Chimamanda Ngozi Adichie, Quella cosa intorno al collo - recensione a cura di Rosella Clavari

Chimamanda Ngozi Adichie, Quella cosa intorno al collo
 
Edizioni Einaudi, 2017
traduzione di Andrea Sirotti
 
 
La scrittrice già conosciuta per  Americanah, dove ha dato prova del suo talento narrativo, qui aggiunge al suo stile accattivante un approfondimento delle motivazioni sociali e storiche degli accadimenti umani tra Stati Uniti d'America e Africa, sempre con un tocco naturale e sapiente.
Proprio la fusione delle sue radici africane, viene da pensare, con la vita americana che conosce bene, le consentono una capacità di discernimento e di svelamento della realtà.
 
Ci troviamo qui davanti a 12 racconti dove si privilegiano le figure femminili come protagoniste ad eccezione di alcuni racconti ( come Cella Uno e Spettri) che non possono lasciare indifferenti.
Nel primo racconto che è appunto Cella Uno, siamo nel quartiere benestante del campus Nsukka in Nigeria; il tempo qui è scandito dalla “stagione dei furti” e dalla “stagione dei culti”, quest'ultima sta a indicare la spietata abitudine dei giovani di aderire a riti di iniziazione che comportano spesso azioni cruente e omicide.  Assistiamo così all'escalation del fratello della protagonista, voce narrante della vicenda familiare, da semplice studente annoiato a ladro in casa sua, ad affiliato dei “culti” e infine detenuto della famigerata Cella Uno da  cui difficilmente si esce vivi.
 
Spettri, ambientato pure in Nigeria, vede un professore di matematica in pensione che mentre va a informarsi sulla pensione non ancora arrivata dopo tre anni di attesa, aggirandosi tra uffici e strade alberate, incontra un amico che credeva morto. Attraverso di lui ricorda la guerra che ha diviso le loro strade, quella del Biafra del lontano luglio 1967.  Unica consolazione nella vita del protagonista, rimasto vedovo, la visita notturna dello spirito di sua moglie Ebere.
 
Tornando allo scenario femminile, troviamo donne che lottano, che si allontanano in silenzio sia dal male sia da chi rifiuta loro un aiuto, con la dignità e l'orgoglio della propria origine. Come ne L'ambasciata americana dove, dopo una lunga interminabile fila per ottenere il visto per  rifugiarsi in America, la donna se ne va straziata dal dolore per la perdita del figlioletto, incapace di parlarne e di ricevere conforto da chi non può darne.
In Un’esperienza privata, l'incontro di due donne rifugiatesi in un locale durante un sanguinoso attentato in città, rivela la loro capacità di solidarizzare nonostante la diversa religione ed etnia.  
Non delegare sempre agli altri le proprie scelte di vita e far sentire la propria voce, è il monito che ci giunge dal racconto L’imitazione: Nkem, dopo avere intuito il tradimento del coniuge, vuole tornare nella sua terra d’origine con il marito che sembra piuttosto optare per due mogli ( una ufficiale in America, l’altra nascosta a Lagos) e due case naturalmente. Ma ha fatto i conti senza Nkem che non vuole più stare nella casa americana del benessere e divenire una suppellettile proprio come le maschere africane collezionate dal marito, mere imitazioni.
Il racconto che dà il titolo all'intera raccolta, Quella cosa intorno al collo, descrive le difficoltà iniziali di una coppia mista, lei nera e lui bianco americano e il disagio che seminano intorno: “dalle reazioni della gente capivi che non eravate una coppia normale: gli antipatici erano troppo antipatici e i simpatici troppo simpatici”.  
 
Rivelano una certa originalità i racconti Il tremito e  Jumping Monkey Hill; nel secondo, la presenza di un gruppo di scrittori africani partecipanti a un premio, offre alla scrittrice la possibilità di disegnare ironici ritratti di differenti personalità. Il discorso sociale si fa molto articolato: il razzismo tra africani negli Stati Uniti, non solo tra americani e immigrati; le differenze tra le middle class e le classi povere tra gli afroamericani.  Le nostre vite, dice l'autrice, le nostre storie, sono composte di molte storie che si intrecciano. Questa presa di coscienza della complessità del reale si scontra con la tentata omologazione dei destini ; arrivati in America dalla Nigeria sembra tutta “una vita di plastica”, dice uno dei personaggi dei suoi racconti. Ci sono usanze e convenzioni che uniscono. Tradizioni che a volte dividono. 
 
I due racconti finali presentano due figure di nonna: l'una ostile nel denigrare la nipote femmina rispetto al nipote maschio, l'altra amata e indimenticata che lascia una testimonianza di fiera appartenenza alla sua cultura d’origine alla nipote ormai donna.
Proprio quest'ultimo racconto, La storica testarda ,ci fa riflettere sulla riduttiva interpretazione della storia dell'Africa dal punto di vista occidentale. Una “storia truccata” cui la protagonista si oppone con fierezza proprio come la nostra autrice la cui voce è stata riconosciuta dalla critica “intima e allo stesso tempo universale”.  
Aggiungiamo che nel suo piccolo saggio uscito anch'esso quest'anno, Cara Ijeawele - quindici consigli per crescere una bambina femminista, Adichie reclama la propria importanza di donna e di individuo insieme, mostrando alla figlia  le varie trappole da cui deve fuggire per affermare la sua dignità.
 
 
Rosella Clavari 

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