Matteo Giusti -La loro Africa. Le nuove potenze contro la vecchia Europa- recensione a cura di Giulia De Martino

 

 

 

 

 

 Matteo Giusti

 La loro Africa - Le nuove potenze contro la vecchia Europa

 Prefazione di Sergio Romano

 Castelvecchi, 2022

 

Uno smilzo libretto di un centinaio di pagine che può essere molto utile per chi voglia cominciare a capire un po’ di più la geopolitica africana attuale. Per di più il testo, oltre ad essere scritto in modo scorrevole e non complicato, è corredato da numerose interviste o articoli di giornalisti, africanisti e storici di diverso orientamento che compongono un quadro abbastanza completo delle diverse posizioni relative al progressivo abbandono del continente africano da parte dell’Europa, in primis la Francia, e degli Usa. Ricordiamo che l’autore è collaboratore abituale della rivista Limes, e lavora per diverse testate nazionali e locali, occupandosi principalmente di Africa.

Occorre subito distinguere l’interesse ‘storico’ rivolto all’Africa dalla Russia, dalla Cina e dalla Turchia dai moventi economici e politici attuali.

L’Unione Sovietica , negli anni ’60, ha riversato sui movimenti di liberazione africani, la possibilità di guadagnare consensi presso popolazioni profondamente rabbiose nei confronti del giogo coloniale: aiuti in armi, di formazione militare, di progetti educativi, soprattutto borse di studio universitarie. Sostanzialmente un interesse ideologico che doveva far entrare i paesi africani, soprattutto ex- Francia e Gran Bretagna nell’alveo del socialismo, cosa che in effetti alcuni stati fecero per qualche tempo con risultati peraltro disastrosi. Di fatto dal crollo sovietico del ’91 questi stati africani si ritrovarono tutti più poveri e con una classe dirigente ormai solo abituata ai cordoni aperti della Russia. Gli aiuti militari ai movimenti di Angola e Mozambico (ma anche ad altri paesi come Tanzania, Egitto, Zimbabwe, Etiopia non mancarono) furono fondamentali, negli anni della guerra fredda, per contrastare gli Stati Uniti e il Sudafrica dell’apartheid.

Quanto alla Cina, come già rilevato in Africa rossa di Alessandra Colarizi, recentemente da noi recensito, fin dal 1400 è stata presente con navigazioni e commerci nella costa orientale dell’Africa dall’Egitto fino alla Somalia, impiantando empori ed esportando genti e cultura fino all’arrivo degli Europei, tedeschi, inglesi, belgi, italiani che ne segnarono il crollo. Con la Repubblica popolare di Mao, la Cina mostrò interesse per gli stati africani, gareggiando con l’Unione sovietica, con grandi progetti che potessero aiutare i paesi coinvolti, come con la grande ferrovia che unì Tanzania e Zambia, ma che rimasero soprattutto sul piano politico ed ideologico piuttosto che strutturale.

L’attenzione della Turchia o meglio dell’allora impero ottomano alle coste mediterranee dell’Africa e a quelle del Mar Rosso fino alla Somalia ha riguardato una presa di territori che non fu mai troppo profonda, fatta di conquiste e continue rivolte, contando sul fattore religioso di un islam sunnita da contrapporre a quello sciita. Durò, grosso modo, dal 1300 alla prima guerra mondiale quando l’ottomanesimo fu sostituito dal kemalismo. La contrapposizione Est-Ovest fece della Turchia un terreno di scontro tra Stati Uniti e Unione Sovietica, che cercava un passaggio verso il Mediterraneo: l’accesso alla Nato nel 1952 contribuì a creare un’alleanza regionale con Iraq, Pakistan e Gran Bretagna in funzione anti-sovietica e anti-egiziana. Ma per molti anni ancora la Turchia, indaffarata con i colpi di stato interni e diverse dittature, guardava soprattutto al Medio Oriente, scosso dalla guerra Iraq-Iran, piuttosto che all’Africa.

Del tutto diverso l’interesse manifestato dal giovane stato di Israele nei confronti dell’Africa che negli anni ’60 si stava liberando dal colonialismo. Notevoli gruppi di tecnici, ingegneri, esperti di sicurezza sciamarono nel continente per progetti eminentemente commerciali e agricoli. La maggioranza degli stati rispose positivamente all’apertura di canali diplomatici, finché arrivò la doccia fredda della guerra del Kippur del ’73; gli stati africani scelsero quasi tutti di stare dalla parte egiziana, non tanto per motivi ideologici, quanto per ragioni economiche: la scelta dei paesi del Golfo di stare con l’Egitto determinarono il totale abbandono dei progetti israeliani, perché i giovani stati avevano bisogno del petrolio. L’eccezione fu rappresentata dallo stato del Sudafrica, dalla Rhodesia di Ian Smith, dal Biafra: Israele armava e addestrava le loro truppe e in cambio, tramite questi stati aggirava le sanzioni imposte dall’Onu. Da ricordare la gigantesca operazione Salomone del ’91 con cui più di 15mila ebrei etiopi furono trasferiti con un ponte aereo in terra d’Israele, approfittando della caduta del regime di Menghistu, in seguito al crollo dell’Urss.

Bisognerà attendere la spregiudicata politica estera di B. Metanyahu per riaccendere l’interesse reciproco di Africa e Israele.

Non sarà un caso che la ripresa, negli ultimi anni, di contatti e affari, penetrazione tecnologica e militare sarà legata a tre individualità di statisti autoritari, con problemi all’interno del loro paese, da distrarre con successi all’esterno: Putin, Erdogan e Metanyahu. Il caso della Cina è un po’ diverso.

Gli interventi di Putin in Libia e in Siria rendono palese che un rinato asse Mosca- Washington non è più in essere, la guerra di Crimea del 2014 e la collaborazione con i paesi dell’Asia centrale attraverso una politica economico-militare molto aggressiva, prepara una svolta geopolitica nei rapporti russo-africani. Nel 2019 si tiene a Sochi un summit con ben 47 stati africani: l’agnello Putin parla di cooperazione civilizzata per la crescita, condannando duramente gli ex colonizzatori europei, pronti solo a depredare. Di fatto incassa accordi in ben 24 paesi in materia di sicurezza, rendendo la Russia un gigante nel commercio di armi e intelligence in Africa.

E’ in Libia che tutti gli europei fanno la conoscenza con il famigerato Wagner Group, fantomatica società privata di contractors, ufficialmente non governativa, ma di fatto legata a fedelissimi di Putin. Libia, Mali e altri paesi saheliani beneficiano delle attività del Wagner, macchiandosi di crimini e violazioni di diritti umani, sobillando qua e là diversi movimenti antigovernativi, soprattutto in funzione antifrancese. Di fatto la Francia è stata estromessa dalle zone dove ha sempre avuto influenza e la Russia ha di fatto le mani negli eserciti di mezzo continente, attraverso fornitura di armi e consiglieri militari ufficiali e non ufficiali.

L’obiettivo principale resta il mar Rosso e la creazione di basi navali che possano garantire il passaggio nel Mediterraneo. Un’abile mossa è stata la cancellazione dei debiti contratti dai precedenti governi africani con l’Urss, in cambio di lucrose concessioni minerarie e altri incredibili vantaggi economici. Senza parlare dell’aumentata ingerenza politica in stati come il Mali e la Repubblica centroafricana. Nel resto dei paesi si registra un’altalena di successi e insuccessi, a causa probabilmente della concorrenza cinese e turca.

A differenza della Russia e della Turchia, la politica estera cinese nei confronti dell’Africa non è legata a un uomo chiave come Putin o Erdogan, bensì allo stesso Partito comunista nel suo alternarsi di politici, oggi riassunti dal savoir faire di Xi Jinping che ha lanciato il marchio cinese in Africa sia in termini di accaparramento di risorse naturali (compreso l’acquisto o l’affitto di terre) che come nuovo mercato di vendita dei propri prodotti. Il tutto attraverso una strategia commerciale, all’apparenza non aggressiva, che fa camminare di pari passo la conquista di fette di mercato con grandi investimenti strutturali; con un approccio di lungo termine che non tiene assolutamente conto di adeguamenti di diritti civili o rispetto di regole, che del resto non ci sono neanche a casa sua.

Gli investimenti attuali si aggirano su cifre miliardarie e riguardano non solo quelli statali ma anche quelli di una imprenditoria privata in grande espansione. Molti stati africani, memori del neocolonialismo monetario imposto dalla Francia a quasi tutta l’Africa occidentale, accettano con piacere le offerte cinesi: investimenti strutturali (vie di comunicazione, stazioni, porti ed aeroporti, ospedali ecc.) prestiti facilitati con linee creditizie a tasso zero, lunghi periodi concessi per ripagare i debiti. Senza contare la promozione pubblicitaria dell’aiuto sanitario in medicinali ed équipe come quello esibito con la cosiddetta “diplomazia delle mascherine” durante l’epidemia di covid.

Tutto ciò in funzione del potenziamento della Via della seta che coinvolge tutta l’Africa orientale in uno dei suoi percorsi. Se è vero che colpisce la presenza articolata cinese in Africa occidentale, dove massiccia era quella inglese e soprattutto francese, è proprio nella parte orientale che si concentrano i maggiori interessi: dighe, oleodotti, raffinerie, basi militari, come a Gibuti, sempre ufficialmente per la difesa di beni e cittadini cinesi presenti nei territori. Dal mare mediterraneo alla Somalia, il dominio cinese cresce incontrastato, insieme alla sua influenza del ruolo di paciere in aree fortemente in contrasto.

Tutto imperniato sui famosi “five no” pronunciati da Xi Jinping nel 2018 al mega forum della cooperazione sino-africana: nessuna interferenza nel modo in cui i paesi africani perseguono i loro percorsi di sviluppo- nessuna interferenza negli affari interni dei paesi- nessuna imposizione della volontà cinese- nessun legame tra aiuti e politica interna- nessuna ricerca di vantaggi politici negli investimenti e nella cooperazione finanziaria.

Rispetto a quanto ha sempre richiesto la vecchia Europa in tema di democrazia e diritti è una pacchia per tutte le élite predatorie e i dittatori di turno. Ma almeno non c’è l’ipocrisia europea per la pretesa del rispetto di regole non osservate neanche a casa propria…e il continuare lo stesso a fare affari con governanti criminali. Dopotutto con i dittatori si ottengono migliori risultati che con i parlamenti regolarmente eletti.

Se la Russia è prescelta per la fornitura di armi, tecnologia militare e di intelligence antiterrorismo ( a sua volta generatrice di terrorismi) in Africa si preferisce la Cina per i prodotti tecnologici legati alla comunicazione ( ricordiamo che questo paese ha portato la banda larga in Africa) considerati più affidabili, o per le costruzioni civili.

La Turchia cerca di inserirsi come può, rispolverando, dove possibile la comunanza della fede religiosa, attraverso la costruzione di moschee e la sua preferenza per i Fratelli musulmani. Ma anche adottando nuovi approcci commerciali nel settore del turismo per esempio, o anche nuove strade culturali, come la diffusione di prodotti televisivi, soap opere che diffondono una percezione di una società turca progressista e moderna: di fatto ha soppiantato la diffusione delle telenovelas egiziane, ottenendo seguiti soprattutto in Somalia.

Deve rispondere però a due handicap: la situazione interna del paese, tutt’altro che pacifica, e il fatto di essere saldata all’occidente da un’alleanza militare e geopolitica quale quella della Nato. In Libia la Turchia ha dimostrato la possibilità di convivere coi russi e si offre sempre in primo piano per favorire tregue e paci più o meno durature nel Corno d’Africa.

Israele cerca di promuovere le specificità di intelligence del Mossad al fine di vendere sicurezza e una tecnologia agricola molto avanzata per operare in terreni colpiti da siccità e deforestazione, ma in termini di resa politica, sono pochi gli stati che votano insieme a Israele in situazioni che riguardano la Palestina o i paesi arabi…

Tuttavia il testo conclude sottolineando che è vero che la vecchia Europa è in declino, ma non è ancora del tutto spossessata dai giochi, purché insieme agli Usa cessi di essere solo il quadro di un passato glorioso di quando non aveva rivali e cinicamente siglava il bello e il cattivo tempo in Africa. Come vedete abbiamo omesso tutte le cifre da capogiro presenti nel testo, utili per capire di che cosa stiamo parlando, lasciando a voi la capacità di sorreggerle di persona…

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