Mamma mia, la civiltà di Driss Chraibi (Marocco) - a cura di Giulia De Martino

Marocco

Driss Chraibi (El Jadida, 1926 - Drome 2007)
La civiltà, madre mia...
editore Francesco Maria Ricci, 1974


Mamma mia, la civiltà
editore Marcos y Marcos, 1998
traduzione di Romano Costa

Il testo La civilisation, ma mère! apparve nelle edizioni Denoel a Parigi nel 1972, un romanzo di autore arabo di espressione francese. Era ancora molto forte il dibattito, tra gli intellettuali arabi, se fosse giusto scrivere nella lingua degli ex-colonizzatori e per di più su temi scabrosi come la sessualità o l'emancipazione femminile. Chraibi aveva già fatto scandalo con il romanzo Passé simple, mai tradotto in italiano, del 1954, in cui aveva rappresentato, con toni violenti e caustici la ribellione di un adolescente al Padre tirannico e ipocrita, dando molto spazio alla sessualità e per di più, alla omossessualità. All'autore era costato la messa all'indice del suo libro e della sua persona, accusato di fare il gioco del Protettorato, ( ricordiamo che fu nel '56 che il Marocco si liberò di questa forma specifica di colonizzazione) perciò odiato e insultato e perfino condannato a morte da un partito politico marocchino.
Ovviamente non fu estranea a ciò la decisione di risiedere in Francia e in Canada; non rimise piede nel suo paese fino a che, nel ’67, il poeta e intellettuale Abdelatif Laabi non lo sdoganò, presentandolo come un precursore di romanzi impegnati sul versante della critica alle strutture colonialiste. Un colonialismo non riesce ad esistere solo con la forza se non c'è qualcosa nell'humus tradizionale di una società che, in qualche modo, lo nutre. Questo terreno è la struttura patriarcale, l'impedimento alla libertà individuale dei suoi giovani e delle donne: proprio il terreno d'indagine di Chraibi.
Oggi il suo romanzo, in Francia e in Marocco, è nei programmi di letteratura francese nei licei e l'autore, morto nel 2007 in Francia,ha il posto che si merita nella storia della letteratura marocchina d'espressione francese. Molto si deve, oltre alla strepitosa e divertente serie dell'Ispettore Alì, a quel piccolo capolavoro che è Mamma mia, la civiltà che abbandona i toni accesi e irosi di Passé simple per distendersi in una scrittura ironica e, a tratti, dichiaratamente comica, in cui il ricorso all'oralità, avviene in tutti i modi possibili. Il linguaggio si presenta con una ricchezza di metafore e paragoni che sconfinano con il virtuosismo, raggiungendo una vis umoristica non comune.
Come si vede dalle indicazioni editoriali, quando apparve nel 1974 in una preziosa edizione di F. Maria Ricci, e dunque due anni dopo la sua comparsa in Francia, con poche tirature, non se ne accorse nessuno. Chraibi è rimasto un autore sconosciuto al pubblico italiano, finché la “Marcos y Marcos” non ha tradotto alcuni romanzi del ciclo delI'Ispettore Alì, perché il poliziesco tira sempre, e ha pensato nel '98 di presentare, finalmente, questo che è considerato il più importante romanzo dell'autore marocchino. In questo testo  Chraibi non è ancora lo scrittore cosmopolita che discute di identità plurima di chi abita altrove ma non ha lasciato da parte le proprie radici, che tesse ponti interculturali e destruttura stereotipi e pregiudizi.
Mamma mia, la civiltà è una semplice e deliziosa storia di una educazione: quella di una donna, sposa e madre di famiglia e dei suoi due figli maschi, alla scoperta del vasto mondo e della possibilità di leggerlo con i propri occhi, uscendo dall'ignoranza e dalla sottomissione acritica a parametri sociali e culturali mai messi in discussione. La storia si svolge quasi tutta dagli anni '30 ai '40 e ha due narratori: la prima parte, intitolata Essere, è vista e narrata dal figlio minore della donna, quello dotato per la letteratura, che partirà per primo per andare a completare gli studi di medicina in Francia e che , forse, non tornerà mai più, proprio come l'autore. La seconda, dal titolo Avere, consta di una lettera che Nagib, il figlio maggiore che abbandona gli studi e veglia sulla madre, invia al fratello per metterlo al corrente degli sviluppi della trasformazione della madre.
Molti hanno voluto vedere nel romanzo tracce di autobiografia e, in effetti, ci sono dei punti di contatto tra i ritratti del padre e della madre disegnati nel romanzo e le figure genitoriali di Driss Chraibi: il padre di Driss era un membro della solida borghesia delle professioni, un ingegnere, modernista e aperto alla tecnologia, purché non ci fossero cambiamenti sostanziali nelle gerarchie sociali, pronto ad accogliere oggetti nuovi, ma non le idee, come dirà nel romanzo il piccolo narratore. La madre, proveniente da una nobile e impoverita famiglia di Fez, era analfabeta come, allora, la maggioranza delle donne in Marocco.  Queste consonanze sono comuni a migliaia di famiglie all'epoca e quindi l'esperienza dell'autore sicuramente sostanzia di verità la vicenda immaginata.
 Dunque, abbiamo una madre, tenera quanto ignorante, energica e innamorata della vita, che si occupa dell'andamento della casa e dell'educazione dei figli, senza mai stancarsi e senza mai farsi domande: come può farsele una donna che, sposa a 13 anni con un emerito sconosciuto, non è mai uscita di casa e il cui orizzonte coincide con quello della terrazza e del cortile interno? Abbiamo un padre, tutto dedito agli affari e a fare soldi, sicuro di una vita sempre identica, sbrogliata negli aspetti domestici da una donna, cui dedica meno attenzione e cure affettive del suo cavallo, che sella ogni domenica per una memorabile passeggiata nella fattoria di campagna.
Saranno i figli, che vanno alla scuola dei francesi, come tutti i maschi delle famiglie dei notabili, a smuovere la vicenda: non possono vedere la madre in questa condizione di cecità e cominciano a guidarla in un cammino di conoscenza, per staccarla, con dolcezza, da certe tradizioni. La signora taglia personalmente, con forbici giapponesi pesantissime, la lana del montone e la scena dell'animale recalcitrante che balla la sua danza disperata in cucina, tra le risate dei  figli, è tra le più comiche del testo. Fila, tesse, taglia e cuce i vestiti per la famiglia e per sé, informi e tuttavia fantasiosi. Una delle diavolerie moderne che accetta di usare è una Singer, con cui ingaggia furibonde battaglie su chi deve comandare. In casa entrano, con il tempo, luce elettrica, radio, cucina economica, ferro da stiro elettrico, telefono: la mente della donna non riesce a capire concetti di fisica astratta, dato che concepisce solo ciò che è in relazione ai cinque sensi e ricorre a magie e superstizioni per afferrarne il funzionamento. In un primo momento i figli non le chiedono di più e lei resta convinta che dentro la radio o il telefono ci siano degli ometti magici che operano il miracolo...
Finché i figli non decidono di spalancarle il mondo reale: di nascosto dal padre, le comprano vestiti e scarpe moderni e la conducono oltre la soglia di casa. E' un vero e proprio choc per la donna che comincia a mettere in discussione tutto ciò in cui aveva creduto fino ad allora. Il tocco finale è rappresentato dalla sua prima andata al cinema e dal suo approccio alla scrittura e lettura, perfino alla fisiologia del corpo femminile, di cui ignorava tutto.
E' tenera l'immagine della madre, in preda alla disperazione per il suo rassicurante mondo scomparso, cullata di notte dal suo figlio più piccolo. La tempesta si abbatte sulla famiglia: niente resiste alla furia iconoclasta della donna, un fiume in piena che è ormai impossibile arginare. Perfino la letteratura, con le sue bugie e illusioni, non è risparmiata di fronte alla sua ansia di verità. Ma che vuole Tolstoi che scrive delle cose bellissime sull’amore coniugale e nella vita privata era praticamente un despota? Cosa vogliono i poeti arabi, sempre a sospirare d’amore e passione di cui, nella vita reale, non c’è traccia?
Il marito, dapprima è annichilito, poi, come curioso di vedere gli effetti di un esperimento scientifico, l'asseconda. Non può non cominciare a farsi anche lui alcune domande sulla società, sui giovani e sulle donne. Perché gli arabi hanno perso quello splendore e quel primato che li aveva contraddistinti in passato?  ”Alla base di tutte le società c'è la comunità. E il nocciolo della comunità è la famiglia. Se nel seno di questa famiglia la donna è prigioniera, e in più velata, sequestrata, come l'abbiamo tenuta noi per secoli, se lei non ha nessuna apertura al mondo esterno, nessun ruolo attivo, la società nel suo insieme fatalmente ne risente, si rinchiude in se stessa, non ha più niente di nuovo da apportare né a se stessa né al resto del mondo.” Per l'autore è possibile che si profili un uomo ‘nuovo’ anche nella terra delle tradizioni.
Quando il Marocco diventa uno degli scacchieri strategici della seconda guerra mondiale, la donna scende in piazza, non lotta solo per le donne, ma per quei popoli oppressi e colonizzati, intuendo il legame tra le due cose.
Memorabile la vera e propria scena di teatro che si svolge tra lei e un soldato marocchino, nel tentativo di incontrare De Gaulle,  che il militare storpia in Tougoul, cui deve spiegare cosa si attendono le masse dei colonizzati, alla fine di una guerra totale che ha disumanizzato l’umanità intera.
Alla fine la donna partirà per la Francia, con il figlio maggiore, per raggiungere l’altro figlio che per primo aveva intuito tutto questo. Sa che la strada è ancora lunga e il mondo, con tutte le sue diversità, l'attende al varco per un confronto difficile, ma possibile.
Questo è il senso del libro: non si può accettare l'occidente solo come fornitore di oggetti che alleviano o abbelliscono la fatica quotidiana. Dietro quegli oggetti ci sono dei principi, delle idee, una cultura con cui non si può fare a meno di entrare in contatto, confrontarsi, discutere, litigare se occorre, criticare fortemente, quando pretende di essere l'ultima e unica verità sulla terra.
Come si vede una variante molto originale e divertente di un tema, l’incontro-scontro con l’occidente, comune a tanti romanzi tra gli anni ’50-70.

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