Tayeb Salih, La stagione della migrazione a nord - a cura di Giulia De Martino

Sudan

Tayeb Salih
La stagione della migrazione a Nord
Sellerio editore, 1992, ultima ristampa, 2011
traduzione di Francesco Leggio

Ancora una volta un autore cosmopolita, sudanese originario di un piccolo borgo agricolo,  vissuto tra Sudan, Londra e Parigi, autore di programmi in lingua araba per la BBC, editorialista per un giornale arabo in Inghilterra, ministro dell'informazione in Qatar, ambasciatore Unesco negli Stati del Golfo. Morto a Londra nel 2009, il suo testo più famoso e importante, La stagione della migrazione a Nord, non ha smesso di essere tradotto e ristampato in tutto il mondo, a partire dalla traduzione inglese del 1969. Stampato, in un primo tempo, su una rivista a Beirut nel 1966, secondo una necessità sentita da molti autori in lingua araba che si sentono più al sicuro a stampare in Libano piuttosto che nel proprio paese, per ragioni di censura o di non allineamento al clima culturale imperante,viene giudicato dall'Accademia letteraria arabica, nel 2001, il romanzo in lingua araba più importante apparso nel '900.  
Quando uscì, tutta la critica occidentale lo considerò un testo straordinariamente maturo per modalità narrative e linguistiche: l’autore aveva assorbito tutta la tradizione araba, anche quella poetica, letteraria e storica, mescolandola con una grande attenzione alla letteratura europea, inglese in particolare, Shakespeare in primis. Ma non restano estranei la cultura psicanalitica freudiana né gli studi post-coloniali: questa doppiezza culturale è propria del narratore senza nome della storia, abbastanza identificabile nella figura complessa di intellettuale rappresentata da Tayeb Salih stesso  e anche in quella di Mustafa Sa'id, la cui vicenda viene accolta dalla voce narrante e trasmessa ai lettori. Personaggi e autore condividono la stessa conoscenza di due lingue e due culture, quell'essere 'in between', tipico di tanti scrittori arabi e africani dei nostri giorni.
Un giovane, dopo anni di studi in Inghilterra, torna in Sudan per occupare il posto che gli spetta nel suo mondo, appena resosi indipendente dall'Inghilterra   nel 1956. Nel cuore, il miracolo di armonia rappresentato dal piccolo villaggio natio, ingigantito dalla lontananza e dalla nostalgia. Nel borgo fa la conoscenza di un misterioso personaggio, Mustafa Sa'id, giunto in quel luogo non si sa esattamente da dove, sposatosi con una giovane contadina locale, verso il quale gli abitanti hanno un misto di paura ed ammirazione. Per qualche ragione, forse una inquietante e sotterranea affinità tra i due, il più anziano Mustafa Sa'id fa del giovane il destinatario di una sua confessione straordinaria: lui non è quello che sembra, un contadino accorto, un commerciante pratico, ma un ex- economista, considerato assai brillante, che in Inghilterra si è macchiato di un crimine: l'uccisione della giovane moglie, per il quale è stato in carcere, prima di tornare a rifarsi una vita, in incognito, in quel piccolo paese, ai bordi del Nilo. Il giovane narratore non diventa solo il depositario di una storia bizzarra, ma anche l'affidatario dei figli e della sorte della moglie, in seguito alla misteriosa scomparsa di Mustafa, non si sa se per suicidio o incidente, nelle acque del Nilo.
Ma il lettore non apprende gli eventi in modo lineare: la storia del narratore e la vicenda di Mustafa Sa'id corrono, in modo intrecciato, su e giù per il tempo e per lo spazio. Si aprono squarci di vita nella Inghilterra degli anni '20-'40, negli ambienti radical-chic frequentati dal giovane precoce economista Mustafa, nella Khartoum degli anni '50-'60 dove il narratore diventa funzionario della Pubblica istruzione, scoprendo che il periodo post-coloniale non realizza quanto promesso nel momento delle lotte, non solo per colpa delle ex- potenze, ma a causa della mentalità e comportamenti della classe dirigente locale.”...i nuovi signori dell'Africa hanno facce lisce, bocche da lupi, anelli di pietre preziose che luccicano alle mani, capelli olezzanti di profumo, vestiti bianchi, azzurri, neri, verdi, di lussuoso mohair e costosa seta e le scarpe che riflettono la luce dei lampadari...”.
Lo spazio si apre anche all'oceano attraversato da entrambi per l'avventura inglese, ma che per il quindicenne Mustafa, allontanatosi per la prima volta dai genitori adottivi, si riempie già della sensazione di un dramma incombente verso il quale corre la sua vita. Non è a caso che la frase “e il treno mi portò alla stazione Vittoria e al mondo di Jean Morris” (il nome della donna che sposerà e ucciderà) costituisca un leitmotiv ricorrente per tutto il testo e ne annunci, in qualche modo, il destino. 
Il piano della narrazione contemporanea si svolge tutto nel villaggio dove si susseguono poetiche descrizioni  ambientali, del lavoro dei campi, della vita tranquilla e sempre uguale degli abitanti, scandita dai ritmi naturali delle stagioni. Nella bella introduzione, Francesco Leggio si sofferma sulla parola tradotta con 'stagione': ”...è quella che più suggerisce un'idea di periodicità delle azioni umane in dipendenza da eventi naturali ricorrenti, riportando inoltre la memoria ad un mondo che per gli arabi è mitico, quello dell'Arabia preislamica; con questo termine venivano infatti chiamate le fiere che si svolgevano nelle oasi, occasione d'incontro di tante tribù beduine, fra loro e con la vita sedentaria.”
All'inizio del romanzo, in realtà sono passati già cinque anni dalla morte di Mustafa e la voce narrante è in preda a dubbi ed angosce su di sé e la vita che conduce: forse il 'morbo' dell'uomo ha cominciato a corrodere la sua anima. Viene in mente l'analisi di Franz Fanon sugli effetti non solo economici della colonizzazione, forse i guasti più devastanti sono stati quelli interiori.
Il testo è tutto percorso da una doppiezza che rende drammatico il tono della narrazione, tutti i simboli di cui si serve l'autore recano questo segno, a cominciare dalla terra sudanese, ambiente dell'arido e del deserto, ma anche della savana e dei campi verdeggianti vivificati dal Nilo.
Intanto c'è da dire che il tema dell'incontro-scontro qui, per la prima volta, non è più Oriente-Occidente come nella versione orientalistica più classica, ma in modo economicamente e politicamente  più moderno tra Nord e Sud e fin dal titolo si percepisce lo spostamento.
L'esperienza inglese dei due protagonisti è vissuta in modo diverso. In Mustafa
si accende di brividi che sanno del Conrad di Cuore di tenebra. Un migrante, nel cuore del potere distruttivo del capitalismo colonialista, trova un'unica maniera di vendicarsi come colonizzato: di giorno intelligente, inquietante e fantasioso economista, coccolato dalla sinistra, gravata da sensi di colpa, di notte cacciatore di prede femminili. ”Si, signori, sono venuto a voi da conquistatore fin dentro casa vostra”e “Libererò l'Africa col cazzo” sono due affermazioni esemplificative e molto crude delle sue intenzioni. Giocando consapevolmente sull'immaginario esotico stereotipato dell'arabo nero, tutto palme, deserti, profumi, morbide vesti di seta, sesso sfrenato e desideri proibiti affascina donne che da poco hanno  cominciato ad abbandonare la pruderie vittoriana e il moralismo perbenista: pagheranno loro, l'anello debole della catena, per il male fatto alla sua terra, a quel tempo ancora schiava del colonialismo. Tre donne si suicideranno, a causa sua, come si apprende dal racconto del processo successivo. Ma Mustafa viaggia in un inferno ancora più torbido, si lega, infatti,  in matrimonio con Jean Morris in  un rapporto sado-maso, che lo perderà definitivamente: sarà lei, donna depressa e insoddisfatta, a indurlo ad ucciderla in un  supremo atto d'amore e di orgasmo, l'eterno eros e thanatos.
Si comprende come questo testo, in patria e in molti paesi arabi, come Egitto o della penisola arabica, per molto tempo sia stato classificato come pornografico e disdicevole per l'immagine degli africani e degli arabi, appena arrivati all'indipendenza o emigrati in Europa. Per questo ha dovuto aspettare parecchio tempo prima di essere apprezzato nel mondo islamico.
Anche altri tabù vengono infranti nel romanzo, parlando di mutilazioni genitali femminili e di liberazione delle donne da una condizione di soggezione patriarcale. Il tema viene trattato seguendo le vicende della vedova di Mustafa: secondo le regole ataviche non può restare sola, ma deve sposarsi con chiunque la chieda in moglie, anche contro la sua volontà. Forse avrebbe anche accettato un giovane, ma il consiglio degli anziani del villaggio decide per un vecchio, noto in paese per la sua brama di carne fresca. Il giorno del matrimonio si trasforma in giorno di lutto, nel letto nuziale avviene una mattanza: la sposa scanna con un coltello il marito e poi si da la morte. Mustafa si è vendicato su una donna europea delle umiliazioni e dei soprusi subiti, la donna si è vendicata su un maschio africano di uno stato di inferiorità, sentito ormai come intollerabile.  L'ombra dell'oscurità di Mustafa Sa'id sembra prolungarsi anche dopo la sua morte.
Non sono solo questi temi scabrosi ad aver ostacolato l’affermazione di Tayeb Salih, ma anche una rappresentazione tollerante e bonaria dell'islam, tipica di molte società africane: le descrizioni delle conversazioni franche e libere, spesso accompagnate da vino, tra alcuni anziani,  come il nonno del narratore, riconosciuto come il più saggio del paese, o Bint Majdùb, una matriarca sempre con la sigaretta in bocca, ammirata e rispettata da tutti e il plurisposato Wadd ar-Reys, hanno fatto storcere la bocca ai critici tradizionalisti e ai religiosi e gridare allo scandalo.
La visione idilliaca del villaggio che aveva dominato il narratore negli anni londinesi, alla prova dei conflitti e tensioni tra giovani e anziani, tra uomini e donne, tra tradizione e modernizzazione, tra città e campagna, tra conformismo e dissenso non regge più agli occhi di chi ha ormai visto altri mondi e altre possibilità.
Ma come conciliare la saggezza della tradizione, rappresentata dal nonno, suo costante punto di riferimento fino ad allora-  la via degli antenati da seguire senza dubbi e senza porsi domande - e il desiderio legittimo di maggiore equità ,  giustizia e benessere per tutti?
Una uscita tragica dal dilemma è quella di Mustafa Sa'id, l'altra viene trovata dal narratore, anche lui attraversato dalla vertigine di perdersi per sempre nel Nilo: ”...Galleggiavo sull'acqua ma le appartenevo. Pensai se fossi morto in quel momento sarei morto come ero nato, senza la mia volontà. Per tutta la vita non ho scelto né deciso, ora ho deciso che scelgo la vita. Vivrò perché ci sono pochi uomini con cui amo restare il più a lungo possibile e perché ho dei compiti da svolgere. Non mi interessa se la vita abbia un senso o no. Se non sarò capace di perdonare, tenterò di dimenticare. Vivrò con la forza e con l'astuzia... e con tutta la forza rimastami gridai, come un attore comico che strilla in un teatro :-Aiuto!Aiuto!-”.
Ancora una volta, la soluzione è quella di mediare, dialogare, rendere dialettica la vita, abbandonando l'abisso, ma anche la rigidità.
Un grande libro, non solo per la forte denuncia del colonialismo, ma anche per l'accettazione della complessità dei rapporti tra oriente e occidente, tra nord e sud. Non servono scorciatoie, serve la pazienza della vita stessa.

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