Lilian Thuram - Il pensiero bianco - recensione a cura di Habté Weldemariam

 

 

 

 

 Lilian Thuram

 Il pensiero bianco

 ADD ed, 2021

 traduzione di Marco Aime e M.Elena Buslacchi

                                                                                                                                         

 

 

 

                                                                                                                                               

Apro una premessa come avviso a tutti lettori. Vedendo il titolo del libro, alcuni “bianchi” potrebbero provare disagio, pur senza averne letto il contenuto. Potrebbero pensare che sia un manifesto anti-bianco. Niente di tutto questo. “Il pensiero bianco” non vuole giudicare, ma invitare a riflettere. “Il pensiero bianco” non è solo il ‘pensiero dei bianchi”, ma anche ‘dei non bianchi ’ che lo hanno interiorizzato fin dalla più tenera infanzia; non è una questione di pigmentazione della pelle, ma un modo di stare al mondo. Come dice l’Autore, “Voi non siete bianchi. E nemmeno neri. Ciò perché questi sono concetti storicamente inventati per dominare”. E questo libro lo dimostra con brillantezza e pedagogia, riflettendo su quanto sia importante prendere coscienza della prospettiva da cui pensiamo al fine di comprendere che non esistono differenze di “colore”, “razza” etc. e che tali differenze sono state spesso generate da distorsioni storiche e culturali tese a giustificare la supremazia di un genere sull'altro. Chiudo la premessa.

Il saggio di Thuram (che si legge quasi come un romanzo) è una specie di zibaldone di riflessioni, di storia, di testimonianze e di ribellione, impostato magistralmente in tre parti: la critica alle narrazioni storiche; il punto di vista bianco; l’analisi scientifica del razzismo sistemico nelle società contemporanee, a partire dall’esperienza francese. Nel retro della copertina, un’immagine de “la carta di Peters” capovolta: Africa, lunga e immensa al centro, probabilmente per sottolineare la nostra origine comune; la piccola Europa in basso; i punti di vista geografici e storici.

La cultura della cancellazione è stata messa in atto dai colonizzatori (travestiti da civilizzatori). La classificazione degli esseri umani in diverse razze e la loro gerarchia sono state create per giustificare la supremazia bianca dalla stragrande maggioranza delle personalità politiche, intellettuali, studiosi nonché pensatori illuministi che non condannarono né la ferocia della tratta né l’idea che i neri fossero considerati inferiori. Il contenuto così ricco di testimonianza è frutto della sua esperienza e degli obiettivi della sua fondazione “Éducation contre le racisme, pour l’égalite”. Insomma, un volume con venti pagine di bibliografia e accurato indice dei nomi (davvero tanti e appropriati) scritto con accenni da storico, da filosofo, qua e là persino da attivista.

Per comprendere “Il pensiero bianco”, per prenderne la misura, l’autore ci dice che bisogna accettare di fare un passo di lato nella lettura della storia. Dalla conquista dell’America di Colombo al Codice Nero che regola la schiavitù in vigore dal 1685 al 1848, togliendo agli schiavi lo status di esseri umani. Questi due sanguinosi episodi della storia erano motivati principalmente da ambizioni economiche.

La storia è ovviamente quella della dominazione e colonizzazione francese, ma può benissimo estendersi alle altre superpotenze (Spagna, Portogallo, Olanda, Germania, Usa) che nel passato si sono spartite mezzo mondo. Appunto, sul filo della storia – le conquiste coloniali, la schiavitù, la continua razzia di materie prime e dell’arte africana – Lilian Thuram racconta il pensiero bianco, come è nato e come funziona, il modo in cui dilaga e divide; ci spiega dove nasce il razzismo e quali sono i meccanismi mentali e culturali che lo alimentano.

Personalmente, leggere questo interessantissimo volume, mi ha riportato al periodo in cui facevo il mediatore culturale nelle scuole. Chiedevo agli alunni:  "Di quale colore siete?” I più vivaci si affrettavano a rispondere: “Bianchi”.

Allora prendevo un foglio di carta: “bianchi come questo foglio?”.

E tutti insieme rispondevano “NO”

Allora perché dite che siete bianchi?”

Perché si dice così… spesso”.

Perciò dò atto a Thuram quando dice che “bianchi non si nasce. Si diventa”. Non è un colore. Essere bianchi o neri è un’identità. E di questa identità bisogna conoscere l’origine, la storia, la costruzione politica che ha determinato la nascita del concetto di razza e ha stabilito che quella bianca sia la razza superiore. Insomma, quella ideologia politica che ha legittimato la schiavitù, il colonialismo e l’apartheid… E spiega bene, benissimo il razzismo di oggi.

Il testo ruota attorno alla tematica del razzismo dominante dentro una prospettiva storica fondamentale per approfondire e capire come creare gli antidoti contro questa trappola mentale che ancora nel 2022 è molto radicata. Quello ‘bianco’ è Il pensiero dominante, un pensiero di cui la cultura e società Occidentale sono intrise, in grado di condizionare le proprie scelte e i propri comportamenti anche a livello inconscio. Si discrimina anche senza volerlo, per leggerezza o ingenuità, dando per scontato che una certa cosa sia così, che sia normale. Lo spunto, de “Il pensiero bianco. Non si nasce bianchi, lo si diventa” parte da una conversazione telefonica dell’autore con un amico:

Pierre, se io sono nero, tu cosa sei?”.

Normale”, è la sua risposta.

Il libro parla dell’identità legata al colore della pelle che noi abbiamo integrato come “normale”. “Il pensiero bianco”, in cui si affronta il problema del razzismo, non dal punto di vista di chi lo subisce ma di chi lo esercita, di chi ha un modo di pensare “bianco” e ha l’abitudine di immaginarsi come “normale” cioè, di un colore della pelle che indica un modo di pensare. Diventare bianco, non è forse imparare a pensare a se stesso come dominante? Quello che Thuram vuole mostrarci è come l’egemonia bianca, stabilita nel corso degli ultimi secoli, continua a contaminare gli aspetti più intimi della vita di tutti. Essere percepiti come bianchi significa far parte del gruppo dominante. Significa prendere sé stessi come la “norma” e, per questo, non porsi tutta una serie di domande che persone percepite come “non bianche” si pongono. Significa essere abituati a sentirsi un “universale”, una persona “normale”, quando le persone ‘razzializzate’ (1) sono ancora troppo spesso percepite come “gli altri”.

Il razzismo non è naturale; per natura, il nostro cervello non fa distinzioni razziali”. In altre parole, nessuno nasce bianco o nero. All’inizio si è accettati così come siamo, nel momento in cui una persona appone l’etichetta di “bianco” o “nero”, inizia la discriminazione e il razzismo.

Per capire l’origine del razzismo, Thuram va alla radice: “Il pensiero bianco” sostiene Thuram “non è limitato ai bianchi.” Cita due esempi delle sue frequenti visite in Africa. A Ouagadougou, [Burkina Faso n.d.r.] un uomo che incontrai per strada mi disse che “I bianchi sono secondi solo a Dio.” Quando raccontai questa storia al sindaco di Ouagadougou, mi rispose, “Non è sorprendente. Abbiamo un detto qui: Dio è grande ma l'uomo bianco non è piccolo". Questo, sostiene Thuram “ci dice tutto ciò che dobbiamo sapere sulla pervasività del pensiero bianco”.

Per superare il problema di pregiudizio, discriminazione, razzismo è necessario scardinare un sistema di pensiero che, a diversi livelli e in contesti differenti, imbriglia l’individuo sin dall’infanzia.

Il primo libro di Thuram “My Black Stars: From Lucy to Barack Obama”, pubblicato nel 2010, ha cercato di sfidare la versione bianca della storia e cultura che aveva imparato a scuola in Francia raccontando alcune delle storie nere che gli erano negate nella sua infanzia. Ora, in “Pensiero bianco” (White Thinking), è arrivato alla conclusione che questa storia bianca e il pensiero bianco che la sostiene devono essere ribaltati.

È ormai, da moltissimi anni che Thuram dedica enormi sforzi nelle scuole per la sensibilizzazione contro il pensiero razzista, a cominciare dallo slogan che accompagna la sua Fondazione: “Educazione contro il razzismo”. Un approccio che si aggancia anche alla questione dell’inclusione delle nuove generazioni in un’unica nazione. Il libro è apprezzatissimo in tutte le scuole europee di ogni ordine e grado. E Lilian, infatti, gira instancabilmente tutta l’Europa, per incontrare i giovani, con l’idea fissa che oggi i ragazzi e le ragazze hanno bisogno di un approccio diverso alla didattica: non di tipo frontale e unidirezionale, dove sono considerati alla stregua di contenitori da riempire, ma più aperto e partecipativo, basato cioè sul dialogo e sull’interazione. La sfida è chiedere agli studenti che cosa hanno da dire e ascoltare le loro risposte.

E mi fa piacere chiudere con questo pensiero di Thuram: «Bisogna fare uno sforzo non indifferente per liberarsi di tutte le maschere che si è stati obbligati a portare, e anche quando ci si riesce, si corre il rischio di non essere capiti, perché la società non ama gli spiriti liberi. Ma sono gli spiriti liberi a cambiare le società».

 L’impegno di Thuram nella lotta al razzismo è noto a tutti, fin dai tempi in cui faceva il calciatore, e noi, come Associazione di Scritti d’Africa, siamo orgogliosi di poter contribuire a diffondere un messaggio di pedagogia sociale straordinario.

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(1) In questo volume il termine razzializzazione come processo attraverso cui un gruppo dominante attribuisce caratteristiche razziali, disumanizzanti e inferiorizzanti, a un gruppo dominato, attraverso forme di violenza diretta e/o istituzionale che producono una condizione di sfruttamento ed esclusione materiale e simbolica è approfondito molto bene.

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