Moussa Konaté-recensione a cura di Giulia De Martino

Moussa Konaté

La maledizione del dio del fiume

Edizioni e/o, 2010

L'assassino di Banconi

Edizioni Del Vecchio, 2010

Presentiamo due romanzi insieme dello stesso autore, dal momento che si tratta di due noir, con la stessa coppia di detective, il capo, commissario Habib Keita e l'ispettore Sosso, ambientati entrambi nella città di Bamako, capitale del Mali.
Ma cominciamo dall'autore:  è una new entry per l'editoria italiana lo scrittore del Mali Moussa Konaté, considerato, oggi,  l'autore più rappresentativo del panorama letterario di questo paese. Figura singolare e poliedrica quella di Konaté che, abbandonata la carriera di insegnante di lettere di liceo, si dedica a tempo pieno alla scrittura, fonda una casa editrice in Mali e una in Francia, a Limoges, dove ora in gran parte risiede, assumendo anche il ruolo di divulgatore culturale, nelle zone rurali del suo paese, soprattutto con libri  per l'infanzia.
Considerando quale è la situazione precaria della editoria africana gli si deve riconoscere una certa dose di coraggio. Come scrittore ha coltivato  molti generi, come gli autori veramente d'antan, il noir, il teatro, il romanzo, il saggio, la narrativa  per bambini e ragazzi, esibendo una scrittura classica, semplice e distesa, lontana dalle sperimentazioni linguistiche di un francese, forzato e violato come quello di molti autori africani di oggi.  “Amo i classici, ho studiato e amato troppo i latini e i greci!” sostiene in alcune sue interviste che lo solleticano su questo punto.
I due noir, recentemente tradotti a distanza di pochi mesi da due case editrici italiane, sono in realtà apparsi in tempi diversi in Francia. Il secondo uscito in Italia, L'assassino di Banconi, è in realtà precedente, del 1998. Lo si capisce anche dal contesto: l'ispettore Sosso è appena uscito dalla scuola di polizia, è un pivellino desideroso di emulare il suo già celebre capo, famoso per il suo acume nelle indagini, ma anche per la sua onestà e le sue considerazioni filosofiche intorno al male. Nella Maledizione del dio del fiume, sono passati 10 anni e i due fanno riferimento ad altri casi nel frattempo risolti, come quello contenuto nell' Empreinte du renard, non ancora tradotto in Italia, che si svolge in un villaggio del misterioso popolo dei Dogon.
Come per tutti i noir più recenti, un po' in tutto il mondo, il delitto e l'indagine non sono altro che un pretesto per parlare d'altro. In Konaté prevale l’intenzione di presentare gli stili di vita e di pensiero delle classi popolari del Mali, il loro rapporto con le istituzioni e il potere, in che modo guardano all’occidente, come conciliano l'islam e le credenze tradizionali, le strutture gerarchiche e sacrali del passato con le esigenze di un processo democratico. Non ultimo la  convivenza, ora pacifica ora tormentata, tra etnie esprimenti culture diverse.  
Ma non si deve credere che questo intento faccia passare in secondo piano l'intrigo del “giallo” che è costruito bene, in modo particolare ne La maledizione del dio del fiume, solo che il commissario e l'ispettore si trovano ad indagare e a districarsi tra superstizioni, credenze animiste, fatalismi musulmani che costituiscono non il contorno etnologico ma la sostanza stessa della trama delittuosa. Incontriamo l'antico popolo dei Bozo, dedito alla pesca nelle acque del Niger da cui dipende per sopravvivere: è per questo motivo che si offrono sacrifici al dio Maa, il mitico Lemantino che vive nel fondo del fiume, in completo accordo con l'imam musulmano. Se si contravviene alle regole di Maa, il dio si arrabbia e punisce gli uomini con terribili inondazioni e tempeste, come ha fatto ai tempi del Nabilla Nou ,il profeta Noè, da cui i Bozo dichiarano di discendere. Motivo per cui, quando vengono trovati morti nel cortile della casa il capovillaggio e sua moglie, non c'è niente da indagare: per i Bozo è stato Maa con il fulmine, per una colpa, più o meno segreta, della famiglia.
Difficile per Habib e Sosso combattere su questo fronte, creando uno scandalo per il solo fatto di far portare via i cadaveri per l'autopsia. Il lettore viene messo a conoscenza delle incredibili difficoltà in cui si dibatte la polizia di Bamako, costretta a fare indagini senza grandi mezzi tecnologici, con scarse risorse finanziarie, dovendo badare alle pressioni dei superiori che chiedono spesso di insabbiare casi per coprire o compiacere  tale politico o  tale uomo ricco e potente o semplicemente perché non vogliono beghe in città, che possano incentivare gli istinti rivoltosi delle bidonville.
In effetti, protagonista, in parte dei romanzi è la città di Bamako, colta nel suo centro o negli orrendi agglomerati di lamiere e cartoni e di ogni residuato prontamente riciclato negli alloggi. Indimenticabili le descrizioni del traffico incredibile di macchine, taxi, autobus, biciclette e moto, uomini, donne e bambini che trascinano merci di ogni tipo per mercati chiassosi e animati. Ingorghi si formano all'improvviso, soprattutto sul ponte, fonte di litigi che poi si sciolgono come per incanto per formarsi in altri punti della città, pericolosa per lo sfrecciare di mezzi a due ruote di ogni genere. Banconi è appunto il nome  di uno dei quartieri periferici: ”C'era proprio un sole canicolare: sebbene fosse ancora lontano dallo zenit, soffocava gli uomini, gli alberi e la terra, tutto il quartiere di Banconi, immensa escrescenza della città di Bamako, centinaia di abitazioni di mattoni in terra coperte da paglia, da brandelli di stuoie, da fogliame o, nel migliore dei casi, da strati di lamiera ondulata, arrugginita ed ammaccata. I vicoli si intrufolavano tra gli isolati e, ogni volta che passava una di quelle automobili traballanti, praticamente le uniche ad avventurarsi lì in pieno giorno, si alzava una polvere color ocra.”
Nell' Assassino di Banconi il crimine nasce proprio in un ambiente di estremo bisogno, dove speculatori senza scrupoli si approfittano della miseria e dei sogni della povera gente. Qui il poliziotto-filosofo si scontra contro il sistema di potere delle caste, contro la connivenza degli strati dirigenti, contro una polizia utilizzata soprattutto per la risoluzione repressiva dei problemi sociali. ”Vedra i- avverte Habib, rivolgendosi a Sosso- ti chiederanno di trovare la soluzione a problemi la cui caratteristica è di non poter essere risolti finché la terra sarà abitata dagli uomini e non dagli angeli...come sarà l'umanità o come sarebbe dovuta essere, non è nostra preoccupazione”.
Indagati in entrambi i romanzi i complessi  rapporti familiari, quello che succede dentro e intorno alle “concessioni”, soprattutto i rapporti tra le donne all'interno della poligamia, che spesso fanno nascere oscure pulsioni e odi distruttivi tra i membri della famiglia. Nell'Assassino di Banconi i delitti ruotano intorno al cianuro e a strane morti collocate nelle latrine di differenti case. Dunque negli interni di quei muri di cinta che racchiudono i diversi ambienti separati che costituiscono una casa nell'Africa occidentale. Sarà lì il marcio o al di fuori? La polizia segreta ne approfitta per segregare e torturare, per aumentare il suo prestigio ai danni di poliziotti onesti come Habib e Sosso, che credono possibile un processo democratico anche per un paese africano povero.
E' chiaro, il noir come la tragedia greca sconvolge tutto perché sia ripristinata, ad un livello superiore, la legalità etica e giuridica tra la gente. Così è anche per i noir di Konaté, in cui c'è realismo e buon senso, ma non domina mai la disperazione.
Attendiamo con ansia già la terza traduzione della serie.
 

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