José Eduardo Agualusa, Teoria generale dell’oblio - recensione a cura di Giulia De Martino

José Eduardo Agualusa, Teoria generale dell’oblio

Edizioni Neri Pozza

Traduzione di Romana Petri

 

Rievocate i vostri sforzi scolastici di lettura dell’Ariosto per seguire tutti i filoni narrativi che spesso convergono in un unico punto come il Castello di Atlante. O il confluire delle storie nella taverna de Il castello dei destini incrociati di Calvino.

Anche Agualusa, come altre volte ha fatto, si esercita nell’arte combinatoria, con la sue fantasie barocche e allucinatorie; ma qui, in questo romanzo, dai capitoli brevi, raggiunge risultati più misurati, per questo forse più facilmente godibili, perché la maggior parte della storia si svolge dentro un appartamento con terrazza di Luanda e alcuni degli avvenimenti sono osservati dalla protagonista della vicenda dal parapetto da cui spia il mondo, con una scatola di cartone in testa.

Ludo, al secolo Ludovica Fernandes Mano, è una portoghese agoforabica, la cui tendenza a questo disturbo psicologico viene accentuata da un evento traumatico che i lettori apprenderanno in seguito.

Si tratta di una storia vera documentata da diari, testi in prosa e poesia, foto dei disegni a carboncino vergati sulle pareti che l’autore ha rielaborato restituendoci un testo duro e lirico insieme, in cui si mescolano poesie e riflessioni, pagine di diario insieme a secchi inserimenti cronachistici del narratore che ci ragguagliano sulla sorte di certi personaggi.

Siamo tornati al clima de Il venditore di passati, in cui la realtà e la storia vengono osservati e giudicati da un piccolo geco intellettuale e ironico...

Ludo svolge la stessa funzione : un occhio estraneo all’Africa , costretta dalle circostanze della sua vita, a trasferirsi in Angola, nel 1975,  a Luanda, in seguito al matrimonio della sorella, con cui viveva, con Orlando,  un ingegnere angolano.

Li colgono i moti per l’indipendenza che terrorizzano le due sorelle tanto da voler seguire l'esempio di  molti portoghesi ormai consci che l'unica soluzione è abbandonare la colonia, ma...Da qui si scatenano le vicende successive: la guerra civile, durata fino agli anni ‘90, l’auto reclusione di Ludo, nel Palazzo degli Invidiati, lussuoso condominio eretto per ospitare coloni portoghesi benestanti, resa possibile dalla costruzione di un muro atto a nascondere l’ingresso della sua casa: due facinorosi si erano affacciati alla soglia dell’appartamento, per derubarla, forse ucciderla. Si era difesa, uccidendone uno e seppellendolo in una specie di giardino pensile, creato dal cognato, nostalgico della natura del villaggio natio. C’erano mattoni , cemento e quant’altro appunto perché Orlando aveva deciso delle migliorie per il terrazzo.

Ludo, a causa della misteriosa scomparsa della sorella Odete e del cognato, deve, per la prima volta, affrontare la solitudine e la risoluzione di problemi pratici non indifferenti, un po’ come il calviniano Cosimo di Rondò de Il barone rampante, quando decide di vivere su un albero e osservare la vita e la storia da quella prospettiva.

Sono bellissime le pagine dedicate ai terrori reali o interiori della protagonista: la fame, il freddo, l’afa e la siccità, i temporali tropicali,la luce di un cielo che sembra caderle addosso, il timore di cedere del tutto alla pazzia.

Per sopravvivere si dedica con ostinazione alla coltivazione di piante alimentari, di polli e galline,sottratti con uno stratagemma ai vicini sottostanti,  bruciando mobili e libri per avere fuoco e raccogliendo acqua piovana in  piccole cisterne, dal momento che, a causa della guerra civile, ad un certo punto cessano telefono, gas e luce regolari. Con l’unica compagnia di un cane pastore tedesco albino e una scimmia che ad un certo punto compare sulle piante della terrazza, simbolo ambiguo un po’ di quell’Angola che da un lato l’affascina e dall’altro le suscita orrore e repulsione.

Sotto i suoi occhi, dalla visuale della terrazza, che lascia trapelare clamori, spari, urla, risate di bambini e voci di animali da cortile avvengono i cambiamenti dell’Angola, che lei interpreta, senza capire veramente, da lontano. All’inizio c’è la radio, poi deve imbastire da sola le  spiegazioni su ciò che accade.

Al centro della vicenda compare un certo piccione viaggiatore che ingoia dei diamanti, nascosti in casa dal cognato: i diamanti sono il motore intorno a cui ruotano molti personaggi. Il capitano Carrasco rimasto fedele ai portoghesi, ammazzato e risuscitato da una pietosa infermiera, Madalena, madre di un bambino importante per una svolta nella vita di Ludo;  il 'comunistissimo' Monte, più volte arrestato e torturato, riciclatosi, in seguito come investigatore privato; Papy Solingo, musicista congolese  e Piccolo Soba, che passa dallo stato di mendico a uomo ricco,  suoi vicini di casa. Personaggi strambi che permettono all’autore di esercitare critica e sarcasmo nei confronti del regime.

Con il passare degli anni la biblioteca di Orlando sta per finire: quanto le è costato bruciare libri, unica  salvezza e conforto, insieme ai disegni, nel buio dei suoi giorni! Ogni volta, eliminando le pagine di un autore, le sembrava di uccidere il mondo intero...

Un inno straordinario di Agualusa al potere magico delle parole, della letteratura e della fantasia.

Il finale è esilarante: tutti nell’ascensore e sul pianerottolo dell’appartamento riscoperto di Ludo, compreso un giornalista investigativo, portatore di novità strabilianti per la donna, inseguiti, come in un film muto chapliniano, da un ragazzo di strada e dal portiere dello stabile, ormai rimesso a nuovo: nessuno ha il diritto di entrare senza il suo permesso, strepita inascoltato l’uomo!

Abilissimo lo scrittore nel confezionare storie strampalate per restituirci, in una lingua suntuosa, la realtà di un paese, ancora non uscito fuori, a tutt'oggi,  dalle conseguenze della  guerra civile.

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