Mohamed Leftah - L'ultima battaglia del capitano Ni'Mat - a cura di Giulia De Martino

 

 

 

 

 Mohamed Leftah

  L’ultima battaglia del capitano Ni’Mat

  edizioni e/o, 2021

  traduzione di Alberto Bracci Testasecca

 

 

Questa è una strana recensione post-mortem di un romanzo, edito nel 2010, dell’autore marocchino, deceduto a 62 anni al Cairo nel 2008, osteggiato per tutta la vita dal suo paese, nella pubblicazione, ma poi omaggiato nel 2011 con un premio alla memoria dal Prix Mamounia, riferito alla letteratura marocchina francofona.

Qualche parola sullo scrittore: prima di dedicarsi al giornalismo e alla letteratura, aveva pensato di intraprendere studi ingegneristici e in seguito informatici, poi abbandonati. Di carattere schivo, non aveva ideato campagne di polemiche pubbliche contro il conformismo, le ipocrisie dei benpensanti, il fanatismo etico-religioso, l’ignoranza e le superstizioni della gente comune, puntando tutto sulle parole e le idee dei personaggi delle sue opere per esprimere le proprie opinioni.  Nel 1992 esce in Francia, presso le Editions de la Différence, “Demoiselles de Numidie”, ambientato in un bordello di Casablanca, con grande scandalo sia degli arabi francesi che di quelli in Marocco, perché si dava voce a chi non aveva il diritto di pretenderla. Infine Leftah abbandona il suo paese, prima per la Francia, poi per l’Egitto degli anni duemila, dove però ha cura di non far editare “Le dernier combat du captain Ni’Mat”( che ha per protagonista un ex-militare egiziano che scopre la sua omosessualità a più di 60 anni) per timore di essere cacciato e perdere quell’angolino di tranquillità che si era ricreato al Cairo.

Muore senza sapere che dal 2010-11 sarebbe stato sulla bocca di tutti i critici che ormai osannano le sue qualità letterarie non comuni e gli intenti critici nei confronti di società che impediscono all’individuo di vivere alla luce del sole le proprie idee politiche, i desideri e i sogni senza incorrere in censure o peggio. I tempi ormai cominciano a cambiare e ciò si deve anche all’impegno costante del suo amico di una vita Abdellah Baida, professore all’università Mohamed V di Rabat, da sempre al suo fianco. Nel 2010 per ricordare l’amico e scrittore, Leftah si inventa per le Tarik editions ( una casa editrice marocchina indipendente) un testo collettivo in cui scrittori e critici parlano dei suoi testi e analizzano il suo linguaggio artistico. Tra questi invia uno scritto anche il vecchio professore di filosofia E.A.El Maleh, docente del liceo frequentato dall’autore: ormai Mohamed Leftah è definitivamente sdoganato… Del resto i temi della sessualità in genere e dell’omosessualità in particolare sono ormai entrati nell’orbita della letteratura araba e musulmana, nell’ultimo decennio.

Però, a differenza di Rachid O. o Abdellah Taia, tra gli autori più conosciuti, il movente principale della sua scrittura non è l’omosessualità ma le difficoltà di vivere in una società che reprime costantemente tutti i tentativi di sottrarsi alla morale del gruppo, o meglio del branco, come lui scrive, in cui è pericoloso esprimere liberamente le proprie idee. Il testo, dunque, si rivela più politico di quel che appare ad una prima occhiata.

Il capitano d’aviazione egiziano Ni’Mat, dopo essere stato frettolosamente congedato in seguito alla campagna in Yemen( succeduta alla batosta del ‘67) perché tornato con convinzioni molto più radicali di quelle socialisteggianti del partito unico nelle mani di Nasser, si adagia in una vita comoda. Si sposa con la figlia di un grosso proprietario terriero, espropriato sul momento dal potere, ma pronto a riprendersi il suo quando i tempi politici cambiano. Scatta la passione tra i due, nascono figli, conducono una vita matrimoniale comune a tante altre coppie, destinata a spegnersi con il passar del tempo, chiusi ormai i coniugi ognuno nei propri confini: lei a fare la vita della signora bene, tutta presa da parrucchieri, estetisti, sarti, palestre e shopping, lui a rimuginare sulla scelta infausta operata in gioventù, barattando l’amore per la letteratura e la scrittura con gli agi di una vita comoda, condotta in una bella casa borghese in un quartiere esclusivo. Rimpianti che lo inducono a frequentare con fastidio, solo in parte represso, ogni giorno la piscina di un club sportivo con i suoi ex-commilitoni, tutti generali in pensione: uomini imbolsiti e intorpiditi dal lusso, dominati da una goliardia che al capitano non appartiene più, paghi di un regime che soddisfa comunque le loro aspettative, fregandosene dei principi di democrazia.

E’ proprio a causa del suo frequente appartarsi in un angolo ombroso, ai bordi della piscina, guardando i giovani corpi dei ragazzi, scattanti e celestiali nella loro bellezza, che comincia a percepire delle sensazioni, a cui si abbandona con la fantasia. E’ solo l’inizio di un percorso di riconoscimento delle proprie inclinazioni sessuali che culmina con la relazione con Islam, il domestico nubiano che si occupa della casa, bello come una antica divinità egizia e innocente come un fanciullo. Si chiede, all’inizio, se la responsabilità di ciò che gli accade non debba essere attribuita alla dolorosa sconfitta nel ‘67 inflitta dagli israeliani, ai disastri interni che si sono succeduti o agli stati profondi di insoddisfazione che hanno generato una forma di protesta estrema contro la retorica tronfia e vuota del maschio supremo...

La storia con il giovane ragazzo inquina definitivamente i rapporti con la moglie, che pure a suo modo ama, perché per molto tempo è stato felice con lei e le è legato dall’affetto di una vita: perderà tutto nel momento che si proporrà di vivere, in modo completo, il suo amore per Islam, scoprendo che non ha mai assaporato a pieno la vita da quando lui è comparso sul suo orizzonte. Non è solo sesso, è l’appagamento di una vita sentimentale autentica che non deve rispondere ai canoni imposti dalla morale corrente e dalle tradizioni. Il quartiere residenziale lo rinnega, viene cacciato anche da un modesto appartamento in cui si era insediato, finendo solitario ed alcolista, dal momento che il giovane Islam è dovuto tornare al villaggio natio : l’autore non si fa illusioni sui cambiamenti di mentalità della società.

Non gli resta che affidare le sue elucubrazioni ad un diario.” L’angoscia che gli aveva serrato il cuore a quelle fosche prospettive cede rapidamente il passo a un altro sentimento meno opprimente, la tristezza, una tristezza cocente, sia dolce che infinitamente disperata, per il volto ormai irriconoscibile del suo paese, per la trasformazione della società che aveva portato alla nascita di branchi dediti a un odio assassino per tutto ciò che si discostava dalla regola del gruppo, per tutto ciò che poteva singolarizzare un individuo, dal suo modo di credere fino alle sue scelte amorose.”

In questo testo le descrizioni particolareggiate e scabrose del sesso tra il capitano e il giovane nubiano convivono con espressioni di una poesia lussureggiante che richiama le fantasticherie orientaleggianti ed esotiche di Baudelaire: del resto il poeta francese è presente all’inizio di certi capitoli con citazioni da “I fiori del male”. Anche troviamo una assonanza con certe immagini surrealistiche alla Breton, soprattutto all’inizio quando descrive i ragazzi che sguazzano in piscina o quando evoca le suggestioni con cui presenta il corpo di Islam. L’impulso amoroso libera il linguaggio e sublima l’osceno. Viene naturale pensare anche ad una vicinanza intellettuale e letteraria con Jean Genet: la predilezione per ambienti marginali e scomodi, per personaggi naif oppressi e deboli si coniuga con un linguaggio sceltissimo e aulicamente poetico, distante dalle situazioni che l’autore descrive. La bellezza che nasce dal sordido e dal represso dona una smagliante iridescenza al suo linguaggio.

 

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