Il bevitore di vino di palma di Amos Tutuola - Nigeria (a cura di Rosella Clavari)

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Il bevitore di vino di palma di Amos Tutuola - a cura di Rosella Clavari

Feltrinelli, 1961

Il testo in esame vanta una serie di primati: è la prima opera di questo grande scrittore nigeriano, “la prima opera letteraria scritta in inglese da un negro della Nigeria. Un libro che segna l'inizio della nuova letteratura africana” e anche il romanzo che segna l'inizio della diffusione in Italia della letteratura africanaanglofona.  L'autore lo completò nel 1946 ma uscì solo nel 1952,  in Italia appare per la edizione Bocca nel 1954 e con la Universale Economica Feltrinelli nel 1961 nella traduzione di  Adriana Motta.   Leggerlo a distanza di tanti anni se da un lato reclama  una contestualizzazione contemporanea, dall'altro, come un quadro che si vede bene da lontano, permette di cogliere con la maturità e il senno del poi alcuni aspetti fondamentali della narrativa e della poetica africana e nella sua dirompente dinamicità i numerosi agganci con altre forme d'arte.

 Iniziamo dal titolo originale  (come i titoli dei film di Lina Wertmuller possiede una sua prepotente lunghezza) che tradotto dall'inglese suona così: “ Il bevitore di vino di palma e il suo spillatore di vino di palma scomparso nella città dei morti”. La trama sta tutta nel titolo,  è un viaggio infatti con tutte le sue fasi di iniziazione e superamento di prove alla ricerca di un prezioso collaboratore. Un viaggio che si può dividere in alcune tappe fondamentali: il matrimonio del protagonista (“e fu così che presi moglie”) nella città che è la seconda tappa del suo viaggio, quando l'uomo diventa ricco (“ diventai un uomo ricco” )  anche se sarà un momentaneo benessere recuperato poi  con la conquista di un uovo magico,  una volta tornati dalla Città dei Morti alla città natale; benessere conquistato definitivamente anche per la gente del villaggio, dopo un sacrificio offerto a Cielo (”ma dopo che la pioggia fu caduta regolarmente per tre mesi non ci fu più carestia” ).

Questo è il sunto di un percorso dove più che lo svolgimento e l'obiettivo da raggiungere contano le fantasiose storie che si svolgono e le vicende intricate che vengono dipanate volta per volta dal protagonista e da sua moglie. Le varie fasi del racconto fantastico sono riassunte dal protagonista stesso quando incontra l'agognato spillatore di vino di palma nella Città dei Morti che sembra servire soprattutto a una sorta di sosta ricapitolativa .

 Quando apparve all'orizzonte questo testo molti gridarono allo scandalo, alcuni scrittori africani stessi, allineati con la letteratura inglese classica, si sentirono offesi dalla storia di un ubriacone  che parlava un  inglese sgrammaticato; leggiamo nell'incipit :“sono stato un bevitore di vino di palma da quando ero un bambino di dieci anni. In vita mia non ho mai fatto nessun altro lavoro salvo che bere vino di palma” . Tuttavia non si può liquidare  come un ubriacone un protagonista amante del vino di palma  poiché in tal modo si ignora l'importanza di questa bevanda che costituisce un simbolo di felicità e di ritualità molto importante in diversi paesi dell'Africa. Anche lo scrittore Chinua Achebe, connazionale di Tutuola, ne sottolinea l'importanza nella sua opera Il crollo pubblicata nello stesso periodo di tempo, uno dei più importanti romanzi dell'epoca post-colonialista in Africa.  Achebe fin dalle prime pagine sottolinea l'allegria e la convivialità rappresentata dalla bevanda, simbolo di prosperità, di vita di relazione, di legame con l'invisibile (ricordiamo il rituale di onorare gli antenati versando a terra un po' di vino di palma). Il vino di palma si offre come regalo, nelle feste di nozze, durante “la settimana della pace” e possederne tanti barili dimostra anche la propria ricchezza e prosperità.

E' opportuno fare anche un paragone tra due personaggi: il primo è ne Il crollo di Achebe,  Unoka il padre del protagonista, considerato dal figlio un fallito, un uomo pigro che passava il suo tempo sdraiato a suonare il flauto e a conversare e “se gli capitavano dei soldi tra le mani, e succedeva raramente, comperava subito zucche piene di vino di palma, chiamava a raccolta i vicini e faceva baldoria […...] naturalmente era pieno di debiti” . Il secondo è il protagonista di Tutuola che si definisce sì un grande bevitore di vino di palma ma anche un uomo ricco così come lo era il padre. In lui si conciliano i due aspetti del piacere e del decoro, della prodigalità e dello status sociale.

 A parte questo primo chiarimento  tuttavia constatiamo con qualche difficoltà iniziale  che ci troviamo di fronte a un testo pieno di iterazioni, “strampalate” situazioni e immagini, ossessioni e continue metamorfosi. Probabilmente conviene affidarsi alle parole presenti in prefazione: “la presente versione è stata condotta come una traduzione ritmica”; la traduzione ritmica richiede in un certo senso una lettura ritmica, quasi a modo di rap. Non dimentichiamo che un'altra opera di Tutuola, Il bosco degli spiriti ha ispirato una canzone di Brian Eno e David Byrne intitolata “My life in the bush of ghosts” pregevole esempio di musica elettronica e sperimentale.  A mio avviso possiamo renderci conto della musicalità insita nel testo, quasi incorporata, attraverso una lettura ad alta voce - cosa che ho fatto -  immaginando o usufruendo dei riferimenti  musicali citati oltre alla cosiddetta “palm wine music” ( genere di musica pop nigeriana nata nei piano bar dove si serve questa bevanda).

Allora la prima contestualizzazione credo sia individuabile nella musicalità. Il testo possiede una sinergia musicale e teatrale primigenia.

La struttura è quella di una fiaba, un viaggio nel mondo della realtà e della fantasia che si compenetrano. L'autore  ricorre a miti e leggende del popolo yoruba, etnia cui appartiene Amos Tutuola come i suoi genitori, di religione cristiana e di umili origini.  Per quanto riguarda la lingua, Tutuola scrive questo romanzo (1946) quando la Nigeria non aveva ancora raggiunto la sua indipendenza, cosa che accadrà nel 1961 e lo scrive nell'inglese maccheronico parlato dagli africani di etnia yoruba, un inglese sgrammaticato, il cosiddetto pidgin english  ricco di alliterazioni, di iterazioni, di enfasi. Con l'uso creativo del suo “pidgin english” africano l'autore anticipa molte sperimentazioni  linguistiche successive. 

 Veniamo ad alcune figure prevalenti all'interno di questo linguaggio. 

La metamorfosi per esempio:  la donna che si trasforma in gatta, l'uomo in lucertola, il pezzetto di legno che diventa un ponte e poi ritorna un bastoncino di legno, l'uomo che diventa canoa e trasporta la moglie, la moglie e alcuni oggetti preziosi trasformati in una bambolina tascabile .

Le personificazioni: Morte, Tamburo, Ballo e Canto di cui descrive l'incontro e l'apoteosi.

Le parole composte: “Padre di dei capace di fare tutto in questo mondo”; “La Città del-cielo-da-dove non-si torna”;   L'Isola- Spettro.

Le figure surreali: il bambino nato dal pollice ingrossato, la gente rossa nella città rossa, il bambino ridotto a metà che esce dalle ceneri, il gentiluomo che vende le parti del suo corpo. 

L'ironia: la precisione numerica riguardo il tempo cronologico e il denaro che contrasta con la spiritualità delle stesse situazioni descritte; la morte messa in vendita e la paura in affitto.

La componente animistica è notevole, considerata l'origine yoruba di Tutuola anche se allevato secondo i principi della religione cristiana e basta guardare al contenuto della vicenda narrata: un uomo  va a cercare il suo spillatore di vino di palma nella città dei morti e in tal modo descrive un mondo parallelo alla realtà popolato di magia, fantasmi, creature terribili e mostruose o belle e soprannaturali. Tutto ciò  attraversando uno spazio abitato dai simboli più importanti della natura africana:

il bosco, l'albero, il fiume, il fuoco.  Ogni volta che riprendono il cammino si trovano nel bosco “noi camminavamo da un bosco all'altro giorno e notte, e molte volte viaggiavamo persino da un ramo all'altro degli alberi per giorni e giorni prima di toccare terra, ed erano dieci anni che avevo lasciato la mia città”.  Per quanto riguarda gli alberi, ci troviamo di fronte ad alberi che camminano, a palme parlanti e in particolare a un grande albero bianco che li ospiterà al suo interno dove li accoglierà con amore  Madre-fedele e si apriranno magicamente davanti ai loro occhi grandi sale.   Il fuoco segna la distruzione di una fase per cominciarne un'altra: si dà fuoco alla casa  dove c'è il bambino divoratore di tutto.

Tra l'altro qui i bambini, forse personificazioni di spiriti maligni, sono creature che provocano disordine e scompiglio. Il bambino in questione, probabilmente figura della vita senza regole, viene affidato a Tamburo, Canto, Ballo personificazioni del piacere regolato dall'arte. Successivamente l'uomo e la donna per sfuggire alle creature con un solo occhio si trasformano in fuoco. Nelle città dove abita la malvagità viene dato fuoco alle case, biblico richiamo alla distruzione del male. 

Vi sono anche altri ambienti significativi come il mercato, luogo di incontro ma anche di possibile perdizione, la città, il campo come  zona neutrale tra il bosco e la città, la città dei morti, la montagna.  In opposizione al mondo del bosco la città riveste spesso un aspetto crudele e inospitale  come la città “ dove tutti facevano le cose in modo sbagliato”.  Sulla via del ritorno dalla Città dei Morti c'è una strada non più un bosco.  Ma le disavventure non sono finite ancora perché la coppia ora deve lottare contro un gigante che li mette in un sacco insieme a nove creature terribili e una volta liberatisi si troveranno di fronte alla fame insaziabile di un uomo che verrà da loro sconfitto (altro elemento ricorrente nelle favole quello della fame insaziabile e mostruosa che divora tutto e tutti).

Dopo aver conosciuto le creature di montagna che ballano continuamente, l'ultima trasformazione dell'uomo per sfuggire ai nemici, sarà di divenire un sasso piatto e in questo modo di toccare con un balzo l'altro lato del fiume; da lì alla città natale saranno solo pochi minuti di strada.

Tornata dalla  Città dei morti, la coppia porta con sé un uovo magico donato dall'amico spillatore : “e così tutti i nostri guai, le nostre difficoltà e quel viaggio di molti anni non avevano fruttato che un uovo, ovvero erano finiti in un uovo”;  si poteva chiedere qualsiasi cosa all'uovo e si poteva ottenere ma  l'ingratitudine e l'ingordigia degli amici e vicini di villaggio  comporteranno la sparizione dell'uovo e solo un sacrificio -fatto di due polli, sei cola, una bottiglia di olio di palma e sei cola amari- portato a Cielo da una guardia del re, permetterà la riconciliazione di Suolo e Cielo con la cessazione della siccità e della carestia.

Non mancano momenti di spassoso umorismo nel corso del racconto per esempio quando la bellezza di un uomo suscita gelosia e invidia : “dopo averlo guardato per tante ore, corsi in un angolo del mercato e piansi per qualche minuto perché pensavo che a me non mi avevano creato bello come questo gentiluomo” oppure quando il protagonista invita il lettore a risolvere due casi giudiziari che non ha avuto la possibilità di portare a termine. 

 Un grande scrittore come Chinua Achebe ha difeso l'opera di Tutuola dagli attacchi dei benpensanti rinvenendo in essa anche una critica al consumismo occidentale; infatti nel corso del racconto ci accorgiamo dell'ironia con cui l'autore accosta elementi legati all'invisibile alla concretezza del denaro:  per esempio la propria morte messa in vendita per 70 sterline e la paura affittata per 3 sterline; il gentiluomo completo che restituisce le parti del corpo prese in affitto fino a rimanere solo un teschio è un riflesso dell'alienazione cui porta la perdita della propria identità e di lui dice ironicamente l'autore “se il gentiluomo fosse stato una merce o un animale da vendere l'avrebbero venduto per non meno di 2000 sterline”;  c'è lo schiavo cosiddetto invisibile che la moglie del protagonista definisce “lavoratore meraviglioso ma sarebbe stato un ladro meraviglioso in futuro”;  un animale spaventoso viene poi riconosciuto per un proprietario terriero ( “allora pensai in che modo potevo salvarmi da quell'animale spaventoso. Non sapevo che era il proprietario della terra dove piantavamo le coltivazioni”); verso la fine del romanzo, gli amici che sfruttano il potere magico dell'uovo rappresentano l'ingordigia del potere.

A tale proposito pensiamo qui al periodo storico prima dell'indipendenza  in cui è stato scritto  il romanzo, quando gli inglesi per sostenere il peso delle esportazioni minerarie sostituirono ai raccolti con i quali la popolazione si sfamava prodotti da esportare e cominciarono a profilarsi fenomeni di carestia.      

Se Achebe  difende l'opera del suo collega, Richard Rive fa un'interessante annotazione affermando che “ l'entusiasmo che salutò le prime opere di Tutuola fu dovuto al loro esotismo più che a un reale uso sperimentale del linguaggio, o alla sensazione di una struttura globale ben combinata con il significato”. Oggi alla distanza giusta possiamo dire di avere ampiamente superato questo primo approccio. Abbiamo già evidenziato  come Tutuola si riappropri della lingua inglese,  la lingua dei suoi colonizzatori, adattandola alla libertà espressiva della tradizione orale della sua gente, quella dei cantastorie. Si dice che l'autore  mettesse anche nel parlare quotidiano l'enfasi gioiosa, estrosa e fiabesca presente nei suoi romanzi.

Ecco allora che questa sorta di favola si pone come fonte di gioia per i bimbi e culmine di saggezza per gli anziani: è un po' la duplicità appartenente alla favola a livello universale, ma Tutuola riesce a creare una particolare alchimia combinando l'originalità della lingua, della struttura in una storia fantasiosa che è una critica disincantata della società attorno; inoltre notiamo che nella coppia protagonista, l'uomo è l'essere che agisce, l'elemento dinamico apportatore di cambiamenti, la donna l'elemento statico depositario di una saggezza profetica (“lei parlava in parabole ovvero come un' indovina”)  e il corso degli eventi attraversato dal loro viaggio asseconda una forza centrifuga ( i percorsi dalla città ai boschi) che si alterna con quella  centripeta ( l'uovo: il mondo in una stanza). Secondo il suo particolare estro l'autore allarga o restringe gli elementi in gioco, aggiunge o toglie, dilata o rimpicciolisce. Alla fine del racconto  tutto sembra tornare  alla dimensione dell'individuo ma in realtà si è già proiettati per un nuovo viaggio nel mondo lasciandoci un'immagine di vita di relazione gioiosa:  la gioia della vita, sembra suggerirci l'autore, è espressa nel vino di palma, la vita quaggiù è il riflesso di una beatitudine celeste in cui si beve, si suona, si balla e si canta insieme agli amici.

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