Trevor Noah- Nato fuori legge- recensione a cura di Rosella Clavari

 

 

 

Trevor Noah

Nato fuori legge

Storia di un'infanzia sudafricana

Ponte alle Grazie, 2019

traduzione di Andrea Carlo Cappi

 

“Dalla pelle al cuore”, queste parole ( le stesse di una canzone italiana, ma con diverso significato) sono le prime che vengono in mente dopo aver letto questo romanzo biografico. Proprio perché dalla questione della pelle che ha attraversato tutta la vita del protagonista- autore, si arriva al cuore della vita stessa in cui la personalità della madre ha esercitato una grande importanza su Trevor Noah.  A lei ha dedicato quest'opera e grazie a lei può dire verso la fine: “Sono cresciuto in un mondo violento ma non sono rimasto contagiato. Le relazioni si sostengono non sulla violenza ma sull'amore. L'amore è un'arte creativa”.

Tuttavia per arrivare a concludere così bisogna passare attraverso tutte le fasi difficoltose delle relazioni umane e l'autore ci offre a inizio di ogni capitolo una sintesi degli eventi sociali e politici in Sudafrica, con informazioni anche poco conosciute da noi europei sulla situazione di convivenza delle varie etnie, in quella zona dell'Africa.  Fasi corrispondenti alla sua crescita . Nato nel 1984, ha potuto seguire tutte le varie trasformazioni politiche avvenute in Sudafrica fin da piccolo. E' la storia di un colored, né banco né nero, si direbbe durante l'apartheid, nell'accezione più positiva e inclusiva si direbbe metà bianco metà nero. La sua pelle è stata fin dall'inizio la causa della sua esclusione, del suo essere fuori legge appunto: figlio di una nera xhosa e di un bianco tedesco svizzero, in tempi in cui, con l'apartheid, era proibita l'unione mista. Poi, nel crescere si accorge di non essere accettato dai neri in quanto meticcio con prevalenza del colore bianco, anche se con una testa afro piena di ricci; guardato con sospetto dai bianchi perché non puro.

Anche con la fine dell'apartheid le relazioni umane continuano a essere difficili. Il governo bianco sfrutta l'animosità delle diverse tribù zulu, xhosa, twsana, sotho, venda, ndebele, swazi, tsonga, pedi etc. dividendoli in gruppi,  allo scopo di mantenerli in conflitto. I zulu sono ricordati come guerrieri e bellicosi, gli xhosa riflessivi, come era Mandela, persone che cercavano un accordo con i bianchi, per esempio anche sull'uso della lingua inglese. L'autore, con una frase lapidaria fa capire la fine del sogno arcobaleno, nonostante la liberazione di Mandela: “ Poi l'apartheid ebbe fine, Nelson Mandela tornò in libertà e il Sudafrica nero entrò in guerra contro se stesso”. Questo significa che con Mandela , il partito Intakha a maggioranza zulu si mosse contro l'ANC, che riuniva parecchie tribù diverse ma aveva molti leader xhosa, e si misero l'uno contro l'altro.

L'analisi politica è precisa e parte dall'apartheid, istituita fin dal 1652, con l'insediamento dei coloni olandesi, i cosidetti afrikaner “autori di un triste episodio di razzismo perfetto”. Ma la scuola britannica in Sudafrica preferisce tacere su questo episodio, la lezione di storia non lo ha contemplato abbastanza. L'insulto più frequente che come colored riceve è bosciman. Come mai? I primi ad essere colonizzati furono i boscimani che vivevano nella punta estremo-sud del paese, distinti dai neri di lingua bantu ( zulu, xhosa, e sotho) che migrarono a sud più tardi;  i bianchi di Capetown si unirono alla donne kholsan (boscimani) dando vita ai primi  meticci  del paese ; si arriva col tempo ai colored, ( anche con il contributo degli schiavi importati dai vari angoli dell'impero olandese: Africa ovest, Madagascar, Indie orientali), del tutto ibridi. Bosciman è una sorta di associazione ai bianchi-padroni. In Eden Park da ragazzo viene aggredito proprio dai colored.

Storia complicata quella delle sue origini, anche  da un punto di vista storico, ma che il ragazzo sa affrontare con molto spirito e arguzia, riuscendo a suscitare momenti di ilarità oltre che di perplessità. Per esempio quando parla dei vari traslochi e delle varie case abitate nel tempo: “A Soweto ero l'unico ‘bianco’ della township nera” ( e quindi da piccolo doveva vivere nascosto; non potendo giocare coi coetanei si rifugiava nella lettura); “a Eden Park l'unico meticcio in un quartiere colored; a Higlands North ero l'unico nero in area bianca”.

L'educazione religiosa della madre lo porta a contatto con tre chiese cristiane protestanti che frequenta, a volte anche con tre messe alla domenica: quella del tripudio, mista, quella analitica (dello studio delle Scritture) bianca, che preferisce perché senza funzione liturgica; quella appassionata e catartica nera, congregazionista  metodista di vecchio stampo, la cui funzione dura tre ore. Per la madre e le donne della sua famiglia, quelle che veramente gestivano la situazione, tutto girava intorno alla fede. La madre, al figlio che le chiedeva dove fosse suo padre, risponde “Dio è mio marito”. Sì, perché era stata soprattutto lei a voler quel figlio dal bianco tedesco che non lo aveva riconosciuto, ma non dimenticato. Trevor lo cercherà a 24 anni e si renderà conto che il padre, sebbene fosse di poche parole, aveva conservato tutte le foto dell'ascesa professionale del figlio. Un modo per fargli capire che lo amava. Di mezzo ci sarà un nuovo compagno, un meccanico nero di nome Abel , da cui la madre avrà altri due figli. Ma non sarà la persona che la renderà felice. Dedito all'alcool, di famiglia tsonga patriarcale  e maschilista, eserciterà il suo potere su di lei con la violenza, picchiandola spesso finché lei non andrà via di casa con i figli. Ma non anticipiamo il finale che appartiene alla suspence della biografia.

Dalla madre oltre al culto religioso gli è arrivata anche l'educazione culturale con il dono e l'amore per i libri. Poi, un' aspetto fondamentale: l'uso delle lingue. Lei aveva dimestichezza con l'afrikaans (utile per conoscere cosa dicono gli oppressori), con il tedesco, (per parte del padre di Trevor), con l'inglese e con le varie lingue africane: xhosa, zulu, tsonga. Il figlio le apprende e capisce che la lingua porta con sé un'identità e una cultura. La lingua più del colore definisce una persona. Un conto è parlare a un uomo in una lingua che capisce, un conto parlare la sua lingua...gli arrivi dritto al cuore. Così insegnava Mandela.

Tuttavia, nonostante il dono delle lingue e dei libri e dell'istruzione religiosa, la sua vivacità aveva messo a dura prova la pazienza della madre che spesso doveva rincorrerlo per punirlo.. I suoi sport preferiti da ragazzino: acquistare coltelli e provocare incendi. 

Quando finisce in carcere per il furto della macchina dal garage del patrigno, si rende conto di aver superato il limite.  In carcere viene associato ai narcos messicani perché colored e un po' anche per il suo look; anziché temere l'accostamento, lo sfrutta per farsi rispettare dai compagni di cella.  Ma nell' altra cella, fuori dalla sala udienza del tribunale, dove si trovano i peggiori criminali assemblati in gruppi di neri, colored, e bianchi, per non correre alcun pericolo, si mette dalla parte dei bianchi che gli sembrano i meno aggressivi. Questa alternanza strategica nello scegliere a quale gruppo associarsi, vede però alla fine prevalere un'affinità con i neri. Per esempio  nella scuola media decide di andare nella classe dei neri con i quali ha molte più cose in comune: una madre nera, la lingua anzi le lingue, un certo modo di assaporare la realtà attraverso la povertà: “con  i ragazzi neri, ero e basta” Anche nei suoi primi tentativi di autonomia economica, sceglie i neri. 

Pur vivendo ad Highlands North preferisce andare a svolgere le sue prime attività lavorative ad Alexandra, pericolosa township, rimasta ferma nel tempo “baraccopoli piccola e affollata, un residuo del pre-aparheid, soprannominata Gomorra perché teatro di feste scatenate e dei peggio reati”. Là si vive  non più nella cosiddetta township, ma nell' “hood”, un titolo che  faceva più effetto, un  “sovraccarico sensoriale” lo definisce l'autore. La gente cucina e mangia all'aria aperta. Si tratta di un alveare umano di incessante attività, per lo più criminale ma senza l'apparenza di esserlo. Il confine tra civile e criminale è molto labile. I delinquenti- nota sottilmente- hanno una personalità collettiva, nel senso che fanno le stesse cose allo stesso modo.

Il  suo lavoro viene descritto come un'escalation, dalla vendita dei panini a scuola, (dove arrivava per la sua velocità primo tra tutti al luogo di ristoro, esigendo così una percentuale), alla vendita di cd masterizzati, poi ad Alexandra alla conduzione di feste all'aperto in veste di dj, per arrivare al servizio di prestito e banco dei pegni .

Affiorano nei ricordi della madre, altri luoghi ancora più malridotti di Alexandra. Sono le homelands, spazi angusti senza acqua corrente ed elettricità. Dove la gente viveva nelle capanne. Lì la madre era stata spedita da ragazza, presso una zia che aveva altri nipoti indesiderati dalla famiglia di origine, tenuti a lavorare e a soffrire la fame. Poi ci sarà Soweto, la township dei neri proibita ai bianchi. Lì la madre si troverà a curare anche i bambini di strada. Tra le persone trattate alla stregua dei neri, in un calcolo assurdo e approssimativo, non sapendo dove collocarli, c'erano i cinesi. I giapponesi no, loro erano considerati come bianchi, per interessi economici del governo a tenerseli buoni. A proposito della situazione lavorativa, Trevor sottolinea che in Sudafrica si è passati dalla manovalanza nera schiavizzata pre-Mandela  ai disoccupati neri in bolletta. Si serve di una proverbio ricorrente: “Dai a un uomo un pesce e mangerà un giorno. Insegnali a pescare e mangerà tutta la vita” per aggiungere di suo pugno: “Non sarebbe male dargli anche una canna da pesca”. 

Sulla frequentazione anche affettiva di Alexandra si rende conto che, in quanto residente in Highlands North, lui poteva andarsene da lì, sapeva di avere un'alternativa; loro, i suo amici neri, no.

E infatti la vita lo porterà lontano da lì. Oggi è un dj ,comico e attore sugli schermi americani dove conduce dal 2015 il Daily Show. Quest'anno inoltre uscirà il film ispirato a questo romanzo, con Lupita Nyong'o ( già premio Oscar nel 2014 per “12 anni schiavo”) nella parte della madre Patricia.

Giunti alla conclusione possiamo dire di avere visto un Sudafrica in cui convivono antico e moderno, vecchio e nuovo. Dove una madre è stata per il figlio un esempio di emancipazione e di coraggio nell'affrontare il mondo. Lo stile non ha la pretesa artistica di un resa particolare, ma la scrittura è talmente emotiva e coinvolgente, prendendo dentro storie particolari e universali, drammi sociali, collettivi e personali, da non lasciare indifferenti, anzi, trascinandoci dentro la storia raccontata, interessandoci e commuovendoci.

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