Nadifa Mohamed, Mamba Boy (a cura di Giulia De Martino)

 

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Nadifa Mohamed, Mamba Boy             
Neri Pozza, 2010

Epica, romanzo di formazione, on the road africano, molti generi possono essere evocati per definire il testo di questa giovane scrittrice somala, attualmente residente a Londra, città nella quale si è trasferita la sua famiglia all'epoca della dittatura di Siad Barre e che è riuscita a tornare nella nativa Hargheisa solo nel 2008.
E' un libro dalla scrittura semplice e tradizionale, ma capace di evocare mondi con i tratti di una meticolosa cura dei particolari e una dose di buona documentazione,attraendo il lettore con le peripezie del giovane Jama , che sono al cardiopalma,  con le descrizioni del contesto sociale e ambientale dei posti che il figlio di Ambaro e Guure attraversa, con gli squarci storici della II guerra mondiale in Etiopia o l'epopea delle navi dell'Exodus.
L'arco di tempo si svolge tra il 1935 e il '47, presentandoci il protagonista tra i 10 e i 20 anni circa. Un intero atlante si squaderna ai nostri occhi e si salta insieme al protagonista dallo Yemen al Somaliland, da Djibuti all'Eritrea, dal Sudan all'Egitto,dalla Palestina al Sinai, da Port Said a Port Talbot in Galles, da Londra di nuovo ad Hargheisa.
Cosa o chi fa muovere così freneticamente Jama?E' la ricerca del padre assente, il pastore imperfetto, ma perfetto poeta e musicista, incapace di praticare l'attività di pastore di tutti i bedu, di applicarsi alla risoluzione pratica dei problemi.Ma dagli occhi ardenti, dalle mani che sanno carezzare, dalla voce ammaliante come il suo rababa, una specie di violino che il ragazzo erediterà, considerandolo una parte viva di suo padre.
Nella dura realtà della vita nomade, però, questo crea disperazione e disillusione nella moglie Ambaro, donna energica e capace di una grande resistenza alla fatica e alle sofferenze.
In seguito alla morte della figlia più piccola, Guure parte per il Sudan, inseguendo il flusso di denaro che proviene dai lavori esercitati presso i ferengi, si fa ascaro presso gli italiani, poi fugge e ritorna in Sudan. Di lui madre e figlio non sapranno più niente per molto tempo, costringendoli ad emigrare ad Aden, dove la madre troverà la morte, per i disagi di lavoro nella tostatura del caffè presso un padrone schiavista.
E' qui che inizia la vera epopea di viaggio del giovane Jama, inseguito dall'alone di leggenda del mamba nero, che avrebbe benedetto la sua nascita e destinato perciò ad un avvenire di fortuna. Anche se di fortuna ne vedrà ben poca, tuttavia la sensazione di essere protetto il ragazzo la proverà sempre. Anche quando apprenderà la morte del padre, sentirà che le figure genitoriali lo seguiranno sempre, salvandolo da situazioni estreme di pericolo.
Dunque il lettore si trova tra i ragazzi di strada di Aden, conosce e si affeziona a Shidane ed Abdi,un po'  monelli del mare e un po' ladruncoli di mercato, che si incontreranno in seguito anche negli episodi della guerra di Etiopia.
Sarà attraverso di loro che si leggeranno delle pagine crudissime sulla guerra degli italiani, sulle loro atrocità e sugli atteggiamenti dei presunti liberatori inglesi.
 Le attività frenetiche ed incessanti di Aden e di tutte le città commerciali ed aperte che le assomigliano segnano il ragazzo: perché tornare in una Somalia (la sua Somalia è quella del nord) giallo-desertica, senza profumi,compreso quello del denaro,  senza il verde dei giardini e senza fattorie come ha visto in Eritrea e in Etiopia?
Lo attraversa a più riprese il deserto, con i suoi scheletri di animali, con le povere tombe di nomadi, anche se lì Jama si sente sicuro:la vita da piccolo animale che ha fatto fin da piccolo ha acuito i suoi sensi e nell'ambiente desertico i suoi sensi vigili avvertono, con dei brividi nel fondo schiena, tutti i possibili pericoli. Questo lo aiuterà anche quando farà il piccolo commerciante di contrabbando attraverso il Sudan:la madre gli ha lasciato un piccolo capitale in rupie, legate in un amuleto che Jama porta sempre al collo, stimolo per tentare di accrescerlo e costruirsi un futuro.
Come in tutte le storie di orfani Jama incontra degli aiutanti e degli avversari:gli aiutanti sono per lo più nell'ambito della catena di solidarietà dei clan.
Questa non verrà mai meno, anche quando le persone non si incontreranno sul piano umano, ciò che un membro del clan deve a quello in difficoltà sarà sempre elargito, anche in Inghilterra quando Jama viene a conoscenza della comunità somala,in cui molti sono marinai fuochisti su navi che vanno ai quattro lati del mondo.
Anche fuori dei legami del clan incontra aiuto:un giovane maggiore ebreo dell'esercito italiano, le donne kunama , la gallese Glenys e altri ancora.
E troverà l'amore in Bethlem, una giovane e bellissima etiope,che saprà attenderlo dopo i suoi viaggi in mare, donandogli un figlio.
Questa notizia, sapere di avere un figlio, lo strappa alla vita verso la quale si era avviato:una vita nella quale aveva dissipato tutti i suoi risparmi... alle giostre. Il bambino che non aveva mai potuto essere aveva preso il sopravvento e strabiliato da quelle mirabolanti macchine , a più di 20 anni ,vi era montato su per godersi  la sua infanzia.
Ma non vuole ripetere l'errore di suo padre e lasciare che sua moglie cresca da sola un figlio senza padre e dà una svolta alla sua esistenza: ma è il vero finale? Sembra di no, perché:”...Jama avrebbe voluto che Bethlem vedesse tutto insieme a lui. Avrebbero fatti i bagagli e viaggiato come nomadi per tutta l'Africa e l'Europa...”
C'è anche una allusione, in tutto il romanzo, ai viaggi odierni che i somali compiono attraverso deserti e mari per fuggire alla guerra civile in Somalia, ai loro cadaveri disseminati tra le sabbie e i fondali mediterranei, inseguiti sempre da un sostanziale razzismo degli arabi. Negli episodi degli anni '30-'40 c'è l'anticipo del nomadismo forzato futuro.
Abbiamo accennato ad una parte piccolissima delle sue avventure che sono davvero tante, in cui si inseguono paesi e sogni,speranze e delusioni, sofferenze atroci e sorrisi, che emergono da una disposizione narrativa e lirica propria dei cantastorie nomadi somali, ma che attingono anche a Dickens ( ce lo richiamano certe descrizioni dell'infanzia diseredata) e a tutta una solida tradizione del romanzo inglese, proponendo un approccio di racconto  assai gradevole.

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