Future- il domani narrato dalle voci di oggi - recensione di Giulia De Martino

 

 

 

 Future

 il domani narrato dalle voci di oggi

 a cura di Igiaba Scego

 effequ, 2019

 

Nella introduzione, la scrittrice Igiaba Scego , che qui compare come promotrice e curatrice della raccolta di racconti, chiarisce il senso di questa operazione editoriale. Oltre a testimoniare, nei temi trattati, la persistenza di un razzismo politico-istituzionale, queste pagine affondano il coltello nella piaga delle discriminazioni e dell'intolleranza all'interno della società. Sia da parte di quelli che si dichiarano apertamente razzisti sia da parte dei criptorazzisti. Di quelli  che "io non sono razzista ma...".

Tuttavia questi testi non sono assimilabili a quelle testimonianze di vita di migranti che comparivano nell'editoria negli anni'90, che segnarono comunque un inizio di interesse per la cultura di quegli 'altri' provenienti da parti del mondo sconosciute alla maggior parte degli italiani, in genere non molto ferrati in geografia....

Era un'epoca ancora aperta al futuro e ai cambiamenti culturali, che ha prodotto una felice stagione letteraria con la stessa Scego, con Cristina Ali Farah, Gabriella Ghermandi, Amara Lakhous per citare forse i più famosi. Un'epoca che, negli anni successivi, si è ripiegata su se stessa, si è talmente chiusa da apparire praticamente immobile.

Crisi economica, mutamento delle coordinate culturali che avevano fino ad allora egemonizzato l'Italia, cambio di rotta politica e di un linguaggio che sdoganava espressioni razziste e concetti fascisti, hanno azzerato quei futuri di contaminazioni, quelle speranze di riforma della cittadinanza, quella sprovincializzazione cui sembrava avviato il nostro paese.

Questa antologia non è solo un j'accuse di zoliana memoria, ma una nuova speranza di futuro e anche di lotta, di un riappropriarsi consapevole delle 'parole per dirlo' da  parte delle seconde e terze generazioni, di chi non ha scelto di migrare, ma ha seguito il destino e le illusioni della propria famiglia. Nati in Italia o scolarizzati fin da piccoli nel nostro paese hanno conosciuto il disagio di una scuola che, in gran parte non è riuscita nel suo intento di missione educativa nei confronti di chi aveva lingua, cultura e anche pelle diversi. Hanno constatato in continuazione l'emarginazione da parte di un mondo del lavoro che vede i neri sempre in fondo alla scala. Che a fatica hanno portato sulle proprie spalle la frustrazione mascherata dei  genitori, biologici o adottivi che fossero. Fallimento che si somma alla difficoltà di aver vissuto adolescenze 'contro' che esprimevano soltanto la speranza di essere autenticamente ascoltati da qualcuno. Ma raramente è successo. Padri e madri persi dietro il mito di fare soldi non avevano tempo e si aspettavano successi scolastici come segno di gratitudine per averli portati a vivere nell' 'eden' europeo; insegnanti smarriti che poco sono stati aiutati ad affrontare adeguatamente questi alieni piombati nelle nostre scuole,  che sbrigativamente venivano avviati verso corsi professionali, tanto non avrebbero potuto accedere ad altro che a lavori di basso profilo;  psicologi e terapeuti impegnati a estirpare o smussare le asprezze e le rivolte perché  allontanavano i ragazzi stranieri da una sana 'integrazione'.

Ma la scelta della Scego va oltre: i racconti non solo sono di afrodiscendenti, come si suole dire da un po' di tempo,  ma anche al femminile. Perché  essere nera e donna, in un paese intriso di razzismo e sessismo, è una cosa molto complicata! 

Sono presenti autrici  diverse per età ed esperienze che mettono in gioco la loro italianità, perché infine è in Italia che intendono vivere, sognare un futuro per sé e per tutti, sollevando i veli di un colonialismo maldigerito, di un fascismo da cui non si sono veramente prese le distanze, di un razzismo mai riconosciuto come tale.

I racconti di Marie Moise,  Djarah Kan,  Laeticia Ouedraogo, Espérance H.Ripanti focalizzano in particolar modo le difficoltà degli adolescenti africani che non hanno conosciuto gli anni di apertura e speranza '80-'90, a cui viene dato il silenzio sulle proprie origini e culture come risposta alle domande dei figli, cui vengono  consegnati la vergogna di essere partiti e quella di essere restati distanti dalla cultura del paese d'arrivo, di essere poveri e con il peso di vivere senza coordinate certe. Giovani costretti a non avere un passato e nemmeno un futuro, ma a vivere in un presente continuo, senza la complessità temporale in cui possono immergersi i loro coetanei bianchi italiani.

Ragazze, come la protagonista del racconto "Il mio nome" che riceve da una zia 'ricca' in visita dal Ghana la rivelazione che senza un nome segreto sarà difficile vivere bene, perché questo è ciò che permette di portarti appresso la famiglia ovunque si vada insieme agli antenati, che  offre la possibilità di ricordare da dove si viene e dove si può  andare, un nome di potere che fa guardare avanti  e tiene insieme il tutto.

O quella del racconto "Nassan Tenga" di Laeticia Ouedraogo che non stimerà mai la madre che ha abbandonato una carriera promettente di ostetrica d'ospedale in Burkina Faso e arriverà quasi a odiare il padre per il senso di fallimento e sconfitta, mascherato da finto benessere che trasmettono alla figlia, murata dentro i silenzi che riceve in cambio della sua voglia di capire. La ragazza di origine haitiana del racconto "Abbiamo pianto un fiume di risate" narra come abbia curato la  'patologia' di sdradicata  sua e di tutta la famiglia, crescendo e accettando le prove della vita attraversandole,  rifiutando quanto gli era stato trasmesso o meglio non trasmesso e avvicinandosi ad un padre latitante, distante e perdente , perché a suo modo incolpevole.  Sarà un ritorno ad Haiti, il recupero del 'marronage' come inizio di cammino verso la libertà a sciogliere l'urlo represso in una risata irrefrenabile. Scappare che, nel codice dei padroni bianchi era una cosa riprovevole, per gli schiavi era il tentativo di dire no, di cominciare a pensare che il domani  avrebbe potuto essere diverso.

Altri racconti scelgono di rappresentare situazioni di donne apparentemente di successo ma in lotta per non essere identificate con una sola appartenenza come "L'incanto della memoria" di Leila El Houssi, " Che ne sarà dei biscotti" di Wii o "La maratona continua" di Addes Tesfamariam, la cui domanda fondamentale "che cosa è Casa"?

Scritti con stili diversi, alcuni originalmente mescolati con elementi grafici, altri con caratteristiche di performance teatrali, altri più tradizionali e distesi nella forma fino a terminare nel racconto dal sapore fantascientifico di Espérance H.Ripanti "Lamiere" che chiude la raccolta.

Queste voci, dice nella post-fazione Prisca Augustoni, riferendosi alle scrittrici afrodiscendenti brasiliane, ma espressione applicabile anche a quelle italiane, formano una comunità porosa di donne che si danno la mano per difendere la memoria delle sofferenze delle loro famiglie, della più ampia diaspora dei neri nella rotta atlantica, della storia del passato coloniale italiano, del loro diritto ad un futuro più giusto conquistato a duro prezzo, anche per tutti gli altri cittadini italiani di questo paese.

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