Pepetela - La generazione dell'utopia (recensione di Giulia De Martino)

Pepetela, La generazione dell'utopia

Traduzione di Sara Favilla

Edizione Diabasis, 2009

 

altCi sono voluti quasi 18 anni perché questo bellissimo testo, edito nel lontano 1992 , vedesse la luce in lingua italiana. Eppure si tratta di uno dei migliori  romanzi africani del ventesimo secolo secondo la lista redatta dall'Africa Book Centre nel 2002 che ha suscitato reazioni e un dibattito critico non solo in Angola, ma anche all'estero. Perché La generazione dell'utopia  parla anche di noi: ”...tutti noi ad un certo punto eravamo puri e volevamo fare qualcosa di diverso. Pensavamo di creare una società giusta, senza differenze, senza privilegi, senza persecuzioni, una comunità di interessi e di ideali, il paradiso dei cristiani, insomma...anche se per un periodo molto breve siamo stati puri, disinteressati, pensando solo al popolo e lottando per lui. E poi...è cambiato tutto, è andato tutto in malora molto prima di andare al potere...ciascuno ha cominciato a porre le basi per lanciarsi verso quel potere, a difendere posizioni individualiste, egoiste. L'utopia è morta. E oggi puzza, come un corpo in putrefazione. Ne restano solo discorsi vuoti”.
Come in altri testi, Pepetela da' una segmentazione temporale alla storia in quattro capitoli che corrispondono a momenti cruciali della storia angolana dai primi tentativi di lotta alla colonizzazione portoghese nel 1961, agli anni '90 che  hanno visto lo svolgersi di una trentennale guerra civile tra  l'Mpla e l'Unita. Il filo rosso che lega le diverse sequenze e il coro dei personaggi che le popolano è l'intellettuale guerrigliero Anibal, detto il Saggio, che attraversa tutte le esperienze mantenendo una sua pulizia morale di fondo e acquisendo via via una lucida e amara capacità critica di leggere il reale.
Tutto ha inizio nella Casa degli studenti dell'impero, creata dai portoghesi, dove si riuniva  la gioventù proveniente dalle diverse colonie. Il primo capitolo è importante in quanto vengono presentati tutti i personaggi, con le loro caratteristiche, pregi e debolezze, che prendono le mosse comuni dal fatto di essere studenti e impegnati in discussioni sul futuro delle colonie portoghesi. Siamo infatti in quegli anni '60 che vedono l'Africa alle prese con il conseguimento delle indipendenze o delle guerre, come il caso dell'Algeria, per ottenerle. Oltre Anibal, studente e anche soldato dell'esercito portoghese, troviamo Vitor Ramos, non brillante all'università, ma nelle animate conversazioni alla Casa, generoso, spesso con riserva e ai limiti di un opportunismo che in seguito, in patria, si svilupperà pienamente. C'è anche Malongo, bello, divertente, superficiale, adatto più che allo studio alla carriera di calciatore che insegue con accanimento ma scarso impegno dal momento che evita gli allenamenti perché impegnato in seratine concitate a base di donne e alcool. E poi ancora Horacio, perennemente impegnato in discussioni sul rinnovamento della letteratura e Laurindo che reca su di sé il marchio del mulatto:  “quando il mare si infrange sulla roccia, chi ci resta fregato è la cozza. Il mulatto è la cozza.” Ma è con Sara, portoghese bianca angolana, figlia di possidenti danarosi, che si amplifica il problema del colore: i bianchi e i mulatti “collaborazionisti”, sia pure forzati, della colonizzazione che ruolo possono avere nella lotta di liberazione dell'Angola? Il sospetto di possibili tradimenti si insinua negli animi dei neri già dai tempi delle discussioni alla Casa e spiegheranno in parte la scelta di molti angolani per la militanza nell'Upa, poi Unita, intransigente su chi deve essere il vero protagonista delle lotte, al contrario dell' Mpla, più aperto alle alleanze. Sara avrà una figlia da Malongo, ma amerà per tutta la vita Anibal, ricambiata finalmente, quando entrambi ormai sono sulle soglie della maturità. Su tutti incombe l'ombra onnipresente della Pide, la famigerata polizia segreta portoghese.
Tutti torneranno in Angola, peregrinando chi più chi meno, per la Francia, la Germania, l'Olanda, gli Stati Uniti a combattere nella guerriglia o negli ospedali come Sara. Memorabili le splendide pagine dedicate alla guerriglia del gruppo di Anibal e Vitor, scritte molto tempo prima e in contemporanea a “Mayombe”, il romanzo-epopea della lotta di liberazione, in parte autobiografiche, dal momento che l'autore (Pepetela è stato il suo nome in guerriglia) vi ha preso parte. Curiosamente vicine, ma con diverso linguaggio, a quelle di J.Vieira ne “Dei fiumi anziani e guerriglieri” sulla guerra anticoloniale in Angola.
Il terzo capitolo, intitolato “Il polpo”, è il più triste ed intenso: il guerrigliero stanco Anibal, deluso da come si sono evolute le cose, nel paese, con l'emergere di opportunismo, corruzione, tribalismi, lotte per il potere, ingiustizie abbandona ogni ipotesi di carriera, restando fedele alle idee e progetti giovanili che lo avevano spinto alla lotta armata. Si chiude in un autoesilio, fisico e interiore, in una piccola casa trasparente, con grandi vetrate sul mare, dedito alla pesca e alla caccia ad un polipo che lo ossessiona fin da quando era piccolo, una sorta di riedizione di Acab e  Moby Dick, ossessione-simbolo di un male che ha combattuto per tutta la vita. Ma anche qui il disinganno lo coglie; quando finalmente lo prende in una grotta di una azzurra baia, si rivela per quello che è, un piccolo essere che si scioglie sotto i cocenti raggi del sole.
Non dimentica Pepetela la complessa rete in cui furono avvolti molti paesi africani durante la guerra fredda, che vide schierarsi Usa e Urss, con il foraggiamento delle diverse guerriglie, il ruolo di Cuba e del Sudafrica, l'ingerenza di altri stati africani: i fattori esterni sono stati importanti. Ma punta il dito sul dopo il crollo del muro di Berlino, sulla fine delle ideologie e la chiusura dell'Angola in un individualismo sfrenato, teso a fare affari, più o meno puliti con l'occidente, inseguendo il luccichìo insanguinato dei diamanti, facendo emergere non solo la neo-borghesia cresciuta all'ombra del colonialismo, ma anche una piccola borghesia, nata all'ombra della guerriglia e della guerra civile, avida e crudele, senza scrupolo alcuno e che fa leva sui bisogni della povera gente. Infatti il libro si conclude con il riapparire di Elias, giovane studente protestante ai tempi della Casa, tutto studio e moralità, promotore di un Chiesa della Speranza e dell'Allegria di Dominus, fattosi profeta di una delle tante chiese nate in Nigeria e ormai esportate in molte zone dell'Africa, che raccolgono il bisogno di salvezza di un mondo alla deriva spirituale ed economica e fanno soldi, promettendo il paradiso in terra, con la connivenza di politici e mediatori di affari.
Tuttavia non è il libro della disperazione e del disfattismo: a chi ha sperato per tutta la vita, resta una scintilla, una “traccia madreperlacea di lumaca”come diceva E.Montale. Forse la generazione post-ideologica, che si dichiara con insistenza apartitica, come Judite, la figlia di Malongo e il suo fidanzato Orlando, sente che bisogna cambiare, che bisogna sedersi intorno ad un tavolo e tornare a chiedersi il perché delle cose. Forse la generazione dell'utopia non è passata invano.
 

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