Abdulrazak Gurnah - Cuore di ghiaia - recensione a cura di Giulia De Martino

 

Abdulrazak Gurnah

Cuore di ghiaia

La nave di Teseo,2023

Traduzione di Alberto Cristofori

 

 

Questo testo, scritto nel 2017, ma recentemente tradotto per la Nave di Teseo nel 2023, presenta qualche somiglianza con Il disertore, scritto nel 2005, perché sono entrambi centrati sulla vita di protagonisti studenti zanzibarini in Inghilterra che cercano per via epistolare di comunicare alla famiglia, restata in patria, le traversie della loro vita, le novità e le nostalgie, le umiliazioni e le soddisfazioni. In tutti e due i romanzi sono descritti lo sfondo politico-sociale e culturale dell’isola e gli eventi successivi all’indipendenza, con tutto il carico di illusioni e disillusioni che hanno comportato e anche costretto lo stesso autore a chiedere asilo politico in Gran Bretagna. In verità, in Cuore di ghiaia, si fatica a capire, all’inizio, in che paese si svolga la storia e in quali anni, ma indicazioni e riflessioni nel testo in seguito lo fanno comprendere.

In questo testo mancano le note avventurose e romanzesche dell’altro: qui domina uno stile narrativo più asciutto e severo, senza compiacimenti, da raggiungere quasi una grigia monotonia. Ciò rende però ancora più credibile l’indagine di Gurnah sulle vite, i sentimenti, i sogni e le ambizioni, i fallimenti di stranieri esuli o immigrati che siano e da ovunque vengano, in una sorta di docufilm.

Il romanzo si divide in tre parti. Nella prima l’autore presenta il protagonista Selim bambino e adolescente nella terra natale: la famiglia del padre Masud, Baba nel testo, e della madre Saida, le vicissitudini politiche del genitore di quest’ultima, ucciso dalla rivoluzione che seguì l’indipendenza dagli inglesi perché attivista in un partito contrario a quello di governo, la mite fermezza del nonno paterno, molto religioso e assiduo studioso del Corano, costretto ad andarsene a Dubai, e , in seguito, a Kuala Lampur, perché la religione non era nei programmi di ammodernamento del governo socialista.

Selim cresce con un problema grande: di punto in bianco, quando lui è ancora piccolo, suo padre non abita più con la famiglia, senza che nessuno gli dia una spiegazione plausibile. Pensa subito che Baba non gli abbia voluto così tanto bene da restare, ma lo strano è che sua madre porta al padre ogni giorno la biancheria pulita e un cesto di cibo, in una stanzetta annessa ad un negozio. Più grandicello, questa incombenza toccherà a lui, mentre cresce nel suo animo una pessima opinione nei confronti del padre: lo considera debole, umiliato, vile ed impotente. Una mezza verità ad un certo punto salta fuori: c’è di mezzo un altro uomo, Hakim, da cui la madre avrà una figlia… Da parte di Selim tutto l’affetto e l’ammirazione si riversano su Amir, il brillante ed estroverso fratello della mamma che va ad abitare con loro.

Sarà proprio questo zio, carrierista e ambizioso, a richiamarlo presso di sé a Londra, dove nel frattempo ha cominciato a lavorare nel corpo diplomatico, per farlo studiare. Dopo il burrascoso periodo attraversato dal ragazzo, in preda a grandi furori per la gravidanza della madre, per un oscuro indicibile segreto che lei sembra serbare nel profondo del cuore, si apre per lui una nuova vita. Sarà capace di essere all’altezza delle aspettative dello zio e della madre?

La seconda parte, la più corposa, è quella che vede il ragazzo crescere e farsi giovane uomo a Londra, dapprima nella ricca villa dello zio Amir e della sua famiglia e poi ramingo di casa in casa, alla ricerca di un posto tutto per sé. La convivenza con lo zio non ha funzionato perché le aspettative di Amir erano per una facoltà universitaria che lo mettesse in grado di lavorare subito con persone importanti e danarose: economia e commercio. Ma Selim osa sottrarsi per seguire la sua passione: la letteratura. Questo comporta cercarsi continuamente un lavoro per mantenersi, trovarsi una camera da condividere con altri stranieri immigrati, perlopiù lavoratori, in quella south-east London che si sta riempiendo di africani, indiani, caraibici con cui il giovane si confronta, senza mai scontrarsi, perché ritiene di aver preso dal padre una scarsa combattività. I rapporti sono esteriori e camerateschi, ma nessuno si mette a nudo di fronte agli altri, mai si parla veramente. Anche nel rapporto con le donne Selim tende a subire e a non imporre la voglia di una storia seria e impegnata come vorrebbe, accontentandosi di tante brevi relazioni che lo lasciano con l’amaro in bocca. Si innamorerà più volte per davvero, ma non lotterà perché le ragazze rimangano con lui.

Il problema è che sente la sua cultura sfuggirgli di mano, ma non si sente adeguato per accettare in toto la nuova. Più passa il tempo più capisce quali siano state le gravi conseguenze della colonizzazione britannica e come ancora gli inglesi si sentano ancora il meglio sulla faccia della terra.” I britannici non hanno mai lasciato in pace nessuno e hanno spremuto da tutti le cose buone che avevano per portarsele a casa loro, e adesso una massa di pezzenti negri e turchi sono arrivati per partecipare al banchetto”. A sua madre mente, nelle poche lettere che invia nel corso degli anni, senza mai tornare a casa. La verità emerge solo in lettere mai spedite e accumulate in un cassetto, in un taccuino nero su cui annota riflessioni e sentimenti che non osa confessare. Pure le telefonate sono rare, anche con sua sorella, la figlia dell’amante della madre, con cui ormai Saida è sposata. Nella sua mente continua il rovello che lo assilla dall’infanzia: perché la madre è sfuggente nel raccontare come mai si trova con un altro uomo? Perché lo zio Amir continua ad aiutarlo, sia pure a distanza, come se avesse qualcosa da farsi perdonare?

I rapporti mai chiariti precipitano: la madre muore e lui non riesce ad arrivare nemmeno al funerale; il padre, che era andato a vivere con il vecchio genitore all’estero, torna e Selim, finalmente rientrato in patria, lo perseguita pazientemente ma con fermezza per farsi raccontare tutta la storia della madre e del suo potente e ricco amante.

La terza parte, infatti, è costituita dalle tre notti lunghissime, in cui il padre svela finalmente il segreto vergognoso al figlio. E qui Gurnah ha un colpo di genio: ricorre alla commedia shakespeariana Misura per misura per parafrasare ciò che è successo: una sporca faccenda di sesso e potere da parte di un riccastro al governo nei confronti della madre che cerca di salvare dalla prigione e forse da una condanna a morte il fratello Amir, come la protagonista dell’opera di Shakespeare. Prestazioni sessuali in cambio di un qualche beneficio sono comparsi con la storia dell’uomo e non sono ancora cessati…

Un provvidenziale viaggio con il padre a Kuala Lampur cambierà la visione del figlio: lui non si accorda con la religiosità del padre, ma ha occasione di vedere quanto bene ha fatto con la creazione di un orfanotrofio. Capisce che non è soltanto la fede in Dio o un assurdo repertorio di rituali che ha guidato Masud, quanto la fiducia negli uomini, quella che lui ha perso negli anni di vita vissuta in Inghilterra. Ha voluto bene a mister Mgeni, un lavoratore del Kenya che lo ha aiutato, a Londra, per i documenti e presso il quale ha abitato per un certo tempo, ma per Selim era l’emblema dello straniero che aveva ceduto, per acquiescenza, ai britannici e si era trasformato in uno schiavo docile del sistema. Ma alla fine anche Selim avrebbe ceduto, pur nelle privazioni, alla rassicurante presenza del già noto, dei volti e paesaggi familiari di sempre, se avesse scelto di restare in patria. Nelle orecchie risuonava la frase di Hakim, quando gli diceva di restare: ”Ci sarà qualcosa per te, se decidi di restare. Te lo garantisco”. Quasi una minaccia. La visione di sé stesso inserito in un sistema di potere, appartenere ad una corrotta classe dirigente che aveva fatto soldi, alleandosi con delinquenti per trasformare Zanzibar in un parco giochi per occidentali in vena di esotismi lo disturbava e inquietava. Aveva ancora qualcosa per cui lottare: trovare il suo posto al mondo a modo suo. Comunque un fondo di forte pessimismo impregna il finale: “Avrei dovuto restare. A cosa serviva uno come me per questa Inghilterra? Ma in fondo a cosa serviva uno come mio padre in qualunque posto? C’è chi serve a qualcosa, nel mondo, se non altro a ingrandire una folla a dire sììì, e c’è chi non serve a niente.”

Nei romanzi successivi la scrittura di Gurnah diventerà definitivamente un osservatorio approfondito per spiegare al mondo la condizione di chi vive nel mezzo delle culture, l’epopea di chi parte, carico di speranze, senza sapere cosa troverà fuori del proprio paese, le contraddizioni di chi non ha fatto pace con il colonialismo britannico o qualsiasi colonialismo e tuttavia ne ama e ne insegna la letteratura. La forza della letteratura è una possibilità di capirsi, un amo lanciato contro tutti i razzismi ed imperialismi del mondo.

 

 

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