Boaventura Cardoso, Il lago della vita (recensione di Anna Fresu)

Boaventura Cardoso, Il lago della vita (Dizanga dia muenhu)

Edizioni Associate, Roma, 2004
Introduzione, traduzione e note a cura di Pedro Francisco Miguel
Pag. 123, Euro 12,00

Nella sua introduzione a “Dizanga dia muenhu”, scritto nel 1977 e pubblicato dall’União dos Escritores Angolanos nel 1988, Pedro Francisco Miguel, studioso angolano di filosofia e letterature africane, ci spiega il titolo e il significato del libro attraverso l’esposizione del pensiero filosofico africano su cui questo si fonda. La vita è “quel dramma che si vive quotidianamente fra le forze della vita e le forze della morte, le forze positive e le forze negative”. E’ su questa tensione, su questo conflitto che si basa e si innesta il pensiero africano religioso, etico, antropologico, rituale. Per l’uomo africano filosofare significa tuffarsi nel “lago della vita” per trovare le risposte a tutti gli interrogativi essenziali della nostra esistenza. Ma mentre contempliamo il lago non riusciamo a distinguere il lago da noi stessi. E’ solo un evento di rottura, il plaff di un pesciolino che salta nell’acqua, è quel suono, quell’interruzione, che ci fa cogliere l’esistenza del lago, del pesce e infine di noi stessi. E’ questo l’inizio della creazione di un mondo oggettivo.

Le 10 storie narrate da Boaventura Cardoso (Luanda, 26 luglio 1944), scrittore e Ministro della Cultura, sono altrettanti plaff nel lago della vita, in questo caso nella vita di un popolo, il popolo di Luanda, dell’Angola, che emergendo ci fanno cogliere la sua stessa essenza e quella di ogni singolo momento della sua storia. Affiorano così piccoli sciuscià che cercano in una cassetta da lustrascarpe il riscatto da una vita di stenti e umiliazioni, quitandeiras,  venditrici di mercato robuste e fiere che si oppongono agli insulti e al disprezzo delle signore bianche, il doloroso cammino dei contratados, dei deportati alle piantagioni di San Tomé, le violenze, gli stupri subiti dalle donne da parte dei colonizzatori… Sono le storie della gente dei musseques, i quartieri dei neri, dei poveri, di lamiera e fango contrapposti alla città di cemento, alla Baixa dei bianchi, dei ricchi. Storie di prima e dopo l’indipendenza, storie di  dolore e di speranza, di ricerca di un futuro possibile, di un senso per le parole Indipendenza e Socialismo, di perdita a volte di valori tradizionali come solidarietà e accoglienza svenduti al miraggio della ricchezza e del prestigio sociale.

La lingua e l’andamento del racconto sono quelli tipici di una ricca tradizione orale, che diventa scrittura, con i suoi modi espressivi e stilistici che inventano un linguaggio meticcio, non più soltanto portoghese o kimbundu, non più solo l’autore o il personaggio, ma un popolo a cui entrambi appartengono e danno voce.

Quasi tutte le storie narrate sono precedute da una riflessione del curatore, che però mi permetto di suggerire si legga dopo il racconto per non filtrare una lettura emotiva che i personaggi e le vicende narrate mi sembra meritino.  La lettura successiva delle introduzioni, ricche e documentate, così come delle note alla fine di ogni storia, può in seguito contribuire a una nuova e più approfondita interpretazione e alla scoperta di nuove chiavi di lettura. E  magari, poi, leggere di nuovo le storie e gustarle nel loro pieno significato, grazie anche all’ottima traduzione, e eventualmente nell’originale del testo a fronte.


Anna Fresu

© Scritti d’Africa, 3 ottobre 2008

 

 

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