Zora Neale Hurston - Barracoon. L'ultimo schiavo- a cura di Habté Weldemariam -

 

 

 

 

 

 Zora Neale Hurston

 BARRACOON. L’ultimo schiavo

 66thand2nd, 2019

 Traduzione di Sara Antonelli e Mauro Maraschi

 

 

Dopo l’uccisione di George Floyd a Minneapolis, i temi controversi della storia contemporanea americana di razzismo e brutalità della polizia sono tornati al centro del dibattito pubblico in tutto il mondo. La questione razziale negli Stati Uniti però va avanti da 400 anni e non da 8 minuti e mezzo.

E “Barracoon (1), l'ultimo carico nero” ( tradotto dal titolo originale), diventa una lettura essenziale in quanto contestualizza la supremazia bianca e umanizza la vita di uno schiavo, per molti aspetti una rarità nel canone della letteratura nera negli Stati Uniti. Si tratta della storia e della vita di Cudjo Lewis (2) nato Oluale Kossula (1841 circa), in Africa occidentale, rapito e venduto come tutti gli schiavi, cinque anni prima che la Guerra Civile finisse. Un uomo che ha vissuto l'intera tragedia della tratta degli schiavi in una vita.

Una storia particolarmente degna di nota, se teniamo conto di molte descrizioni e dinamiche che stanno alla base della tratta degli schiavi.

Nel maggio del 1859 i tre fratelli Meaher e Foster, capitano della nave Clotilde, salparono dalle coste statunitensi, destinazione il porto di Dahomey, l’attuale Benin, con la ragione ufficiale di caricare olio di palma rosso. Tornarono invece con 116 prigionieri, divisi tra donne e uomini, ridotti a carico di bestiame, stipati e rattrappiti nei settanta giorni di navigazione dell’ultima nave negriera [Clotilde ndr.].

Scritto nel 1931, ma pubblicato negli Stati Uniti solo nel 2018 da HarperCollins, ottenendo uno straordinario successo, Barracoon illumina brillantemente, coinvolge e fornisce alcuni dettagli sul corso della tratta degli schiavi che persino la stragrande maggioranza degli americani sembravano ignorare: infatti si sono stupiti nel leggere che, nonostante l’importazione forzata di esseri umani fosse stata abolita negli Stati Uniti fin dal 1807(3), nel 1860 altri schiavi venissero catturati e portati a bordo di una nave negriera e venduti eludendo la legge del marzo 1807. La nave attraccò, in segreto, a Twelve Mile Island e i prigionieri vennero portati di notte sulla terra ferma. Clotilde fu bruciata e affondata per non lasciare tracce, mentre di notte, gli schiavi risalirono con un vaporetto il fiume Alabama fino alle piantagioni.

Il fatto poi che le tribù costiere del regno di Dahomey andassero nell’entroterra per razziare altri villaggi e catturare giovani maschi e femmine per venderli ai commercianti Euro-americani, (4) è novità. Finora conoscevamo la “storia dello schiavismo raccontata”, come dice la Hurston “dalla parte del venditore, ma non una parola dal venduto; dai re e dai capitani, le cui parole muovevano le navi, ma non una parola dal carico. I pensieri del "avorio nero", la "moneta dell'Africa", non avevano valore di mercato. E qui, appunto, abbiamo i ricordi, le memorie dalla prospettiva del prigioniero, dello schiavo, e non più la storia mediata.

“Africa Town”

Quando  Zora Neale Hurston incontra la prima volta per intervistarlo, Cudjo Lewis (questo è il suo nome da schiavo) lui aveva 86 anni. E da 67 viveva da uomo libero in un Paese straniero, dopo 5 anni e sei mesi in schiavitù. Per questo possiamo dire che Kossula non era un vero e proprio, come diremmo oggi, “afroamericano”. Era un africano sradicato con forza per sempre e posto in questa strana terra che fu costretto a chiamare casa.

A Mobile, Alabama, Cudjo era sposato con Abile, una giovane donna che era stata anche lei sulla Clotilde, aveva famiglia con cinque figli (5) e trascorse cinque anni, come proprietà di Timothy Meaher, fino alla fine della guerra civile - cinque anni dopo la cattura, la schiavitù e quindi l’emancipazione – quando gli africani si ritrovarono finalmente liberi. E da liberi volevano disperatamente tornare a casa, alle loro famiglie e comunità in Africa. Ma non riuscirono a raccogliere abbastanza soldi per il viaggio. Decisero allora di rimanere in Alabama e creare una città tutta loro. Poiché Timothy Meaher era stato responsabile del loro calvario, decisero di chiedergli dei risarcimenti sotto forma di terra libera. Meaher rifiutò la  richiesta, consentendo loro però di comprare  un po’ di terra lì. Allora misero insieme i loro soldi e così fondarono la città africana: Africa town, situata a pochi chilometri da Mobile, Alabama, che detiene ancora discendenti fino ad oggi (6).

La sua fondazione è unica tra la maggior parte delle storie di città nere nelle Americhe.

All’inizio, questa comunità fu istituita come un modo per vivere separatamente non solo dalle Americhe bianche, ma anche dagli afro-americani che li consideravano dei “selvaggi”. Stando a Kossula/Cudjo, tutte e due le  comunità nere erano culturalmente diverse l'una dall'altra, perché i discendenti degli schiavi neri non sentivano una vita collettiva, comunitaria in senso stretto, come quelli della Clotilde.

Ironia della sorte, nonostante il loro desiderio di vivere separati dalla società americana, la comunità ha raccolto una considerevole attenzione locale e nazionale durante i molti decenni della sua esistenza. Infatti ciò avvenne mentre cercavano disperatamente di preservare le radici della loro cultura africana: il senso della comunità, del bene comune, dell’appartenenza, creando diverse strutture, tra cui una chiesa, una scuola, un centro sperimentale di medicine tradizionali africane etc.;  della cultura americana (ma molto africanizzata) c’era solo la Union Baptist Church.

Il viaggio di "Madre del mondo primitivo"(7)

Quando la Hurston visitò Africa Town per la prima volta, nel 1927, Lewis era l'ultimo sopravvissuto della Clotilde e tutti i suoi compagni erano morti. Durante gli ultimi anni della sua vita molti scrittori e giornalisti lo avevano intervistato, ma è stato solo con Zora Neale Hurston, nata in Alabama, che lui ha sentito di avere una persona vicina. Lei lo ha filmato, ed è quindi l'unico schiavo africano di cui esiste un'immagine in movimento.

La Hurston, oltre ad essere nera, era stimata antropologa che ha guadagnato il soprannome di “Madre del mondo primitivo” da Franz Boas, conosciuto come il "padre dell'antropologia americana", che l’ha coinvolta in moltissime ricerche antropologiche. Lo testimoniano le sue diverse ricerche,  studi e pubblicazioni. (8)

Durante gli incontri, Cudjo Lewis descrive le sensazioni, i ricordi, ancora custoditi, il dolore sperimentato negli anni della schiavitù : egli parla della sua famiglia, di quei figli che lui ha tanto amato e che non sono mai riusciti ad adattarsi all’emarginazione razzista di cui sono stati tutti vittime. E' da ricordare - e questo ci porta direttamente all’America di oggi - che quando nel 1927 incontra per la prima volta la Hurston, Cudjo Lewis viveva da solo. I suoi cinque figli erano tutti morti: chi a colpi d'arma da fuoco da un funzionario della polizia locale, e “senza motivo”, chi scomparso senza lasciare traccia, chi per mano dei suprematisti bianchi come i KKK, chi trovato morto “colpito da un treno”. Del quarto non si sa dove sia finito. 

Solo la figlia, l’unica figlia, sarebbe “morta di morte naturale”. In tutto questo senza ricevere una briciola di giustizia, nonostante abbia “urlato giustizia in tutti gli uffici ed orizzonti”. Alla fine anche la moglie muore lasciandolo completamente solo.

La Hurston registra tutto questo: pensieri e angosce non rivelate, prima traducendo quegli stati d’animo in una storia di vita, trasformando una drammatica esperienza collettiva, in un racconto pronto ad essere fruito, che nessuno avrebbe mai dimenticato.

Nel 1931, la Hurston tornò in Alabama, a Plateau e vi trascorse tre mesi per completare le peripezie di Cudjo Lewis. Qui c’è un passaggio interessante quando la Hurston dice che voleva chiedergli molte cose, voleva sapere chi era e come era diventato schiavo; a quale parte dell'Africa apparteneva e come era riuscito a diventare un uomo libero…. voleva sapere della sua storia, perché voleva scrivere la storia di Oauole Kossula e di Cudjo Lewis.

Prima di rispondere egli rimase a lungo in silenzio e la guardò stupito. Poi spiegò quasi scandalizzato: “prima di raccontare della propria storia, bisogna raccontare quella degli antenati, del luogo di nascita, delle montagne attorno alle quali  uno cresce, dei fiumi, della propria gente…”. Una risposta eccellente per chi conosce la filosofia Ubuntu: “Io sono perché appartengo ad altri”. “Senza gli altri [Cudjo] è nulla”.

Hurston è stata la geniale scrittrice che ha costruito una relazione (9) ed è riuscita a ottenere la sua storia: Barracoon. Una storia avvincente che sarebbe quasi impossibile descrivere senza immergersi nella comunità e nella persona.

In tempi lontani, altri giornalisti, scrittori avevano intervistato Kossula, ma nessuno aveva ricevuto il livello di accesso che la Hurston ottenne, rompendo il formato dell'osservatore degli obiettivi. Con doni che rammentano i prodotti della sua terra, di pesche, di granchi blu...

Da buona antropologa la Hurston ha snocciolato i riti natali di passaggio in Africa, i costumi del matrimonio e i sistemi di giustizia basati sulla comunità, accodando la sua ricerca con i giochi di memoria e le fiabe dell'infanzia di lui, rituali che onorano generazioni e che sicuramente non si troverebbero presentate nelle pubblicazioni del mondo accademico.

In conclusione, sebbene sia la Hurston che Lewis siano scomparsi già da molto tempo, abbiamo un documento storico riuscito che tratta una questione storicamente rilevante grazie a una formula capace di intrattenere e far riflettere. Lo slogan di questi tempi “BLACK LIVES MATTER”, vuole anche ricordare l’America che deve molto ai discendenti di schiavi africani che hanno sacrificato così tanto per costruire e fare grande l’America. La storia di Barracoon restituisce quindi alla memoria un periodo drammatico della storia umana e sociale prolungato nei secoli (in verità 400 anni), conclusosi de jure, con l’abolizione formale della tratta, ma de facto, non ha coinciso con l’abolizione sostanziale.

 

NOTE:

 (1)Barracoon, deriva dallo spagnolo "barraca" o "capanna", uno spazio fisico, recintato, all’interno del quale gli schiavi venivano confinati per e  alcune settimane in attesa di essere nelle Americhe.

(2) L'uomo noto come Cudjo Lewis fu l'ultimo sopravvissuto del gruppo di Clotilde, che arrivò a Mobile l'8 luglio 1860, illegalmente e al riparo della notte, 52 anni dopo che il paese aveva abolito il commercio internazionale di schiavi. Tra il 1860 e il 1861 i tre Meaher furono processati e multati per importazione illegale di schiavi.

(3) The Act of Prohibiting the importation of Slaves, del marzo 1807, dichiarò illegale qualsiasi   partecipazione al traffico internazionale di schiavi e vietò la tratta di africani. La nave Clotilde fu l'ultima nave negriera nota a portare schiavi dall'Africa negli Stati Uniti, a Mobile Bay, Alabama, nell'autunno del 1859 (alcune fonti danno il 9 luglio 1860), con 116 schiavi di etnia Tarkbar.

(4)   Barracoon ci dà lo sguardo interiore sulle guerre interne regolari tra i popoli africani, e su  come i re e altri capi, come quello di Dahomey, hanno usato il commercio degli schiavi per aumentare il proprio potere e la propria ricchezza rispetto alle altre popolazioni.

(5) Per marcare il suo attaccamento all’Africa e cultura d’origine, Kossula/Cudjo Lewis ha dato nomi americani e Yoruba a quattro dei suoi figli e nomi Yoruba solo a due: Celia/Ebeossi, Young/Cudjo, David/Adeniah, James/Ahnonotoe e Aleck/Iyadjemi, Pollee/Dahoo.

(6)  I loro discendenti risiedono ancora nella zona, in una comunità conosciuta come Africa Town, un quartiere di Mobile. Sono coinvolto nella conservazione e promozione del retaggio culturale di Africa Town.

(7) Studiosa del “folklore”, Zora Neale Hurston è stata una figura di spicco nella letteratura afro-americana del XX secolo. È stata l’esuberante autrice del romanzo The Eyes Were Watching God (I loro occhi guardavano Dio) del 1937, considerato il suo capolavoro, e una cinquantina di libri tra raccolte di racconti, saggi e drammi teatrali. Ma Hurston è diventata famosa a New York soprattutto per aver fatto parte del ricco movimento culturale degli anni ’20 e ’30, chiamato The Harlem Rinascimento.

(8) Hurston ha studiato antropologia alla Howard University e al Barnard College, e il suo lavoro di scrittrice si è intrecciato con i suoi studi sul “folklore” nero del sud. Ha scritto i romanzi, Jonah’s Gourd Vine (1934), Mosè, Uomo della montagna (1939); ha pubblicato gli studi sul folclore Muli e uomini (1935) e Tell My Horse (1938); e l’autobiografia, Dust Tracks on a Road (1942). Tutti questi ed altri, riscoperti negli anni ’70 dello scorso secolo grazie a Toni Morrison e Alice Walker, che l’hanno battezzata come una pietra miliare della letteratura afroamericana.

(9)Lo sforzo grande di Hurston è stato quello di lasciare intatto l'imperfetto inglese di Kossula, trascrivendo quasi interamente in Pigeon English, dal momento che Cudjo Lewis on ha mai imparato a leggere o scrivere in inglese. Kossula si appoggia direttamente al ruolo di griot. E Hurston gli dà lo spazio per essere soggetto, narratore e protagonista allo stesso modo.

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