David Diop - La porta del non ritorno - recensione a cura di Giulia De Martino

 

 

David Diop

La porta del non ritorno

Neri Pozza, 2023

traduzione di Margherita Botto

 

Vincitore di numerosi premi, sia in Francia che a livello internazionale, per il romanzo Fratelli d'anima del 2019, David Diop affronta di nuovo un nodo storico importante, servendosi di una storia di avventura e passione, quello del colonialismo e della schiavitù.

Se nel precedente romanzo faceva parlare uno sconosciuto soldato africano, mostrando tutti gli orrori della prima guerra mondiale, qui ci troviamo di fronte ad un personaggio realmente esistito, il naturalista Michel Adanson 1), durante i cinque anni di permanenza in Senegal, partito per scoprire alberi, fiori, animali di terra e di acqua, tutto preso da una divorante smania scientifica di leggere e catalogare il mondo, tipico del secolo dei Lumi.

Il protagonista parte nel 1750, a circa 23 anni, curioso e ambizioso insieme, fiducioso di riuscire in un settore che pareva non interessare gli altri scienziati. Era già dilagante l'idea che la Concessione, nome della compagnia di sfruttamento delle risorse umane e non, avesse altro di cui occuparsi piuttosto che dare nomi e classifiche alle piante. Adanson arriva nella penisola di Capoverde e nell'isola di Saint- Louis, dove risiedevano i responsabili europei, con un non precisato incarico, ottenuto tramite le conoscenze del padre (che in realtà lo avrebbe voluto nella carriera ecclesiastica). Le sue mire sono da esploratore scientifico e non da commerciante e tanto meno da schiavista.

La sua storia non la conosciamo direttamente, bensì da voluminosi taccuini scritti, al suo ritorno in Francia, che l'autore immagina vergati per la figlia Aglaé : lasciati in eredità, dopo la sua morte, non solo per motivi di diffusione scientifica, ma per recuperare un rapporto difficile e un tentativo di spiegare il perché di certi suoi comportamenti poco ortodossi.

In effetti la sua brama di volere catalogare il mondo, non servendosi dell'aiuto di nessuno, ma consumando tempo, salute e rapporti umani , a partire da sua moglie e sua figlia è stata deleteria. La sua famiglia sono state le piante, riconoscerà amaramente, il suo metodo di classificazione troppo complesso rispetto a quello di Linneo. Tuttavia quelle volte che accompagnava Aglaé bambina, durante le sue uscite dal collegio, al Jardin des rois, a Versailles, hanno seminato qualcosa nella figlia: l'amore per la natura e la testardaggine di voler conseguire mete apparentemente impossibili.

Aglaè adolescente troverà nel compagno della madre quel padre premuroso e attento ai suoi bisogni che non ha avuto e, di conseguenza, odierà il vero padre, quel tipo distratto, bislacco, assente, deriso da molti suoi colleghi per le sue manie, salvo poi riavvicinarsi a lui quando sarà vecchio e malato. Il padre putativo le regala un castello in Alvernia, per distrarla dalle sue disavventure matrimoniali: chi meglio di Adanson può aiutarla a costruire un parco e una serra?

Questo l'antefatto che precede la lettura dei taccuini da parte di Aglaé, da cui emerge un personaggio per nulla somigliante al burbero e bistrattato Adanson, ma quello di un giovane appassionato che si lascia guidare dall'istinto della sua mente curiosa e dalla sua indole generosa. Per prima cosa, a differenza degli altri europei, impara il wolof e si lega d'amicizia con Ndiak, un giovanissimo figlio di re, che lo segue nelle sue avventure, istruendolo nella botanica e accettandolo nell'espressione delle sue tradizioni, convinzioni religiose, trovandolo non privo di una certa ironia critica nei confronti delle autorità politiche e religiose.

Adanson sente la storia di Maram, la Rediviva, catturata schiava ma tornata libera dalle sue catene dalle Americhe, che vive nascosta nella foresta, a metà strega, a metà selvaggia divinità. Lo scienziato decide che vuole saperne di più su quell'essere misterioso. Così con l'adolescente Ndiak, sua guida, e con una piccola scorta estorta con l'inganno alla Concessione, partono fingendo di voler esplorare la zona del Capoverde, allo scopo di sfruttarne meglio le risorse. Una passione d’amore travolge Maram e il botanico che cambierà definitivamente la sua percezione sull'Africa e gli africani. Partito per trovare piante, troverà esseri umani, per nulla inferiori, ma diversi dagli europei e capirà che ogni popolo ha una sua visione del mondo che lo guida nei suoi atti e credenze. In pari dignità con gli europei.

Non c'è più traccia in lui di una qualsiasi giustificazione allo sfruttamento di esseri umani e risorse. Ma novello Orfeo, nel tentativo di salvare Maram dalla schiavitù, davanti alla porta del non ritorno di Gorée ( in realtà, una licenza poetica per la forza del simbolo, dato che negli anni di cui si parla quella porta non era stata ancora costruita) la perderà per sempre. Tornato in patria, pazzo d'amore e di rimorso, cercherà le sue tracce in un ritratto di donna che le somiglia molto...

E' evidente la simbologia di Maram: è la metafora dell'incontro mancato, è la storia di quello che avrebbe potuto essere e non è stato tra Europa ed Africa, la consapevolezza che apprendere una lingua è capire la cultura che vi si esprime.

Il senso di colpa per non aver potuto salvare l'amata, anzi per avere provocato la sua morte, lo dominerà per il resto della vita: se ha fallito con gli esseri umani, si mette in testa di non fallire con la classificazione delle piante e inizia la sua enciclopedica opera che resterà, peraltro, misconosciuta finché sarà in vita. Dunque il ragazzo partito ingenuo, torna uomo consapevole: una sorta di romanzo di formazione che funziona anche per il giovane Ndiak. I rapporti ambigui dei re locali con gli europei schiavisti allo scopo di mantenere il potere, deformano definitivamente la storia africana: il ragazzo non vorrà essere più re in quel modo, come suo padre o altri potenti locali. Si ritirerà in una zona abitata da saggi religiosi a meditare sui destini incrociati delle storie di Adanson , Maram e di lui stesso, sulle opportunità lasciate perdere o sui casi fortuiti, a pregare per un destino diverso.

Romanzo struggente e melanconico, appassionante, realistico e misterioso insieme, che tiene conto delle specificità dei condizionamenti culturali del XVIII secolo, proprio quel secolo dei lumi che fidava sulla ragione, sulla scienza e il progresso e ha prodotto uno dei bui più dolorosi della storia umana.

 1) Michel Adanson ( Aix-en-Provence, 1727- Parigi,1806) botanico francese di origine scozzese.

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