Léonora Miano, I contorni dell’alba (recensione di Giulia De Martino)


Léonora  Miano, I contorni dell’alba
       
Edizioni Epoché, 2008
Pagine:  280
Prezzo:  € 15,00
Traduzione di Monica Martignoni

Nell'immaginario stato africano dello Mboasu, la guerra è finita, lasciando dietro di sé morte e distruzione. A farne le spese sono i più piccoli: gli adulti, nella loro follia, li ritengono la causa dei mali che li affliggono e li allontanano. Costretti a vivere per strada diventano spesso preda di sedicenti sette religiose che hanno scopi tutt'altro che spirituali. Musango è una di loro. Cacciata dalla madre, che la sospetta di essere indemoniata, attraversa mille peripezie ma alla fine cercherà di rivederla per perdonarla. Con lei, una luce di speranza illumina il buio in cui è sprofondato il continente nero.


Questo romanzo è il terzo di un trittico che l’autrice ha ambientato in un paese inventato dell’Africa centrale, il Mboasu: con il primo ha vinto numerosi premi, tra cui anche il Grinzane Cavour 2008, il secondo non è stato pubblicato, il terzo ci presenta il paese subito dopo la guerra civile che l’ha sconvolto, immerso nella miseria e nella disperazione più profonda.
Il testo si configura come un lungo e perenne colloquio immaginario che la protagonista, Musango, una ragazzina ( la cui storia si svolge tra i 9 e i 12 anni), intrattiene con la propria madre Ewenji che l’ha cacciata di casa, dopo averle inflitto sofferenze inenarrabili, considerandola una strega che, preso il posto di sua figlia, ha fatto fallire tutte le sue speranze di benessere e amore da parte dell’uomo con cui viveva.
La lettura si presenta immediatamente duplice. Un livello è senza dubbio il tema universale della complessità di rapporti che legano madri e figlie: non a caso il romanzo è disseminato di coppie madri-figlie in dissidio. Musango e Ewenji; Endalé, (destinata alla prostituzione in Europa, dopo rituali magici destinati a spezzare la sua volontà e voglia di ribellarsi) e sua madre, gelosa solo dell’interesse di suo marito nei confronti della figlia; la maestra Mulonga e la Signorina, che non ha saputo incarnare i desideri frustrati di successo di sua madre, legata ad un modello tutto francese, l’unico che la sua generazione abbia conosciuto; la stessa Ewenji e sua madre Mbambè, colpevole di aver riempito la casa di bimbe abbandonate, affiancandole alle due che ha avuto dall’uomo che amava e che per questo motivo se n’è andato, attirandosi l’odio delle figlie carnali, in eterna ed esiziale competizione tra loro per il possesso della figura materna.
L’altro livello è l’appassionato appello a un’intera generazione di giovani che sembrano già sconfitti in partenza, a resistere in una terra che è diventata troppo dura e non riesce a offrire loro un avvenire. Sono molti i brani in cui l’autrice ci parla di bambini e bambine, spesso malati o handicappati, allontanati violentemente da casa, che vivono di rifiuti tra le strade della capitale e sono alla mercé della violenza e dei soprusi di chiunque. Gli adulti cercano continuamente pretesti per disfarsi della prole, le bocche in più da sfamare richiamano in continuazione i loro fallimenti. La guerra  civile ha accentuato la miseria e allontanato sempre più la possibilità di accedere a o conservare i privilegi della dirigenza, copia di quelli del mondo occidentale. Secondo l’autrice, lungi dal guardare in faccia l’impietosa realtà, se la prendono con i più deboli, abbandonandosi alle illusorie chimere delle chiese del risveglio. E’ molto interessante la descrizione di questi fedeli imbozzolati da promesse di ricchezza terrena o da attese della fine del mondo che laverà ogni corruzione e peccato. Dietro s’intravedono gli imbroglioni e i lestofanti che s’ingrassano sulle miserie umane, approntando apparati liturgici, sfarzosi e sgargianti, musicali e isterici per afferrare tutto quello che la gente può dare, soprattutto da parte di quelli che qualcosa già avevano o erano sul punto di avere prima o durante la guerra.
Cosa rappresenta il cammino nel fango di Musango? Fango è letterale, per tre volte vi sprofonda e sempre ne emerge con un pensiero nuovo, una intuizione di cosa potrà e vorrà essere in futuro. Il solo fatto di essere ancora in vita, nonostante le sue peripezie, le dà il diritto e il dovere di vivere e pensare che un altro mondo è possibile. La Miano non è interessata alle analisi sulle cause esterne di ciò che succede nei paesi africani. Dà per scontate le responsabilità dell’occidente, ma quali sono le responsabilità degli africani stessi? Ecco apparire più chiaro il percorso della ragazzina: un cammino verso la coscienza di sé, un lavoro interiore per riappropriarsi del proprio nome, simbolo della dignità perduta, per trovare i mezzi per inventarsi un destino nuovo, quando tutti i modelli sono falliti, cercare in se stessi le forze senza contare sulla tutela altrui. La madre ha cercato disperatamente l’approvazione del padre, negata anche in presenza di sforzi sovrumani, sacrificandogli perfino l’amore per la figlia.  Appare come una metafora dei rapporti che l’Africa intrattiene con l’occidente: ha offerto su un piatto d’argento i suoi doni più preziosi per poi lamentarsi di essere stata fruttata, reagendo con lo sguardo rivolto solo al passato e alle tradizioni o divenendo preda di sette, in cui ognuno cerca una salvezza che viene sempre da altrove o a “fare l’Europa”: in ogni caso una fuga e una non assunzione di responsabilità.
Il testo scorre secondo i ritmi di una composizione musicale, i capitoli si chiamano preludio, interludio, primo e secondo movimento ecc., anche se è soprattutto al jazz che allude l’autrice, anzi all’improvvisazione jazzistica, come afferma in una sua intervista, in cui a contare sono contemporaneamente la capacità individuale di inventare e la disponibilità a saper rientrare nel gruppo, accordandosi con gli altri. Esattamente il messaggio di Musango: attraversare il fango e l’oscurità della notte da soli per poter approdare a una nuova capacità di essere insieme per costruire qualcosa di buono.


Giulia De Martino

© Scritti d’Africa, 21 gennaio 2009

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