Max Lobe- Rue de Berne, numero 39- recensione a cura di Rosella Clavari

 

 

 

  Max Lobe

  Rue de Berne, numero 39

  66thand2nd, 2019

  traduzione di Sàndor Marrazza

 

 

 

Alla sua prima prova come romanziere Max Lobe, esprime già quella piacevole e spregiudicata maniera di raccontare che troveremo più affinata ed efficace in “Trinita Bantu” da noi già recensito.

L'ambientazione è sempre la Svizzera e i protagonisti sempre una famiglia di camerunensi, emigrati grazie alla squallida complicità dello zio Dèmoney, che sembrava un vero padre di famiglia, e dei Filantropi-Benefattori, specializzati in trasferimenti di persone alla ricerca di un futuro migliore.

In realtà la povera Mbila, madre del giovane protagonista Dipita, si troverà quasi subito, in seguito alla sua partenza dall'Africa per l’Europa, preda degli sfruttatori e avviata nella carriera di wolowoss, cioè prostituta.

Dipita rimane accanto alla madre come socio, alleato e psicologo come si definisce lui stesso, ascoltando tutte le sue angosce e rispondendo alle sue richieste di consiglio anche sull'abbigliamento più appropriato. Fino a un certo punto, però: è vero che la madre con il corredo delle sue amiche-colleghe, ottime insegnanti di educazione sessuale, accetta l'omosessualità del figlio, lo ama e lo protegge, ma si serve anche di lui o meglio del suo corpo per nascondere ovuli di cocaina. Entrare in un giro sporco fa perdere qualsiasi parametro di lucidità, sarà difficile per il ragazzo dimenticarlo.  Tanto più che queste vicissitudini lo condurranno nel carcere  di Champ-Dollon da dove continuerà il racconto-flashback della sua vita a Ginevra.

Il racconto, come in altri dell'autore, parte dalla famiglia per analizzare le falle di una società sempre più corrotta nei vertici . Se si usa dire che quando manca il capo in una famiglia tutto va a rotoli, così si può dire del paese di Dipita dove sarcasticamente il Presidente è chiamato Papà Paul.

Lo zio Dèmoney, anche se sembrava negli ultimi tempi sopraffatto dai casi della vita, era stato un vero ribelle contro il regime di Papà Paul; spesso la moglie Bilolo gli diceva che avrebbe fatto bene a “mettersi un paio di mutande sulla bocca” ; questa è una delle tante espressioni colorite, tra le metafore e i paradossi usati,  che denotano la vivacità ma anche l'autenticità del parlato africano. La lettura è scorrevole e coinvolgente anche per questa modalità narrativa che passa attraverso la vita affettiva dell'autore. Un affetto, un amore che riguarda la sua terra “un'Africa in miniatura” così lui definisce il Camerun per la varietà di lingue, di espressioni culturali e di vita quotidiana che la caratterizzano.

L'ambientazione in Svizzera, come già in “Trinita Bantu”, anche qui paradossalmente nega quel luogo ovattato e perfetto  che ci immaginiamo, puntando l'obiettivo sul quartiere a luci rosse di Rue de Berne, dove la madre di Dipita lavora come wolowoss. Le colleghe di Mbila costituiscono la famiglia del ragazzo, in quel mondo colorato alla Almodovar accettato da lui.   Dipita dapprima si ostina a nascondere la sua omosessualità, in seguito presenta l'amico William alla madre e alle colleghe che lo festeggiano per non farlo sentire fuori dal coro.  Intanto il ragazzo scopre che il mestiere che vorrà fare non sarà il banchiere, come si augurava lo zio, ma lo stilista, anzi il designer come gli suggeriscono di dire. Purtroppo dovrà affrontare prima il carcere e l'imprevisto di una perdita familiare.

Lasciamo al lettore scoprire lo svolgimento dei fatti e la vivacità e spregiudicatezza di questo autore. Cresciuto alla scuola di Mabanckou, di cui si dichiara amico e ammiratore, esprime attraverso la chiave comica e ironica il disagio legato a vari fattori: la situazione di molti paesi africani condannati da dittature asservite all'Occidente; l'omosessualità che in Camerun è considerata illegale; lo sfruttamento della prostituzione attraverso il miraggio di un'emigrazione in Europa con un lavoro onesto magari nel campo artistico: a Mbila avevano detto che avrebbe fatto parte di un gruppo di ballo e lo sarà, ma come trampolino di lancio nel mondo della prostituzione. Romanzi che dicono molto più di una cronaca giornalistica o di un saggio storico come spesso ci capita imbattendoci nei giovani scrittori africani di quest’ultima generazione. Conservando l’originalità della loro scrittura attraverso un felice connubio di tradizione orale africana (compresi i proverbi sapienziali a volte parodizzati oltre a modi di dire ed espressioni tipiche locali) e i grandi classici della letteratura africana con la conoscenza dei maggiori scrittori europei.

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