Pierpaolo Vettori - L'imperatore delle nuvole - recensione a cura di Giulia De Martino

Pierpaolo Vettori

L'imperatore delle nuvole

Neri Pozza, 2023

 

La dedica a Philip K.Dick deve da subito chiarire verso che tipologia di romanzo ci stiamo indirizzando. Come si sa, il romanzo di fantascienza o fanta politica distopico o ucronico che sia, è un contenitore di temi, immagini, archetipi e tecniche narrative che servono soprattutto a parlarci dell'oggi rappresentando il futuro o distorcendo un passato mai avvenuto per dirci come altro avrebbe potuto essere.

Ebbene lo scrittore ci presenta un futuro molto vicino, il 2026, rappresentando la realizzazione concreta di quanto gli stati europei auspicano di fronte all'avanzata dei poveri e oppressi del mondo che dall'Africa bussano alle porte del Mediterraneo: perché no un bel Muro piazzato tra le rive del Mediterraneo e il deserto, che occupa la fascia che va dalla Libia alla Egitto? Ventilando ipotetici permessi a chi scappa da guerre, violenze, fame e mancanza di libertà, secondo le direttive democratiche di un'Europa rispettosa dei diritti dell'uomo. In realtà, pura ipocrisia, perché quasi nessun permesso viene elargito, con sotterfugi vari e una capacità di respingimento inflessibile. Quelli che passano sono solo turisti, diplomatici, militari, affaristi. Ma di notte è un'altra storia: è l'ora dei clandestini che non hanno in mano nessuna carta da esibire, ma vogliono passare come tutti gli altri: di notte non vige più l'ipocrisia diurna e si scatenano cacce e violenze di ogni genere. Sono le immagini più crude che troviamo nel testo, altro che torture dei libici...

Il protagonista, Franco Zomer, è una delle centinaia di guardie della Migra, come viene comunemente chiamata la polizia dell'emigrazione, disposta su più di mille kilometri. Fa questo lavoro di certo non per passione, anzi seguendo le orme del padre, già poliziotto di confine, controvoglia e con un astio verso il genitore che si mostrava soddisfatto nello svolgerlo. Ha tentato altre strade, ma le ha abortite tutte, compresa l'università, che però gli ha lasciato un amore per la poesia, del tutto insolito nell'ambiente in cui deve operare. E' un tipo schivo, non facile alla socialità, perso dietro un ricordo infantile di una sorellina morta, forse per colpa sua, o almeno lui crede.

Il Muro di cui si parla, se pure ci richiama quello di Berlino o quello al confine statunitense-messicano non è brutto e triste, anzi tecnologicamente avanzato, tutto vetro e metallo, con torri e ambienti attraenti, pieno di schermi scintillanti, musiche, pubblicità mirabolanti, sensori potenti per rilevare qualsiasi tentativo di ingressi forzati: tutto è fatto per mostrare la potenza dell'Europa. Anzi è in atto la costruzione di un nuovo settore che inglobi da un lato il Marocco e dall'altro Grecia e Turchia più bello e portentoso ancora. Tuttavia chi opera presso il Muro è sì un europeo, ma considerato male dai veri europei benestanti che l'area la frequentano solo per i resort mediterranei o i safari archeologici-ambientali in zone impervie. L'africanità lambisce gli abitanti che lavorano al Muro, provenienti dai più disparati paesi europei, per il fatto che vivono in cittadine inventate dal nulla, senza storia e comodità e perciò fatti a segno di un certo disprezzo. Città sorte in una zona inaridita non dai cambiamenti climatici, ma resa sterile da prodotti chimici, per evitare che i migranti possano trovare rifugio in zone di verde o impedire che vi possano trovare acqua o fonti di cibo.

Come si può resistere in un posto simile, a fare ciò che sono costretti a fare le guardie? In aiuto ancora la chimica...sotto forme di mille droghe anfetaminiche o alcol a fiumi per sopportare questa routine. Fatto tollerato dalle autorità,il tutto però regolato da regole ferree: gli orari, la puntualità, l'esame delle urine mensili per indagare il tasso di droga nel sangue, per evitare spiacevoli incidenti. Ramadan viene chiamato il periodo in cui le guardie non assumono sostanze per poter passare i controlli: la disciplina è tutto, altrimenti si rischia la Punizione, applicata secondo rituali di igiene e salvaguardia della vita, ma non per questo meno crudele e umiliante. Le guardie si coprono l'un l'altro per evitare spiacevoli inconvenienti e vige l'omertà del “non si tradisce mai un compagno”, facendo la spia.

A questo punto s'immagina un libro sui problemi dell'emigrazione e sulla violenza delle polizie. Ma non è così. Oltre alla poesia troviamo una storia d'amore ( o forse è la stessa cosa) tra Zomer e la bella collega Penelope, cui lui non osa dichiarare mai i suoi sentimenti; troviamo anche i miti e le leggende che nascono tra le persone disperate per consolarsi della loro situazione, come quella del Serpente trasformista o della Balena, con tanto di libretto religioso di profezie. Come in molti testi di fantascienza di Philip Dick c'è una certa attenzione a tutto ciò che altera la coscienza o a ciò che mette in contatto parti della psiche altrimenti irraggiungibili. Ecco arrivare il clou della vicenda: la comparsa di pilloloni denominati Moby Dick, illegali, ma non tanto come si scoprirà, che addirittura possono riportare ad eventi passati e farli rivivere avendo la possibilità di cambiarne il corso. Ma l'effetto finisce prima che il cambiamento desiderato si avveri, costringendo a prenderne all'infinito, pensando a quel passato che ci ossessiona.

Se la prima parte del romanzo è più centrata sul Muro, sulla vita dei suoi abitanti e dei migranti, nella seconda parte il centro è più su queste esperienze mentali indotte e sull'incrociarsi dei sentimenti del protagonista con le attese di utopiche speranze che possano cambiare la vita. Con le pasticche di Moby Dick ( un nome, un programma..)

Zomer torna ad essere l'imperatore delle nuvole, uno scherzo che inventava per la sua sorellina. Forse Zomer riuscirà a intessere una relazione con Penelope, chissà.  Ma a guardarlo bene questo muro poi, non è altro che la rivelazione dello stato dell'Europa di oggi: non più forte come un tempo, la cui tecnologia, come la sua economia, scricchiola: basta prestare attenzione a tutto ciò che non funziona nelle armi, nei pick up sgangherati su cui transitano di notte le guardie nel deserto, nelle condutture dell'acqua capaci di generare solo disgustosi liquidi marroni impossibili da bere e con cui lavarsi, data l'alterazione della natura operata in quelle zone. Un mondo tuttavia desiderato, come è desiderata l'Europa da parte dei migranti e delle guardie: tutti desiderano le stesse cose , anche inutili e dannose.

La profezia della balena che salverà diecimila esseri umani dalla distruzione del pianeta in un secondo diluvio universale fa intravedere la possibilità per gli africani di essere gli unici a sopravvivere per portare una nuova speranza al mondo incattivito e distrutto. I migranti sono tutti giovani o bambini, con poco passato alle spalle e non sono poi molti quelli che restano intrappolati nel passato da cambiare, offerto dalla droga Moby Dick, e credono che prima o poi saranno aiutati . Non c'è Dio in questo romanzo, ma dio: forse non si crea una religione, ma sicuramente una misticheggiante utopia collettiva e, si sa, le utopie smuovono le montagne. Molto efficace risulta la descrizione dei tanti personaggi di primo piano o in apparizioni fugaci ma incisive, il sottobosco dei trafficanti di droga, le collusioni delle alte sfere di potere sulla sua diffusione. Le illusioni su cui si regge il mondo occupano gran parte di queste pagine.

Non solo il problema migratorio è al centro di questo libro, ma la condizione umana stessa: la presenza della poesia, anche sotto forma di canzoni, ci indica che c'è ancora qualcosa che ci fa sperare, sognare, guardare la realtà con gli occhi della fantasia, intravedere un legame tra il dentro e il fuori. Un romanzo molto emotivo che prende fin dalle prime pagine, non solo per la trama ma anche per il lirismo che emana da molte pagine.

 

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