Fouad Laroui - Le tribolazioni dell'ultimo Sijilmassi - a cura di Giulia De Martino

 

 

 

 

 

  

 

 

  Fouad Laroui

 

  Le tribolazioni dell’ultimo Sijilmassi

  Del Vecchio editore, 2019

  traduzione di Cristina Vezzaro

 

 

 

Di questo autore avevamo già recensito i divertenti racconti de “L’esteta radicale, tradotto nel 2013, e oggi questo romanzo ci sembra una riconferma ancora più raffinata delle sue qualità narrative e delle acute speculazioni sulla società marocchina, sui temi dell’identità e della religione, nonché dell’onnipresente incontro-scontro occidente e oriente, anzi occidente-Maghreb, in particolare.

Un ingegnere quarantenne, Adam, impiegato con un lavoro di prestigio in una società marocchina di fosfati da piazzare soprattutto ai cinesi, in volo su un jet di ritorno a casa, sull’oceano indiano proprio sopra le Andamane, sembra prendere in prestito a Chatwin la domanda dello spaesamento  “Che ci faccio qui ?”. E’ una sorta di illuminazione con cui comincia a confrontare il tempo del veloce e della fretta moderni e il tempo della lentezza  di suo padre e suo nonno, che non sono andati più in là del galoppo di un cavallo e non hanno mai abbandonato i loro orizzonti, vivendo in pace e tranquillità interiore, dediti alla lettura e alla meditazione.  Sceso a terra sembra deciso a mettere in pratica l’epifania del pensiero avuto e decide, con il suo trolley di recarsi a piedi dall’aeroporto, distante una ventina di kilometri, a Casablanca.

Il romanzo vero e proprio comincia da qui: vi immaginate quante macchine, taxi, camion e carretti, gli avranno chiesto se aveva bisogno di aiuto: nessuno può credere alla sua idea di camminare a piedi, nemmeno la polizia che lo ferma come sospetto. La narrazione acquista da subito un sapore picaresco, di avventure paradossali che richiamano l’atmosfera delle avventure di Don Chisciotte, altro personaggio in lotta con le trasformazioni culturali del suo tempo, ma il paragone si ferma qui.

Arrivato a casa cerca di mettere a fuoco quello che vuole fare e si confida con la moglie, sposata in un classico matrimonio combinato e con cui non ha culturalmente nulla da spartire: è deciso a lasciare il suo lavoro per pensare per un po’. Naturalmente, con le dimissioni perde la incantevole casa e la bella moglie con annessa suocera, che lo considerano solo un ottimo bancomat e un mezzo di prestigio in società, e lo salutano dandogli del matto. Per un po’ frequenta uno psicanalista che gli diagnostica un bell’esaurimento nervoso; nessuno comprende il nocciolo sostanziale della sua domanda esistenziale. Recandosi, doverosamente a piedi al suo villaggio, riprende possesso della casa avita, ormai in rovina e vi trova dentro una vecchia prozia, parente acquisita, che ci vive con una orfanella, praticamente muta.

Ma c’è da aggiungere un qualcosa che cambia le carte in tavola di questa storia: ogni cosa che ci viene descritta è inframmezzata da brevi parole in corsivo o frasi tra lineette che come un pop up compaiono all’improvviso.Si tratta di citazioni piccole o lunghe di autori francesi, ma si allargano anche a Dante o a piccole espressioni italiane che in realtà prendono  posto nella sua mente per comprendere e descrivere ciò che vede o l’evento in cui si trova. Un bagno di cultura francese letteraria e filosofica di tipo illuminista, con a capo Voltaire, in compagnia anche di tutti i più grandi autori francesi di ‘800 e ‘900, perché questa è la realtà culturale in cui si trova immerso un cittadino marocchino di buona cultura e che abbia viaggiato un po’.

Ora che si ritrova reimmerso in una cultura tutta marocchina e linguisticamente per lui ostica per via della scarsa frequentazione dell’arabo dialettale locale, essendo a conoscenza quasi esclusivamente dell’arabo classico, così uguale a se stesso da secoli e che non si distacca mai dalla solennità religiosa in cui è nato. Ciò crea degli spassosi intermezzi comici linguistici con la vecchia che abita con lui.

E’ che la lingua e la cultura francesi sono nella sua testa e non riesce a farne a meno: si avvia un curioso processo di defrancesizzazione in favore di un approccio alla cultura araba che trova, nascosta in un vecchio baule polveroso, nei testi di cui si servivano padre e nonno e forse avi anche più lontani.

Questi libri sono testi in gran parte religiosi e filosofici, tutti di ambito musulmano ispanico dell’epoca della grande Cordova, inerenti dunque alla grande stagione di quello che viene definito islam illuministico: Ibn Tufayl, Ibn Rushd, l’Averroè che Dante pone tra gli Spiriti Magni del Limbo. I sufisti lo pongono di fronte ad un islam non letteralistico e mummificato che non ha rinunciato al pensiero autonomo, che ha saputo separare il filosofico dalla tradizione religiosa, che ha messo le basi non per lo scontro con l’occidente (di cui ha riscoperto e tradotto i grandi filosofi greci, riconsegnandoli ad un’Europa che li stava dimenticando) ma  per un conciliazione possibile ed una convivenza civile.

Ma la realtà sociale di Azemmour infrange gli studi appartati di Adam Sijilmassi e la sua volontà di far crescere una nuova epoca culturale. Scopre inorridito che la sua casa è oggetto di strani culti, dato che il popolino pensa che sia dotata di baraka, cioè di una benedizione divina, trasmissibile, attraverso uomini pii, profeti o luoghi particolari. Un imbroglioncello di paese traffica con un’acqua benedetta, peraltro inesistente dato che il pozzo di casa sua è secco da tempo, mettendo su un commercio niente male; una setta di accoliti strampalati si riunisce , a sua insaputa, in un locale della proprietà sotterraneo e coperto di macerie, dove secoli prima un sant’uomo impartiva gli insegnamenti della sua dottrina nella zawiya, il luogo di preghiera e insegnamento che aveva ivi costruito, perlomeno così si diceva…

Due poliziotti e un lontano cugino devoto tradizionalista, cominciano, con improvvisate visite a tampinarlo, importunarlo, cercando di capire dove vuole arrivare Adam, pretendendo di avere ragione solo dal loro punto di vista, senza mai entrare nelle ragioni dell’altro.

Il fastidioso cugino e un suo misterioso tacito accompagnatore, che si rivelerà in seguito essere un informatore della polizia, si presentano con il finto approccio moderno assunto dagli islamisti attuali che masticano a sproposito di scienza e informatica allo scopo di riconfermare l’idea fissa che al di fuori del Corano non ci sia salvezza, che tutto ciò che serve alla società è predetto e descritto nel libro sacro sino alla fine dei tempi.

I poliziotti sono in veste di difensori del Makhzen, forma specifica dello stato marocchino in cui il re è anche capo dei credenti, anche se dal 2011 le cose sono un po’ cambiate.

L’autore, ancora una volta  come in altri romanzieri marocchini, fa riferimento al periodo di Hassan II, specificatamente agli anni ‘80, quando il re ha messo sotto tutela il pensiero autonomo dei suoi sudditi, attraverso una arabizzazione e islamizzazione tradizionale forzata che ha rinchiuso il paese culturalmente, per reprimere ogni forma di richiesta di diritti e democratizzazione.

Il povero Adam, dalla sua vita eremitica di studio viene catapultato in una lotta politica tra sostenitori dello sheykh Bassine, che a Azemmour vogliono presentarsi come candidati al consiglio comunale e i governativi, disposti a proteggere un innocuo culto islamico moderato, superstizioso e fasullo, ma sotto il controllo poliziesco dello stato, pur di contrastare gli islamisti, considerati eversivi e pericolosi per il sistema del Makhzen, giacché minano la corruzione e il nepotismo su cui si regge.

A questo punto non resta altro al povero Adam che richiamare in causa Voltaire e tutta la sua fiducia nella capacità di ragionamento dell’essere umano. Si volge a togliere dall’ignoranza la piccola orfanella, insegnandole il francese, aprendo di nuovo la sua testa al teatrino del parlamento di autori francesi che dialogano, sostenendo diverse prese di posizione su quanto accade. Non vuole essere il ‘profeta’ illuminato, erede della baraka dei Sijilmassi, di cui è l’ultimo rappresentante, né il predicatore di un islam addomesticato allo stato.  Regna il sospetto in lui che dopotutto governativi ed eversivi finiranno per accordarsi per perseguitare quelli come lui, lettori di testi non allineati con il credo islamico tradizionale. Parafrasando Terenzio dice: sono un uomo e nulla di quanto scritto al mondo “a me alienum puto.”

Dopo una memorabile zuffa tra contendenti politici, finita a suon di randellate, si ritrova in un ospedale. Sceglierà d’ora in poi un’altra strada: mendicante nudo in un misero ricovero sulla spiaggia di Casablanca, da dove vede in lontananza la città senza entrarvi mai più.

Si ritira dall’agone l’ultimo dei Sijilmassi, ma non sempre chi ha vinto lo ha fatto veramente, perché dopotutto non si vince contro chi ha rifiutato il combattimento. Lui resta con le sue ragioni ben salde nella testa e un domani chissà…Le tribolazioni del titolo  acquisiscono un significato biblico, assimilabile curiosamente al più popolare eduardiano “Addà passà ‘a nuttata”...

Un pessimismo condito con un pizzico di speranza, espresso in un linguaggio fortemente satirico, al limite della deformazione espressionistica.

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