Le stagioni di Zhat di Sonallah Ibrahim

Sonallah Ibrahim

Le stagioni di Zhat

Calabuig, 2015

Traduzione di Elisabetta Bartuli

 

Siamo felici di presentare un autore egiziano che, sebbene nella letteratura araba, e in particolare quella dell’Egitto, sia considerato un grande, da noi è poco conosciuto e anche poco tradotto. La riprova è che qui si presenta un testo, edito in Egitto nel 1992, di uno scrittore  oramai più che settantenne, dalla biografia affascinante. Probabilmente è stata la primavera araba e tutti gli eventi che si sono succeduti in Egitto a far nascere la voglia di informarsi, di sapere chi sono questi intellettuali che si sono schierati con i giovani nelle piazze per contribuire alla caduta di Mubarak e alla trasformazione  del paese.

Sonallah Ibrahim, comunista da sempre, ha conosciuto lunghi anni di prigione, sotto Nasser, ed è stato protagonista di gesti politici clamorosi che gli hanno guadagnato la notorietà nel mondo quanto i suoi libri.

Come spiega nelle interviste rilasciate in Italia in un suo recente viaggio, rifiutare una borsa di studio, che l’avrebbe sicuramente aiutato in un periodo di indigenza, ha significato difendere la sua autonomia di scrittore ed intellettuale, non asservito al potere di turno. O anche, nel 2003,  accettare il premio letterario più ambito del suo paese e approfittare della cerimonia per lanciare una requisitoria :” Vi ringrazio, ma non c’è nulla di cui essere fieri e soddisfatti” e giù contro Mubarak e la sua corrotta dittatura, la mancanza di libertà, lo strapotere delle banche e delle multinazionali americane ed europee, creando sconcerto nelle autorità e tra il pubblico intervenuto che, alla fine, lo ha applaudito entusiasta.

Fondatore, insieme ad Ala al- Aswani, del gruppo Kifaya ( basta) che ha innescato i giorni fatidici di piazza Tahrir, ha oggi una visione  più critica dei militari al potere (che hanno tolto di mezzo I Fratelli musulmani, ma restano prigionieri di una politica di repressione) e racconta di una lunga strada ancora da percorrere da parte del popolo egiziano per arrivare alla democrazia e alla piena libertà.

Questa lunga premessa è stata necessaria per meglio comprendere questo romanzo, dove si mescolano un ossessivo realismo, dialoghi alla Hemingway, flusso di coscienza alla Joyce: stile particolarissimo che può, talvolta ingenerare confusione o rifiuto. L’autore sconvolge l’arabo classico, rende iperrealistico il realismo socialista o anche di tipo ottocentesco , e alterna i capitoli di narrazione con pagine riportanti brani di articoli di giornali e riviste ,contemporanei ai tempi della narrazione della storia, dove il trionfalismo e l’ipocrisia propagandistica fanno  a pugni con la ben diversa realtà della narrazione.

La vicenda si ambienta, dagli anni ’60 agli anni ’80,  in un condominio di una zona del Cairo, ex-residenziale e oggi in preda al degrado e ai rifiuti, seguendo la vita di Zhat e suo marito Abdel Meghid, prima giovani sposini e poi maturi coniugi con prole, con tanto di contorno di vicini , parenti e colleghi di lavoro. Ma la vera protagonista è lei, Zhat, una assoluta anti-eroina, media in tutto: nella bellezza, nell’intelligenza, nell’ abilità lavorativa, nelle doti di moglie e madre, tuttavia capace di non arrendersi di fronte alle angherie e ai soprusi quotidiani, scegliendo strade di resistenza , a modo suo,  efficaci.

La famiglia conduce una vita assolutamente ordinaria: si parte dalle speranze aperte da Nasser nel dare orgoglio alla nazione egiziana di un futuro radioso, si attraversa la modernizzazione del paese ( i frigoriferi, le lavatrici, la televisione…) , il capitalismo liberista di Sadat,il completo asservimento alle banche e alle multinazionali, in particolare americane,l’avanzata degli islamici radicali.

Sono proprio le vicende della Storia a determinare la piccola storia di Zhat, irta di difficoltà di ogni sorta, economiche, burocratiche, di relazione con le persone  in famiglia e fuori . Con precisione apprendiamo tutte le difficoltà coniugali, di sentimento e di sesso. La sessualità occupa una certa parte nelle riflessioni di Zhat e della sua migliore amica di pianerottolo , nonché dei loro rispettivi mariti, causate anche dal cinema e dalla TV, con le proposte di modelli amorosi irraggiungibili e dal diffondersi della pornografia in cassetta.

Queste vicende vengono narrate con un sarcasmo feroce, soprattutto quando i protagonisti incrociano funzionari corrotti, predicatori islamici ‘predica bene e razzola male’ che di religioso non hanno proprio nulla, amici e parenti che scimmiottano americani o ricchi sauditi. Infatti , sono i punti più caldi della critica sociale e politica di Sonallah Ibrahim:  la corruzione di un sistema politico,  asservito ad interessi economici internazionali, che sotto Mubarak non ha più neanche bisogno di celarsi, l’islamismo dei Fratelli musulmani che parlano di povertà degli egiziani ma si arricchiscono alle loro spalle, cercando anche loro di arraffare una fetta della torta, e infine la mania di occidentalizzazione tecnologica e non,  a tutti i costi  da rasentare il ridicolo.

Il testo non ha un vero e proprio finale: si comprende che la strada degli egiziani in sofferenza sarà ancora lunga e disastrosa; non domina, nell’autore un ottimismo rivoluzionario, ma un intelligente pessimismo che porta il lettore non ad aderire ai personaggi, che restano in realtà un po’ stupidi e irritanti con tutti i loro difetti, ma a comprendere, attraverso la letteratura, cosa sia stata la vita del popolo egiziano comune durante la triade Nasser, Sadat, Mubarak.

Siamo ben lontani dall’idillio e nostalgia dei vicoli di quartiere di Mahafouz nel “Vicolo del mortaio” o da “Il nostro quartiere” e si comprende meglio cosa c’è dietro il successo editoriale del  “Palazzo Yacoubian”  di Ala al- Aswani del 2002,  anch’esso ambientato in un condominio cairota, ma negli anni’30. La popolarità di Sonallah Ibrahim e di Ala al aswani è stata amplificata dalla riduzione in serial televisivo e film dei loro libri, come succede in tutto il mondo.

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