'Ala al-Aswani - La dittatura- racconto di una sindrome - a cura di Giulia De Martino

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 'Ala al-Aswani

  La dittatura

  racconto di una sindrome

  Feltrinelli, 2020

  traduzione di Giancarlo Carlotti

 

 

Non ce l’ha fatta l’autore del celebre “Palazzo Yacoubian” a restare in Egitto: troppo forte la pressione sulla sua persona da parte del regime di Al- Sisi e le minacce concrete rivolte alla sua vita, in seguito agli interventi critici nei confronti di quella che, a tutti gli effetti, si può chiamare l’ennesima dittatura egiziana. E’ partito per gli Stati Uniti da dove non cessa di analizzare e comprendere quello che sta avvenendo in Egitto e le ragioni di una apparente propensione degli egiziani per l’autoritarismo e le figure forti che lo hanno incarnato, a partire dalla ‘rivoluzione’ nasseriana dei primi anni’50.

 

Il testo che vi presentiamo traduce in termini di saggio quanto era già stato mostrato nel romanzo “Sono corso verso il Nilo” del 2018, recensito sul nostro sito. Non essendo un saggista di professione, ci sia concesso dirlo, il linguaggio scorre semplice e lineare, ricco di esempi chiarificativi, con l’intento di raggiungere, in modo divulgativo, una grossa fetta di pubblico occidentale. Talvolta certi paragoni o giudizi sono un po’ superficiali e sbrigativi, ma non inficiano l’impianto complessivo del pensiero espresso dallo scrittore.

La sua professione originaria di medico dentista lo porta ad esprimersi, nei confronti delle dittature, in termini di malattia, anzi di sindrome, di cui individua i sintomi e la cura, anche se quest’ultima risulta esposta in modo un po’ meno incisivo. Avverte anche che è inutile, come pretendono alcuni, cercare di curare semplicemente i sintomi: come ogni medico sa, il male deve essere stroncato in profondità, ricercandone le cause, altrimenti si effettua una cura solo palliativa che, in qualche caso, può peggiorare il quadro generale.

Al-Aswani ci aiuta a comprendere le caratteristiche non solo dei vari Nasser, Gheddafi, Saddam Hussein,Amin Dada e Bokassa, solo per citarne alcuni, ma anche dei’ nostri’ Hitler, Mussolini e Stalin: in definitiva certi comportamenti autoritari e dispotici, al di là delle differenze storico-politiche, sono sorprendentemente simili.

Il testo si apre con un esempio illuminante, dalla cui analisi partono i 6 punti successivi in cui si racchiudono i sintomi principali con cui possono essere rappresentate tutte le dittature.

Nasser, al potere in Egitto dal 1956, negli anni ‘60 aveva avviato un rinnovamento dell’economia e della società egiziane, ma con metodi via via sempre più autoritari, manovrando a sua discrezione esercito, magistratura, polizia, media e i settori culturali in genere. Nel 1967 si infilò sciaguratamente nella guerra dei sei giorni contro Israele: tutto il paese credeva veramente di possedere l’esercito più forte e superdotato di armi del Medio oriente. Le prime dichiarazioni della stampa, radio e tv parlavano di 200 aerei israeliani abbattuti in un giorno e notizie simili.

Il paese e anche quasi tutte le masse arabe africane e mediorientali erano al massimo dell’euforia. Finalmente era giunto il momento del riscatto. La doccia fredda dell’armistizio, a cui fu costretto Nasser in pochissimi giorni, gettò gli egiziani nel buio più totale e si paventarono caos di ogni genere. Quando il presidente parlò in tv, rivolgendosi alla nazione, sorvolando sulle vittime e sui territori occupati, parlando di complotto internazionale colonialista, milioni di persone si precipitarono piangendo in strada, supplicando il loro leader di restare, dato che aveva annunciato le sue dimissioni, per servire il paese come soldato semplice. Due giorni dopo quelle manifestazioni di massa annunciò che si piegava alla volontà popolare e ritirava le dimissioni...

 

Al-Aswani mette in scena, in paragone, la Gran Bretagna alla fine della seconda guerra mondiale: Churchill era stato l’eroe artefice della vittoria contro il nazismo, popolare e stimato, ma alle elezioni del luglio 1945 non fu rieletto come premier. La voglia di riforme, dopo gli scenari di guerra, aveva indotto gli inglesi ad una considerazione: l’uomo che aveva fatto miracoli nello sforzo bellico non era giudicato adatto per condurre il paese nel processo di ricostruzione post-bellica e scelsero un membro del partito laburista.

Ci siamo dilungati su queste pagine perché contengono in nuce tutti gli interrogativi cui Al-Aswani cerca di rispondere nel resto del testo.

Come si fa a non ritenere Nasser responsabile personalmente del disastro a cui aveva condotto il paese, a chiedergli di restare al potere, a temere più il ‘dopo di lui’ che il ‘senza di lui’?

Troppo semplicistico rispondere che gli egiziani sono musulmani e che l’islam è talmente lontano dalla democrazia da rendere gli arabi più disposti ad accettare l’autoritarismo. Perché allora dovremmo spiegarci come mai abbiano conosciuto la dittatura l’Italia, la Germania, la Spagna, il Portogallo, l’Argentina, il Cile, la Romania ecc. Non tutto si spiega con il potere delle armi e della repressione.

Al-Aswani crede di trovare qualche risposta sensata in un testo del 1576 di Etienne de La Boétie, filosofo francese amico di Montaigne, che aveva riflettuto sulla servitù volontaria ne “Il discorso sulla servitù”, su cui sono ritornati a ragionare, in Italia, intellettuali moderni come Luciano Canfora e Paolo Flores d’Arcais. Il punto qualificante del ragionamento del filosofo francese è che la libertà è una naturale propensione dell’essere umano, caratteristica comune al mondo animale. Il tiranno è un singolo individuo che faticherebbe moltissimo a tenere un intero popolo soggiogato; anche se detenesse il potere assoluto con polizia, esercito, agenzie di sicurezza nelle sue mani, non gli sarebbe possibile ridurre all’obbedienza un paese se i suoi abitanti non accettassero questa sottomissione volontariamente, derogando ad una predisposizione naturale.

Il popolo che si sottomette ad un dittatore perde a poco a poco la voglia di essere libero, produce generazioni che non sanno neanche che cosa sia la libertà e perciò non sentono la mancanza di ciò che non hanno mai sperimentato. Purtroppo la maggioranza delle persone non è contraria in linea di principio alla dittatura, finché non prende una brutta piega e non danneggia i suoi interessi privati. Fortunatamente esisteranno sempre individui che la libertà non smettono di sognarla e immaginarla e saranno tentati di liberarsi, rifiutando la sottomissione. Ma storicamente sono sempre stati una minoranza...

 

La dittatura esprime insomma una relazione malata tra chi governa e il popolo che vi si accomoda. Discutere oggi di dittature in Europa o negli Stati Uniti, a distanza di tanti anni dalle esperienze del nazifascismo, non è la stessa cosa che per l’Africa, il Medio oriente, l’America latina e l’Asia, dove regime autoritario vuol dire non solo violazioni della libertà e dei diritti umani,ma anche corruzione, inefficienza, povertà, mancanza di istruzione e di una sanità decente. Quando i cittadini occidentali si mostrano allibiti, infastiditi o inorriditi dalle migliaia di migranti che affrontano mari e deserti, rischiando la morte, è da tutto questo che cercano di allontanarsi. Quando sei povero sotto una dittatura sai che i posti in cima e la vita piacevole che garantiscono sono un privilegio riservato a pochi eletti e che, per quanti sforzi tu possa fare, non ti tirerai mai fuori dall’abisso. L’unica cosa che puoi fare è scappare, a qualsiasi costo. Oggi questo riguarda anche alcune democrazie occidentali, ma decisamente si emigra con molti meno rischi, soprattutto di morte.

Un sintomo importante da rilevare è quando comincia a nascere il bravo cittadino che cresce con la chiusura progressiva degli spazi di libertà. Il suo orizzonte non va oltre le necessità della vita quotidiana, del perimetro delle sua famiglia: sottostando ad alcune regole nel lavoro e nella società, sta tranquillo, sapendo che opporsi è inutile, significherebbe solo il disastro, la tortura e la morte.

A parte il guadagnare sufficientemente per assicurare una casa decente e lo studio dei figli, il calcio sacrosanto e il sesso nel giorno di riposo (assicurato dalla vendita resa libera del viagra), che gli importa di elezioni libere, di una nuova costituzione e della repressione degli oppositori... Chiunque vorrà turbare il trantran che gli regala il dittatore sarà considerato uno schifoso agente al soldo di qualche potenza straniera o uno sconsiderato idiota innamorato di paroloni come democrazia che non servono a nulla.

La rivoluzione aggredisce il suo micromondo, assale la sua coscienza costringendolo a dubitare delle sue strategie di sopravvivenza in una dittatura. Il manifestante, l’oppositore, sono da cacciare o incarcerare. Il bravo cittadino vede solo il lato positivo del dittatore: “la sicurezza, un posto di lavoro garantito e una vita senza scossoni sotto l’egida di un uomo forte, paternalista, che lo tiene al riparo dai mali del mondo”. Parliamo naturalmente del cittadino medio, che spesso è l’asse portante di molte dittature.

Il bravo cittadino cede alla teoria del complotto, perfetta per la conformazione psicologica della maggior parte dei dittatori, che in questo modo si auto assolvono sempre.

Essendo i cittadini di uno stato autoritario disprezzati e coccolati ad un tempo, il tiranno di turno deve aiutarli a pensare in ‘modo corretto', perché non sanno proprio pensare con la loro testa: la macchina mediatica si mette in moto per cementare l’idea di un complotto nella mente delle masse. Queste, stregate dal carisma del leader, odieranno, uccideranno perfino i membri dell’opposizione o quei giovani che hanno osato ribellarsi ai padri come ai dittatori: sono solo una cricca di traditori che dovrebbero essere eliminati. Del resto i sostenitori dello zar Putin non si sono mostrati da meno, soprattutto con i giornalisti di opposizione.

Di che cosa hanno paura i bravi cittadini? Che le rivoluzioni e i cambiamenti possano avere successo e aprire il paese al caos e alla guerra civile. La teoria del complotto è inoltre utile perché impedisce di chiedere conto al dittatore dei suoi errori e dei suoi crimini. Il dittatore può sempre incolpare il grande complotto di ogni fallimento incontrato, dimostrando, con la repressione, di essere l’unico capace di salvare la situazione. Finché la nazione è minacciata, la democrazia può attendere, prima viene il ‘bene’ del paese...Che importano i ragazzi di piazza Tahir torturati, i Giulio Regeni massacrati e uccisi, i Patrick Zaki, illegalmente detenuti: le misure straordinarie servono a proteggere il paese!

Il complotto serve anche a giustificare ed estendere il processo di disumanizzazione degli avversari o di una categoria di cittadini indicata come il male di cui liberarsi. Emblematico è il processo di disumanizzazione operato da Hitler nei confronti degli ebrei, preparatorio della soluzione finale dell’Olocausto, di cui molti arabi, in odio allo stato di Israele, continuano a negare o a conoscere l’esistenza.

Questo abitua i cittadini a quella che Al-Aswani chiama mentalità fascista e intollerante. In famiglia, sul posto di lavoro, a scuola e all’università, in moschea o in chiesa, per strada o con le lettere alle rubriche di giornali e trasmissioni televisive comincia a essere dominante l’idea che pareri diversi, libertà d’opinione e comportamenti divergenti siano da condannare. I cittadini diventano più dispotici del tiranno stesso.

Forse gli italiani e i tedeschi che si spellavano le mani entusiasti nei raduni di Mussolini e Hitler erano tutti diventati idioti per abboccare alle fandonie propalate dai loro leader? Certo erano preda di fascinazioni davanti al presunto carisma dei capi, sostenuto dal totale possesso dei media e della cultura, non soltanto dei mezzi di polizia.

Dell’opera di convincimento di massa attuata da cinema, tv, radio, giornali, letteratura, perfino canzoni, l’autore ha parlato diffusamente nel romanzo dedicato alla rivoluzione egiziana, precedentemente citato . Con Nasser , Sadat, Mubarak e oggi con Al-Sisi nessun attore, regista o cantante trova ingaggi se non è allineato, né tanto meno un giornalista può fare carriera se non è disposto a pubblicare notizie addomesticate o addirittura inventate, e uno scrittore, per lo stesso motivo, non trova editori.

Agli intellettuali l’autore dedica parecchio spazio, del resto è il suo settore, anche se è un dentista prestato alla letteratura, proponendo esempi tratti da vari paesi ( Italia, Germania, Russia sovietica, Cuba , Iraq ecc.) oltre che dall’Egitto: del servilismo totale o parziale, della loro presunta neutralità o della costrizione all’esilio sono piene le pagine di storia sin dai tempi di Ottaviano Augusto, aggiungiamo noi... Talvolta la pressione sulla cultura si allenta a dimostrare la magnanimità dei leader.

 

Un altro sintomo preoccupante è l’utilizzazione della religione per tenere agganciato il popolo. Al laico massone Mussolini non convenne forse un patto con la Chiesa cattolica per convincere molti cattolici riottosi, lanciandoli in Africa per portare agli indigeni cristianesimo e civiltà?

Nasser, per esempio, aveva dato un’impronta laica al suo stato, tuttavia, tramite i media, seppe distogliere l’attenzione delle masse, nel periodo seguente alla sconfitta del ‘67, con l’insistenza su certi miracoli connessi all’apparizione della vergine Maria in una chiesa copta ( ricordiamo che i musulmani, come i cristiani, venerano la figura di Maria, madre del profeta Gesù, cioè Isa ibn Maryam).

In Egitto i dittatori lottano contro i Fratelli musulmani dell’ala più oltranzista, colpevoli di contender loro il potere, con la fondazione di un califfato islamico retto dalla sharia; ma si sentono accresciuti nel proteggere la morale corrente di una religione, vissuta in un modo formale, attenta alle prescrizioni e ai riti, ( una specie di assicurazione per l’aldilà), piuttosto che alla dimensione spirituale. Al- Aswani pronuncia parole molto dure verso il modo di intendere la fede di molti suoi connazionali.

L’autore non risparmia Arabia Saudita, patria del wahabismo, e paesi del Golfo: religione e dispotismo, concezione feudale dello stato come possesso privato, parlamentarismo di facciata sono un mix esplosivo: questo non impedisce ai paesi occidentali di fare ottimi affari con loro...

Dedica inoltre una attenta analisi all’islamismo, per distinguerlo dalla religione musulmana comunemente praticata: l’ossessione islamista per la distinzione tra i diritti dei credenti e quelli degli infedeli ricorda molto da vicino la maniera in cui il dittatore vede il mondo. Nei sistemi dittatoriali gli oppositori sono trattati come gli infedeli agli occhi degli oltranzisti islamici. Ideologia della violenza, logica della colpa collettiva e disumanizzazione sono tratti comuni ai due campi. Uno che entra in un locale e ammazza chi incontra, non vede le persone, vede solo un numero di avversari tutti colpevoli di non voler credere e seguire le idee del califfato: può uccidere impunemente, senza sentire il minimo senso di colpa. Proprio come un Gheddafi , un Hitler o un Saddam Hussein.

La logica dello sciovinismo, degli Italiani o Americani prima di tutto, il razzismo, le teorie del complotto, la voglia di uomini forti impastati di populismo, salvatori nei momenti di confusione etica, politica ,sociale ed economica oggi sta toccando anche i paesi dell’Occidente: vigiliamo tutti, ci suggerisce Al-Aswani...

Un libro interessante che fa pensare parecchio, istituendo connessioni molto suggestive tra dati apparentemente non simili, ma che offrono stimoli soprattutto a chi non si è mai particolarmente avvicinato a questi argomenti.

 

 

 

 

 

 

 

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