestano aiuto ai migranti in condizioni disperate, cioè il senso di impotenza che si prova quando si vorrebbe fare di più, ma la realtà circostante non lo permette.

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