Khadija Abdalla Bajaber - Dimora di Ruggine - recensione a cura di Giulia De Martino

 

 

 

 Khadija Abdalla Bajaber

 Dimora di Ruggine

 66THA2ND, 2022

 Traduzione di Alessandra Castellazzi

 E’ indubbio che siano giovani scrittrici africane o di origine africana a segnare una svolta nella narrativa, ad   imprimerle un piglio epico che mescola stilemi delle culture tradizionali orali alle modalità della fantascienza o al   servizio della storia, ponendo sempre al centro protagoniste determinate ad esplorare, a farsi domande e ad uscire   dagli schemi che le vogliono imprigionate in ruoli di sposa e madre. Sempre il magico e il fantastico sono stati   presenti nella letteratura africana, si pensi a Amos Tutuola o a Mia Couto, tanto per citarne qualcuno.

Queste donne però, sognando e praticando l’avventura, aprono ponti tra lingue e culture: tali sono le eroine di Namwali Serpell in Capelli lacrime e zanzare, la Ayanna di Dragonfly sea della Adhiambo Wuor e l’Aisha di Dimora di Ruggine. Personaggi disegnati con una fantasia barocca ridondante, a tratti quasi insostenibile, ma che lega il lettore come in un incantesimo.

E anche la Bajaber mescola avventure di mare, leggende, il ritratto della comunità araba hadrami (proveniente dallo Yemen e stabilitasi da secoli sulle coste oggi keniote e di cui lei stessa fa parte) con il racconto di formazione di una ragazza che resiste alla educazione tradizionale che la vuole presto sposa e dedita ai lavori femminili della casa. Ma lei sogna il mare e quando il padre, pescatore di squali come la gran parte dei portuali di Mombasa, un giorno non ritorna dai suoi lunghi e pericolosi viaggi nel profondo mare aperto, si rifiuta di considerarlo morto e desidera partire per ritrovarlo.

Naturalmente non è sicura delle proprie forze e neanche del suo coraggio, ma come in tutte le fiabe fantastiche appare un aiutante magico nei panni di Hamza, un gatto randagio che lei tante volte e con affetto ha sfamato: non solo parla come il Gatto con gli stivali, ma filosofeggia e si atteggia a profondo conoscitore del mondo e degli uomini. E’ il primo a parlarle di un altro mondo, la Dimora di Ruggine del titolo, che vive con regole diverse da quelle note alla ragazza.

Aisha (che significa forza vitale come il nostro Viviana) ha solo 5 giorni per trovare suo padre prima che la nonna dichiari morto suo figlio e proceda al funerale anche in assenza del corpo. Sicuramente, oltre al desiderio di salvare suo padre, sono determinanti, per spingerla all’azione, le timide profferte amorose del giovane Hassan, venditore di uova, cui non vuole prestare alcuna attenzione, perché sente odore di matrimonio, cosa per la quale non si sente affatto portata. Il tutto rinforzato dalle insinuazioni apparentemente bonarie della nonna Hababa sul suo futuro di donna e da quelle velenose delle cantanti di musica tradizionale di matrimoni che si riuniscono settimanalmente a casa di Hababa, dove Aisha vive, dato che sua madre è morta giovane e suo padre è sempre lontano. In interminabili cerimonie di kahawa (caffè) in cui Aisha incarna la menzogna della brava ragazzina ubbidiente e volenterosa, lei sente fremere qualcosa dentro di sé di fronte a questi ruoli costrittivi: non è questo che vuole dalla vita. Tra queste persone, simili a pettegoli griot che, andando di casa in casa, divulgano segreti reali o presunti, circola l’orgoglio di non aver confuso il loro sangue con Mombasa, di essere restati dei veri arabi, senza essersi swahilizzati. Ma Aisha sente come parte inscindibile di sé sia gli hadrami che lo swahili e non approva questo modo di essere e pensare.

Con il gatto Hamza prende il mare su una misteriosa e macabra nave fatta di scheletro e ossa: incontra e affronta mostri al pari di Ulisse o del capitano Achab. Serpenti marini giganteschi, supersquali dalle forme di leviatani preistorici di biblica memoria, esseri formati da relitti di mare e ossa caduti nei fondali dell’oceano, echeggianti ancora degli strazi delle vittime. Si mostra furba, ipocrita, ingannatrice, affronta le sue paure, deve fare sacrificio di ciò che le sta a cuore, porre le domande giuste e… vince come gli eroi delle fiabe, riportando a casa il padre ancora misteriosamente vivo, anche se in pessime condizioni.

Di animali parlanti e simili agli uomini (sono preda delle stesse passioni di invidia e potere) ce ne sono tanti nel testo: capre asini, soprattutto due corvi spioni e Almassi, un diavolo di serpente, metà uomo e metà rettile, cui va il compito di punire la ragazza che si è resa colpevole di aver sovvertito l’ordine degli abissi. Insomma le trasgressioni di Aisha sono ad ogni livello.

Entra in scena anche Zubeir, il capo dei pescatori di Mombasa, dotato di poteri stregoneschi, destinato a diventare il secondo marito della vedova Hababa, il quale ha intuito cosa è successo nelle profondità del mare e aiuta Aisha, anche se per molto tempo l’ha chiamata solo pesciolino o bambina, capendo come lei si sia trasformata in una adulta: cancellerà dal cuore del padre salvato dalle acque l’amore per il mare, per desiderio della figlia che non vuole più che si cacci in situazioni pericolose.

Per un po’la vicenda sembra fermarsi. Almassi ha rubato l’ombra di Aisha e l’autrice introduce un tema antichissimo, revitalizzato dal romanticismo tedesco e che arriva fino a Peter Pan. Ma la ragazza volge a suo favore il fatto e utilizza l’ombra distaccata dal suo corpo alla stregua di una specie di avatar presso la nonna: compie tutte le azioni che per Hababa significano come la nipote abbia finalmente compreso il ruolo che l’aspetta nella vita. Intanto lei, in realtà, prepara il suo viaggio: aiutata dal padre, desideroso di cancellare gli anni della sua assenza e del distacco affettivo, vuole ritrovare Hamza che ha perso in mare e andare alla Dimora di Ruggine per apprendere scienza e conoscenza. Come non farsi venire in mente il dantesco per seguir virtute e canoscenza

Certo l’amore per il padre, e per la nonna che l’ha cresciuta, confliggono con l’ansia di andarsene, ma ciò che è avvenuto nel mare le dà una nuova consapevolezza: comprende perché la sua famiglia voglia sottrarla ai pericoli di un destino incerto, non disprezza più la nonna per avere contratto il suo primo matrimonio per comodità e tradizione, una scelta di realtà che ha tuttavia salvato la sua famiglia dai debiti. D’altro canto, anche loro intuiscono i sogni e i desideri di una giovane donna che vuole cercare il suo posto nel mondo e pensare con la sua testa senza tema di apparire strana, se non peggio. Non è solo un romanzo di avventura e di formazione, è anche un racconto sugli affetti famigliari.

Tutte le immagini che ci offre questa autrice ci richiamano tante cose: i personaggi di Sinbad e Ulisse, Sulla riva del mare di Gurnah , Mobydick, la Vita di Pi, certi cartoni giapponesi, il vecchio testamento, le favole con gli animali parlanti. Tuttavia riemergono in una forma originale, grazie ad un linguaggio ribollente, come le acque attraversate dalla protagonista, grazie alla rappresentazione antropomorfa del mare che puzza, vomita, le cui onde si muovono come gigantesche labbra, grazie al miscuglio di fede e dubbio, di amore e rabbia.

Un talento considerevole che però a volte fa perdere ritmo alla narrazione perché si perde dietro le chiacchiere degli animali, in rivoli secondari che sicuramente fanno parte della tradizione orale, anche se l’autrice proviene dall’arabo e dallo swahili che hanno solide tradizioni scritte.

Un tributo, il suo romanzo, a Mombasa, città crocevia di culture, contraddittoria e tuttavia fiera della sua complessità. La descrive, afferma l’autrice in alcune interviste, come una città che può uccidere, senza tuttavia smettere di amarla appassionatamente.

Il romanzo è stato premiato nella prima edizione del Graywolf Press Africa Prize, riservato ad autori che vivono in modo prevalente in Africa. Gli autori inviano manoscritti in inglese valutati da una commissione, presieduta dallo scrittore nigeriano Igoni Barrett. La casa editrice italiana 66THA2ND si impegna per la traduzione e la circolazione in Italia.

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