Igiaba Scego - Figli dello stesso cielo - a cura di Rosella Clavari

 

 

 

 

 

 Igiaba Scego

 Figli dello stesso cielo

 Piemme, 2021

 

 

“Il razzismo e il colonialismo raccontati ai ragazzi” è il sottotitolo di questo saggio-racconto con cui Igiaba Scego fornisce utili informazioni sull'argomento alla nuova generazione, puntando sugli aspetti fondanti del fenomeno e associandolo così a forme di sopruso che tutt'oggi perdurano.

 Che significato ha colonizzare un paese? È legato innanzitutto a mire espansionistiche e di potere celate sotto l'intento benefico di costruire nuove strutture – strade, scuole, etc – e di diffondere il benessere in zone dove è stato a lungo sconosciuto. Peccato che questo significhi fare una guerra, uccidere, sterminare intere popolazioni. Anche l'Italia ha il suo bagaglio di ricordi in merito, tenuto a lungo nascosto in seguito alla caduta del fascismo, ma rivisitato in maniera sempre più approfondita negli ultimi venti anni. Gli sbagli commessi devono servire a chi rimane per non commetterne ancora, per rispettare l'identità di un popolo, la sua lingua, i suoi usi e costumi. Soprattutto per intervenire di fronte al dilagare delle lotte interne e delle guerre civili attraverso gli organi preposti.

Igiaba Scego persegue una modalità affettiva, familiare, per farci entrare dentro la questione come a suo tempo Tahar Ben Jelloun ne “Il razzismo spiegato a mia figlia”. Lo fa raccontando i discorsi, ricorrenti nei suoi sogni, del nonno paterno Omar. Una figura affascinante, con veste e turbante bianco e la pelle stranamente chiara, che lei ha amato attraverso una foto in bianco e nero, senza averlo potuto conoscere di persona. Sarà lui che le spiegherà cosa è stato il colonialismo italiano di fine '800 imperialista e quello del ventennio fascista. I suoi maestri, come ricorda nella dedica del libro, sono stati anche il padre per il periodo storico del '900 e lo storico Angelo Del Boca , autore di numerosi saggi sull'argomento.

La Somalia da cui proviene Igiaba è quella della guerra civile del 1991, durata trenta anni “e purtroppo mai finita” che la fanno assurgere a uno dei paesi più pericolosi del mondo. Ma è anche quella terra di profumi, colori e paesaggi rimasti indelebili negli occhi di Igiaba bambina, quasi venti anni prima che accadesse la guerra. Nel sogno lei ha undici anni e il nonno nel suo primo apparire risponde alle perplessità della nipote sul colore della sua pelle: è chiara e non scura come tutti i componenti della sua famiglia perché lui è nato a Brava, sulla costa, una città che dialoga con l'Asia; infatti questa città di mare è stata visitata da antichi egizi, nubiani, indiani, genti che vengono dall'isola Mauritius, dall'Arabia e anche portoghesi. “Siamo fatti di Africa, ma anche di Asia e di Europa” afferma il nonno spiegando il suo colore. Ovviamente la lingua risente di queste mescolanze, e tra le curiosità, troviamo ogni tre parole somale, una parola italiana.

 Il nonno inaugura il discorso sul colonialismo. “Colonialismo fa rima con egoismo” e offre un esempio molto semplice ma efficace: una torta in vetrina, fatta dal pasticcere e ordinata da qualcuno, di cui un passante si vuole impadronire rompendo la vetrina. Le terre appartengono a chi le abita, le rispetta, le ama. Così inizia il percorso descrittivo del colonialismo partendo da prima del fascismo, un antecedente storico che molti, soprattutto tra i più giovani, ignorano: la stele che si trova in via delle Terme di Diocleziano a Roma, ricorda la battaglia di Dogali del 1887, il primo attacco in terra d'Africa. La Somalia tra il 1909 e il 1928 verrà presa dagli italiani un pezzetto alla volta, le prime ad essere colonizzate saranno Mogadiscio e Brava.

Con l'avvento del fascismo, la popolazione somala pensava di incontrare qualcosa di meglio della precedente amministrazione, non di passare “dalla padella alla brace”. Il nonno Omar trova un lavoro come interprete alle dipendenze degli italiani, dopo aver fatto il boy presso una famiglia di arricchiti. Il dono delle lingue lo salva da una vita di stenti ma nello stesso tempo gli crea un problema di coscienza: essere dalla parte dei colonizzatori fascisti così come gli ascari, soldati somali alle dipendenze dell'esercito italiano. Il colonialismo italiano arrivò n Libia, Eritrea, Somalia ma non in Etiopia che però subì una occupazione e un feroce sterminio di massa.

La scrittrice ricostruisce molto chiaramente il processo di attivazione del colonialismo italiano e di paesi come Francia, Germania, Inghilterra, a partire dalla famosa “Scrumble for Africa” indetta nella conferenza di Berlino del 1884. Accanto alla sconfitta clamorosa degli italiani nella battaglia di Adua del 1896, vengono riportati da Omar episodi di fine '800 e primo '900 non solo di guerra, per esempio il fenomeno delle Esposizioni, in particolare quella del 1884 a Torino dove fu invitata una famiglia di assabesi: non sapevano che sarebbero stati esposti come una merce o peggio come animali in gabbia per il puro divertimento dei bianchi che pagavano un biglietto per sentirsi superiori.

I ricordi si affastellano nella mente di Omar: la caccia al rinoceronte compiuta dagli stranieri, il clima di segregazione per cui i somali non potevano accedere al cinema e ad altri luoghi destinati ai soli colonizzatori. La mancanza di libertà impediva di ribellarsi perché altre vie d'uscita non c'erano tra cui la mancanza di coesione tra i somali stessi. Una abilità dei colonizzatori consisteva proprio nel mettere l'uno contro l'altro gli africani stessi.

 Per il nonno Omar divenire interprete di guerra è la cosa peggiore che ha dovuto passare: significa tradurre la morte, quella dei tuoi fratelli, e allora “ le parole ti rimangono incollate addosso”. Il fascismo aveva talmente soffocato la capacità di pensare, di rendersi conto della realtà che questo male opera anche su Omar. E agisce su tutto un popolo attraverso una roboante propaganda nelle scuole, nelle fabbriche, nei film, nella stampa fino ad arrivare alle canzoni come Faccetta nera (che in realtà non piaceva a Mussolini vedendovi espressa troppa amicizia tra Italia ed Etiopia) ai fumetti come Topolino in Abissinia, Niguardino e Scalfarotto ; in particolare nomina il primo fumetto italiano del 1908 presente nel primo numero del Corriere dei piccoli, Bilbolbul personaggio un po' tonto con la faccia tinta di nero, ingenuo ma non stupido, positivo tutto sommato, e per questo fu fatto sparire da Mussolini. Ci sono le tracce di questo colonialismo nei nomi di piccole cose domestiche come dolciumi, pasta, caramelle, sotto il nome, che ancora sopravvive, di abissine, tripolini, africanette.

Compare a un certo punto nei suoi sogni anche una signora dai capelli viola che conversa con il nonno. Si tratta di Lia Zevi, di famiglia ebrea, che il nonno aveva conosciuto per caso durante la prima parata ai Fori imperiali nel 1937. A questo punto Lia e Omar diventano il simbolo di due vite perseguitate; infatti le leggi razziali nelle colonie avvengono quasi in concomitanza con le leggi razziali contro gli ebrei nel 1938. Dopo la fine della seconda guerra mondiale l'Italia ha perso la guerra e le colonie; nel 1960 la Somalia diverrà indipendente e il nonno Omar sarà deputato nel Parlamento somalo.

L'autrice riesce a renderci familiari i suoi ricordi più intimi attraverso il sogno, l'affetto verso un nonno mai conosciuto ma presente nei racconti di casa, l'orgoglio della propria appartenenza. In quei sogni il nonno compare in luoghi italiani come in via delle Terme di Diocleziano vicino a piazza della Repubblica, dove campeggia la Stele di Dogali; piazza di Porta Capena ricordata per la presenza della Stele di Axum, riconsegnata all'Etiopia solo nel 2003; ponte Principe Amedeo d'Aosta, intitolato al viceré d' Etiopia dal 1937 al 1941. Ricrea attraverso questi luoghi un legame, stavolta pacifico, tra Italia e Africa ricordando anche i primi flussi migratori dalla Somalia in Italia negli anni '70. I luoghi della memoria nel tempo cambiano insieme a noi e noi possiamo dargli un altro significato; per esempio quando l'autrice parla della Cattedrale di Mogadiscio, copia di quella di Cefalù, distrutta durante la guerra civile degli anni '90 e rimpianta dai somali ci fa capire che ormai era stata somalizzata, era un simbolo di pace perché univa musulmani e cristiani.

Concludendo, in questo libro rivolto soprattutto alle ultime generazioni, l'autrice ha fatto una lodevole ricostruzione storica che vale la pena rileggere in maniera dettagliata, spiegando che è importante conoscere la storia del colonialismo “perché non è ancorata al passato, ma ha conseguenze nel presente”. E' un processo di revisione che occorre fare proprio perché non si ripetano più tali violazioni criminose dei diritti umani.

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