Léonora Miano, I contorni dell’alba (recensione della traduttrice, Monica Martignoni)

Léonora  Miano, I contorni dell’alba

Edizioni Epoché, 2008
Numero di pagine:  280
Prezzo:  € 15,00

Traduzione di Monica Martignoni

Nell’immaginario stato africano dello Mboasu, devastato dalla guerra, la popolazione è allo sbando, si rifugia nella superstizione e individua il proprio capro espiatorio nei bambini, considerandoli dei demoni all’origine di tutti i mali che la affliggono.
Perseguitati dalla propria famiglia, questi bambini si ritrovano a vagare per le strade, tormentati dalla fame e dalla miseria, ma anche dalle folli ordalie cui li sottopone la gente. Musango è una di loro. A nove anni è stata cacciata dalla madre che si è convinta che sia una strega. Venduta come schiava ai capi di una pseudo setta religiosa che in realtà copre un traffico di donne destinate ad alimentare il mercato della prostituzione in Europa, lotterà con tutte le sue forze per cambiare il suo destino e soprattutto per ritrovare quella madre che l’ha abbandonata ma che è sempre presente nei suoi pensieri.
Musango infatti narra in un dialogo immaginario con la madre la sua storia: tre anni di fughe, peripezie e incontri con altri persecutori, ma anche con persone che sapranno aiutarla e guidarla. Come sempre nei romanzi di Léonora Miano, ne I contorni dell’alba (che può essere considerato il seguito di Notte dentro, che nel 2007 ha ricevuto il premio Grinzane Cavour per il miglior autore esordiente) ci sono molti grandi personaggi femminili. A partire dalla protagonista, una bambina con tutte le debolezze e le fragilità della sua età, ma al tempo stesso dotata di una forza e una determinazione incrollabili, che spesso fanno dimenticare che si tratta di una ragazzina. Anche la madre, Ewenji, che pure ci viene presentata nella sua estrema labilità – fisica e psichica -, appare grande nella sua follia cieca che le fa riversare la frustrazione per i fallimenti della propria vita contro la figlia innocente e trae dal suo fisico gracile e minato dalla malattia una ferocia e una  violenza inaspettate. Per non dimenticare la direttrice della scuola, la signora Mulonga, che vive  anch’essa un rapporto tormentato con la figlia; la venditrice ambulante Kwin, pronta a dare una mano ai bambini di strada sbandati; o la nonna di Musango, Mbambé, saggia e affettuosa, che saprà “traghettare” la nipote verso il suo futuro.
La follia è un altro elemento importante del romanzo: follia di un popolo che soffoca le proprie  possibilità di futuro perseguitando coloro che dovrebbero incarnarlo e crearlo, i bambini; follia della guerra che è rappresentata da un paese distrutto e dalle menti devastate dei suoi abitanti che, incapaci di trovare una ragione di vita e un modo per ricostruirla, delegano fede e speranza alle sette  religiose che sorgono a profusione, ognuna con le proprie caratteristiche, ma tutte improntate su una visione pessimista e tragica della realtà.
Ma c’è anche spazio per la speranza, per la possibilità di una salvezza “vera”: la nonna di Musango, verso la fine del libro, sottolinea l’importanza di non snaturarsi, di restare legati alle proprie radici, di rivendicarle con orgoglio e di crearsi un futuro nella propria terra, senza inseguire chimere in paesi e culture che resteranno sempre estranee.
Ma al centro de I contorni dell’alba c’è soprattutto il rapporto madre-figlia, imprescindibile e fortissimo pur tra incomprensioni e scontri. Un rapporto che evolve al suo interno, dove le parti si scambiano i ruoli e la figlia può mostrare una maturità e un senso di protezione degni di una madre. È un  romanzo che tocca profondamente le emozioni del lettore: si resta turbati dalla violenza e della crudeltà verso i bambini; si sorride dell’ingenuità degli adepti delle sette e delle ragazze che vogliono “fare l’Europa” sperando in un futuro migliore; ci si scandalizza di fronte a chi approfitta biecamente di questa ingenuità; ci si commuove con Musango, le sue vicende, i suoi sentimenti  contrastanti nei confronti della madre e la sua tenacia nel volerla ritrovare. Si viene coinvolti intensamente in questo dialogo con la madre fatto di rabbia, rivalsa, tenerezza, nostalgia.
Una materia densa cui fa da contrappunto una struttura molto controllata, un’impostazione da composizione musicale (fatta di un “preludio”, di vari “movimenti” e di una “coda”), di rimandi  interni nel testo e di un grande ritmo, e un linguaggio che a volte si fa estremamente ricercato, rarefatto, quasi a voler “raffreddare” il tumulto di sentimenti che si agita nel libro, ma che  rappresenta bene anche la notevole lucidità della protagonista, la sua capacità di vedere al di là delle apparenze, di leggere nell’animo di chi la circonda.
Un’attenzione particolare è rivolta anche al linguaggio dei personaggi: la direttrice della scuola che ha sempre avuto il culto del francese, considerato il passaporto per una vita migliore; la capacità oratoria dei capi delle sette che sanno modulare un discorso (e qui torna ancora la musica, con un paragone con le improvvisazioni del jazz) per “pilotare” le masse dei fedeli.
Troviamo anche una forte presenza della lingua africana, soprattutto per quanto riguarda i nomi e  l’importanza del loro significato: la nonna di Musango sostiene che i giovani non devono fuggire verso paesi dove il loro nome non rappresenta niente per nessuno.
In generale viene sottolineata la forza della parola, che spesso viene trascurata (per ignoranza o  opportunismo): la venditrice ambulante Kwin, per impedire il linciaggio di un bambino cita alla folla le frasi della Bibbia analizzandole e mettendole in discussione, mentre i presenti le ripetono pedissequamente secondo l’interpretazione di comodo che ne danno le sette.
Per quanto riguarda il lavoro di traduzione, pertanto, ho ritenuto importante mantenere il ritmo musicale del romanzo e la sua struttura (per esempio le formule che si ripetono all’apertura e alla  chiusura del libro), non appiattire il registro a volte ricercato del linguaggio e rendere tutte le sfumature di cui è ricca la scrittura dell’autrice.

Monica Martignoni

© Scritti d’Africa, gennaio 2009

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