Antonio Dikele Distefano- Non ho mai avuto la mia età - a cura di Giulia De Martino

 

 

 

 

 

 

Antonio Dikele Distefano

 Non ho mai avuto la mia età

 Oscar Mondadori 2019

 

Sotto l’impulso della serie Netflix “Zero”, recentemente andata in programmazione, ispirata al romanzo “Non ho mai avuto la mia età”,costruita con un cast quasi esclusivamente ‘black’,  presentiamo questo romanzo in realtà uscito nel 2018 e passato poi agli Oscar Mondadori.

L’autore  è anche co-sceneggiatore della mini serie, aumentando le multiformi attività in cui si è esibito, oltre a quelle musicali di cantante, di promoter di  rapper sulla rivista You Tube Esse magazine, di intrattenitore su Facebook e Instagram, con migliaia di followers,  autore oramai di ben 5 romanzi, scritti a partire dai 26 anni. Creativo e imprenditore sono due parole che, volendo dare una definizione del personaggio, racchiudono le aspirazioni e le ambizioni di questo giovane scrittore ventottenne, deciso a sfondare ad ogni costo.

Nato a Busto Arsizio da genitori angolani ( i due cognomi sono uno della madre e l’altro del padre)  e vissuto in gran parte a Ravenna, prima del trasferimento a Milano, accumula ben presto tutta una serie di esperienze negative dovute alla condizione di vivere in una modestissima famiglia di migranti, alla separazione dei genitori, al suo status di italiano senza cittadinanza, di nero in eterna lotta contro i pregiudizi e il razzismo; anche di delusione nei confronti di un’Italia che continua a chiedergli quanto si sente italiano, quanto africano, da dove viene e dove dovrebbe tornare, secondo il parere di alcuni, senza considerare che in Angola non ci ha mai messo piede. Ha dovuto sempre dimostrare agli altri qualcosa, senza mai essere il ragazzo che avrebbe dovuto o potuto essere: certamente qualcosa della sua biografia si risente nel personaggio di Zero.

Si capisce perciò la sua carica di energia impiegata nel voler conquistare il suo posto nel mondo, anche con una certa furbizia ed arroganza. A chi lo definisce il Fabio Volo dei neri o il Balotelli della letteratura risponde che vuole solo essere uno scrittore e chiede di essere giudicato per come scrive.

In questo romanzo dimostra una buona stoffa narrativa, una capacità comunicativa che sa districarsi in un linguaggio denso ed adeguato a raggiungere soprattutto un target giovanile, abituato alla brevità e alle frasi ad effetto, tipiche dei social.  E’ infatti su questi mezzi espressivi che si è fatto le ossa, è lì che ha osato lanciare il suo primo romanzo autoprodotto, ottenendo un successo clamoroso, tale da destare l’attenzione di un colosso editoriale come la Mondadori, che ha pubblicato poi tutti i suoi testi.

I suoi lettori sono in maggioranza ragazzi di origine straniera di seconda e terza generazione, ma anche giovani italiani che si riconoscono in questi adolescenti e giovani da lui narrati e nel linguaggio usato per descriverli. Parliamo di ragazzi che non hanno mai letto un libro ma che hanno comprato i suoi, determinandone il successo.

Non abbiamo letto gli altri romanzi ; qui imposta una narrazione che segue il protagonista dai 7 ai quasi 18 anni in brevissimi capitoli in cui si dipana la vita di questo ragazzino ‘invisibile’ a se stesso, ai famigliari, agli amici, alla società in genere, uno Zero insomma, come lo chiamano gli amici di quartiere. La povertà e la separazione dei genitori sono determinanti per il suo senso di solitudine, di sottostima delle proprie capacità, di un approccio alla vita privo di mordente: non sceglie mai, non ha obiettivi, se non vaghi e confusi, in un certo senso accetta il suo essere vittima degli altri. Non solo dei bianchi, ma anche dei suoi amici Claud, Inno, Sharif, o delle ragazze Pau e Anna con cui si relaziona: non prende mai delle vere decisioni, in questo anche non assumendosi mai delle autentiche responsabilità. Vuole bene veramente solo a sua sorella, ma non sempre è disposto ad ascoltarla e a percepirla nei suoi desideri ed emozioni. Scopre l’omosessualità del padre, ma non riesce ad entrare in contatto con lui, mostrandogli un forte risentimento per aver aggiunto un’altra diversità oltre a quella, già pesante per lui, di essere neri.

Anche la sua fine tragica avverrà all’insegna del caso fortuito, per essersi lasciato coinvolgere. Ha inseguito il sogno dei soldi facili e subito, cedendo alle richieste dell’amico bengalese Sharif; del resto già la gente del posto guardava i neri come se fossero delinquenti, tanto valeva esserlo davvero e trarne qualche vantaggio per migliorare il livello della propria vita.

E per la polizia è bastato che lui, un nero, fosse vicino ad un fattaccio di quartiere, a cui era estraneo,  per giudicarlo colpevole e massacrarlo di botte.

Le pagine più convincenti sono proprio quelle che descrivono il quartiere in cui vive il ragazzo, un brutto e affollato quartiere popolare di periferia, dove, nelle famiglie degli stranieri, spesso manca la figura maschile o i genitori sono talmente concentrati per sopravvivere e sbarcare il lunario da non potersi dedicare ai figli. Nonostante si senta in qualche modo inadeguato, con i tre amici Inno, Claud e Sharif divide tutto: le estati passate senza villeggiatura, le biciclettate al caldo e alla polvere o sotto la pioggia e al gelo, le interminabili partite di pallone di giorno e di notte, le sigarette e le canne, le prime esperienze sessuali.

Un momento molto emozionante è quello del suo dodicesimo compleanno: gli amici lo portano in quello che diventerà il loro posto segreto. Si trattava della cupola di vetro illuminata sul tetto del centro commerciale del quartiere, a cui si accedeva un po’ pericolosamente: complice una splendida notte di luna gridano al cielo i loro desideri, pronunciando quasi come una formula magica “voglio, voglio, voglio”. Novelli moschettieri pensano di spalleggiarsi per sempre nelle traversie che incontreranno nella vita, generando un senso di solidarietà e di affetto, destinato però a sgretolarsi ben presto. Chi si allontana dall’Italia deludente, chi insegue testardamente la strada del calcio, chi passa alla piccola delinquenza.

Nonostante la forte e dura critica alla società italiana, alle famiglie africane, che spesso si consolano con la religione di fronte ai soprusi e alle fatiche, ai pregiudizi reciproci tra diverse comunità straniere, in questo testo non c’è né rabbia né autocommiserazione: c’è certamente desiderio di cambiare le cose, c’è tanta voglia di futuro. Mario Balotelli non ha capito che è forte a livello mediatico non solo perché è un bravo giocatore ma perché è un esempio per l’Italia che cambia. Ecco cosa vuol dire Dikele  tramite il suo successo, che “ il futuro ha anche la mia faccia”.

Anche queste generazioni hanno bisogno di miti per crescere.

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