Caterina Borelli- Memoria necessaria-Guida critica a 12 luoghi della Roma coloniale - recensione a cura di Giulia De Martino

                                                                   

 

 

 

 

 

 

 Caterina Borelli

 Memoria necessaria -Guida critica a dodici luoghi della Roma coloniale

 Viaindustriae Publishing, Foligno,2022

 

 

Vogliamo segnalarvi l’apparizione di un libretto di un centinaio di pagine, presentato dalla stessa autrice in diversi luoghi di Roma e altrove, che si presenta, come cita il sottotitolo, in veste di “Guida critica a dodici luoghi della Roma coloniale”.

Prima di parlarvi del testo è bene spiegare che l’autrice, artista e regista, si era già interessata di memoria coloniale attraverso il docufilm "Asmara, Eritrea" del 2007, con immagini estremamente significative di questa città e interviste a giovani, che sembravano non avere contezza del passato coloniale italiano e a meno giovani che raccontavano di eccidi e discriminazioni, violenze e soprusi, di razzismo delle leggi razziali e abusi di corpi femminili. Sicuramente è stato un contributo all’inclusione di questa città nel Patrimonio culturale dell’Unesco, avvenuta nel 2017, non senza polemiche e disapprovazioni, nazionali e non.

La Borelli, tornata a Roma, dopo circa trent’anni di lavoro all’estero come filmmaker indipendente, ha capito che la toponomastica cittadina, i monumenti, i mezzi busti e le targhe commemorative, gli edifici del ventennio fascista vivevano nella più totale indifferenza dei cittadini e dei turisti, ignorandone il significato e il contesto in cui erano nati.

Non è affatto convinta della frenesia distruttrice della cancel culture, non pensa che si debba buttare giù il monumento ai caduti di Dogali o cancellare i nomi delle strade del quartiere africano nei pressi della Nomentana, i busti del generale Baldissera o del tenente Toselli o rifare il viale del Foro italico ex-Mussolini, tanto per fare qualche esempio. Non si può cancellare la storia, quanto è già avvenuto, ma si può tentare di risvegliare la memoria attraverso la contestualizzazione degli eventi, cancellando, questo sì, l’ignoranza, l’indifferenza, la sterilizzazione del nostro passato coloniale, in particolar modo sul suolo eritreo che è quello durato più a lungo, dal 1890 al 1941. E sbarazzarci una volta per tutte della comoda coperta con cui ci siamo ammantati: italiani brava gente.

Come? L’autrice ha escogitato un itinerario di dodici luoghi (in realtà sono molto di più), corredati di foto attuali e d’archivio, foto delle targhe altisonanti di retorico patriottismo, trasudanti maschia virilità italica, trasudanti disprezzo delle sofferenze delle popolazioni africane che si difendevano da una invasione e occupazione della propria terra. Il tutto condito da personali brevi testi esplicativi sul monumento o strada in questione, e cosa più originale di tutto, proposte al Comune di Roma di targhe alternative che spieghino anche il punto di vista dell’altro: Dogali e Adua sono per gli eritrei non la sconfitta, ma la vittoria, la capacità di resistere, anche se con armi inferiori, all’invasore. Il principe Amedeo di Savoia (quello del ponte che collega il fiume a Corso Vittorio Emanuele) sebbene con minore ferocia di Graziani, restò fedele al programma coloniale italiano fino alla fine, implementando la legislazione razziale. Sono esempi per chiarire che in quelle targhe non ci siamo solo noi, ma anche i libici, gli etiopici e i somali, soprattutto gli eritrei, che dagli anni’90 sono tornati come esuli da dittature e violenze e come rifugiati climatici: noi li trattiamo come se non ci riguardassero o non avessimo responsabilità storica alcuna.

Tutta la scomodità delle vicende della restituzione dell’obelisco di Aksum, posto davanti all’allora Ministero delle Colonie, oggi sede della Fao, durate dal 1947 al 2005, sono rivelate dalla totale assenza di una targa che spieghi l’origine dell’edificio della Fao e il posto indebitamente occupato dalla stele etiopica: oggi c’è un monumento per ricordare l’attacco alle Torri Gemelle del 2001, con tanto di citazione del poeta Santayana: ”Coloro che non sanno ricordare il passato sono condannati a ripeterlo". Ironia o amnesia? Si chiede la Borelli…

Per meglio accompagnare queste proposte di targhe c’è una sezione dedicata ad alcuni sintetici ma significativi interventi di storici, architetti e urbanisti, storici dell’arte, antropologi e giornalisti che allargano la visuale, necessariamente breve delle didascalie della Borelli.

C’è un’ultima parte, che costituisce una sorpresa: come si fa a decolonizzare un museo? Ci si riferisce all’ex-Museo delle Colonie, oggi patrimonio del Museo delle Civiltà, composto da oggetti, opere e testimonianze del dominio coloniale italiano, volti a propagandare l’idea della giusta missione civilizzatrice nei confronti di popolazioni primitive e superstiziose, residui di collezioni di esposizioni che si sono succedute nel tempo, anche in diversi luoghi di Roma.

Nella narrazione di queste scelte espositive si mostravano le armi sottratte ai dominati come trofei di guerra, ma si tacevano le violenze dell’esercito italiano, si esaltava il ritorno imperiale romano con la Venere di Cirene, ritrovata in Libia, ma si sorvolava sul fatto che molti oggetti artistici o rituali erano stati sottratti contro la volontà dei proprietari. Insomma l’attuale museo è impegnato con visite, laboratori, incontri, nel compiere un vero e proprio percorso di riflessione critica, elaborando una museografia partecipativa che speriamo darà i suoi frutti.

Mai titolo di libro fu più azzeccato: la memoria necessaria di cui l’italiano medio ha proprio bisogno…

 

 

 

 

 

 

 

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