Hamid Grine, Camus nel narghile, (a cura di Giulia De Martino)

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Hamid Grine, Camus nel Narghilè,

(a cura di Giulia De Martino)

Compare sul mercato librario italiano un libro singolare di un autore algerino, prestato alla letteratura dal mondo del giornalismo sportivo. Si tratta di un giornalista, molto acclamato in Algeria e Marocco e che ha vinto ,nel settore, numerosi premi. Ad un certo punto della sua vita, quando viene allontanato forzosamente dal Marocco ( un algerino giornalista o è una spia o un poliziotto…) negli anni del terrorismo si rivolge alla filosofia classica del mondo antico e ai grandi moralisti del ‘500-‘600. Lo leggiamo in una interessante intervista all’autore pubblicata su Articolo 3, effettuata durante il giro di presentazione del romanzo in Italia. Il passo successivo è la scrittura narrativa in cui i protagonisti recano l’impronta di questa sua trasformazione intellettuale. Il successo in Francia ha determinato, come sempre, la traduzione in italiano.
Nabil Benkamoun è un cinquantenne professore di letteratura francese in un liceo: la sua vita scorre placidamente in famiglia con la moglie-madre-carabiniere Warda,anch’essa insegnante, i due figli che la coppia cerca di preservare, senza successo, dalle lusinghe nefande di un occidente ammaliatore e nella scuola ,dove disperatamente tenta di aprire testoline refrattarie al fascino della letteratura.
Abita in un quartiere superpopolare, in un appartamento piccolo di uno stabile non proprio decoroso come vorrebbe: in realtà suo padre è un possidente e uomo d’affari che abita in una supervilla da riccastro, sposato in seconde nozze con una giovane avvenente donna che se lo spupazza come vuole.
 Ma la coppia, che vive di due miseri stipendi statali, si picca di appartenere ad una classe intellettuale che cerca di resistere alla corruzione politico-burocratica del potere . Lui non si è mai piegato, neanche negli anni più bui del terrorismo, a biascicare preghiere o a rinunciare ai piaceri della vita costituita dal vino e dai libri. Così come ha cercato di distanziare la fortuna finanziaria del padre, ambigua e oscura, ai suoi occhi di onesto impiegato statale. Istigato in questo da sua moglie a cui la famiglia di lui non è mai piaciuta.
Nabil ha un conflitto con il padre e adora sua madre, morta anni prima in odore di santità, dopo una vita dolorosa di privazioni a cui l’aveva costretta, inspiegabilmente, il marito. Un classico, non c’è che dire e, infatti, reso infantile da un padre burbero e autoritario che non gli ha mai concesso fiducia, si è rifugiato nell’amor di mamma. Il risultato, da uomo adulto, è stato sposare Warda , gentile premurosa affettuosa,razionale e pratica,  da cui il protagonista sognatore si lascia guidare come un bambino.
E’ questo tran tran che viene scosso ad inizio libro, quando la morte del padre, in realtà non rimpianto da nessuno, mette il protagonista in una serie di eventi non previsti. Durante la ‘festa’ del funerale, cui hanno partecipato vicini e ingordi parenti, lo zio Messaoud,fratello minore del morto,  poco stimato in verità da Nabil e Warda, gli fa una  rivelazione sconvolgente: lui non è il vero figlio di suo padre e sua madre, ma di una aristocratica algerina e dello scrittore Albert Camus, in seguito adottato e presentato come figlio a tutti. Interessante l’ironico spaccato di società algerina post-terrorismo che emerge in  questa parte.
Inutilmente la saggia Warda gli sottolinea subito come si tratti di una manovra per sottrargli la pingue eredità in favore dello zio e del suo incapace figlio, marito della sorella di Nabil. Sebbene razionalmente sappia come non possa essere vera la realtà che gli è stato sciorinata davanti,  il professore comincia a dare ascolto al tarlo che gli rode dentro: quale figlio poco amato non ha pensato di essere stato adottato e se questo figlio è un patito di letteratura come non desiderare che tuo padre  sia stato un famoso scrittore, per di più Camus,figlio francese d’Algeria, amato e odiato ad un tempo da tutti gli algerini?
Il romanzo, fino ad un certo punto placido e statico, si trasforma in una affannosa ricerca non solo del padre-Camus, ma del passato della rivoluzione algerina e soprattutto del rapporto che gli intellettuali e scrittori hanno intrattenuto con questa.
 Dagli anni ’60 è avvenuta una damnatio memoriae di questo scrittore, premio Nobel per la letteratura nel ‘57, abbastanza popolare come personaggio in Algeria, non schierato però ,come Sartre, a favore della indipendenza, ma teso verso una federazione democratica tra i due paesi. Una cancellazione ad opera del nuovo potere socialista nato dalla resistenza, diffusa nelle università dove si parla (male) dello scrittore senza darsi più la pena di leggerlo veramente.
Eppure lui era nato lì, come anche i suoi genitori, aveva vissuto povero in un quartiere che i francesi straccioni condividevano con gli arabi, aveva amato questa terra descrivendone il sole, il mare, i profumi, le suggestioni mitiche: non aveva rappresentato però i suoi abitanti, era un francese d’Algeria, non un  arabo algerino. Si era battuto, come giornalista , per far conoscere la disastrosa situazione della Cabilia, aveva mostrato gli orrori e i massacri di cui erano stati capaci i francesi. Quali scrittori algerini avevano avuto il coraggio di fare altrettanto?
Nabil Benkamoun si immedesima in Camus, scovando, nella ricerca della amante algerina, sua presunta madre, chi lo aveva conosciuto e frequentato, ripercorre i luoghi da lui amati e descritti nei libri come il sito archeologico di Tipasa, dove, grazie alla complicità di una bella e spregiudicata collega, che lo vuole coinvolgere in una avventura extra-coniugale, conosce il nonno di lei,  un vecchio combattente della resistenza algerina, in realtà uno spagnolo arabizzato: scopre attraverso le sue parole l’immensa sete di vivere dello scrittore,espressa nel suo amore per le donne, la sua umanità, la sua dimensione lacerante di francese e di algerino.
Ma le rivelazioni non sono finite: completa il quadro del suo passato un personaggio potente, defilato dalla politica, ma comunque influente, ex-eroe della resistenza, Hagg Bazoooka. Il padre vero, il defunto Hagg Saci non era quello che Nabil credeva, uno che aveva fatto fortuna come pescecane di guerra, ricco grazie a clientelismi e corruzioni, bensì un sostenitore della resistenza attraverso i mezzi che lui conosceva: gli affari e i soldi.
 Attraverso Hagg Bazooka il viaggio verso il padre si conclude con l’accettazione della realtà: questa non è mai bianca o nera, ci sono molte sfumature che ne rendono complessa la lettura. Non bisogna mai schierarsi senza aver cercato di penetrare nelle ragioni dell’altro. I motivi del pessimo comportamento del padre nei confronti della madre, forse sono da ricercare nella differenza sociale dei due, forse nel gelo affettivo e sessuale in cui lei lo ha fatto vivere. I meccanismi di una coppia tradizionale( un matrimonio tra un figlio di mezzadri e una donna proveniente da una famiglia  antica e nobile rovinata dalla rivoluzione) non sono facili da penetrare. Comunque i torti non sono da una parte sola.
Sarà un professore migliore Nabil Camus ridiventato Nabil Benkamoun? Accettando anche la inevitabile protezione del Bazooka, la sua carica a preside, la ricca eredità paterna: il ramo di assenzio conservato dalla follia di  Tipasa viene gettato in favore di Warda, che il arabo vuole dire rosa. Camus è la giovinezza eterna, è l’Algeria che non c’è più: con questo d’ora in poi dovrà fare i conti.
Romanzo semplice, dal linguaggio ironico e intrigante, con descrizioni appassionate di Algeri, nei suoi incanti e nelle brutture del presente.
 “ Algeri di notte, Algeri misteriosa che con i suoi sortilegi incanta ogni passante. E’ come certe donne, seducente, ammaliante. Capisco perché Camus l’abbia tanto amata. E perché noi abbiamo tanto amato Camus: perché ha saputo parlare bene di lei. Per questo gli perdono di averci dimenticato, di aver dimenticato di parlare di noi. Ognuno parla di ciò che ama. Camus è morto. Algeri rimane. Mio padre è morto. Io rimango”.
 
 

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