Akwaeke Emezi - La morte di Vivek - a cura di Giulia De Martino

 

 

 

 

 

 Akwaeke Emezi

 La morte di Vivek

 

 il Saggiatore, 2021

 

Abbiamo già conosciuto questa autrice, con la presentazione di “Acquadolce”, sempre edita dalla stesso editore. Questo testo continua la tematica della esplorazione del proprio io, della  identità plurima dal punto di vista etnico, essendo l’adolescente protagonista, come l’autrice, per metà nigeriana igbo da parte di padre e per metà indiana tamil. E ancora la scoperta via via di una identità sessuale non definibile e in continuo processo, di cui il lettore apprende i mutamenti a poco a poco.

La narrazione ha inizio con la morte di Vivek, scoperta dalla madre aprendo la porta di casa e scorgendo il cadavere di suo figlio, avvolto in una specie di sudario di seta: nota subito un particolare che la ossessionerà in modo persecutorio nella sua disperata ricerca della verità di ciò che è successo al giovane: perché manca al collo il ciondolo d’argento raffigurante il dio Ganesh, un amuleto da cui il figlio non si separava mai?e come è morto Vivek? e chi lo ha portato davanti alla sua casa?

Il lettore, per capire, a volte si deve affidare al narratore Osita, cugino di Vivek, che ci parla, attraverso foto della famiglia dei fratelli , loro rispettivi padri, della nonna Ahunna, morta lo stesso giorno della nascita di Vivek, della loro infanzia e adolescenza, in cui hanno condiviso molte cose.  A volte compare come narratore lo stesso Vivek che parla con la serenità e la distanza degli spiriti ormai appartenenti ad un altro mondo. In alcuni capitoli è presente un narratore onnisciente non identificabile, da cui apprendiamo certi squarci della vita del piccoli centri di Ngwa e Owerri, della società di mutuo soccorso delle Nigerwives, ossia delle mogli straniere sposate a nigeriani, che aiutano donne,  asiatiche perlopiù, ad integrarsi nella società locale. Il tutto sullo sfondo della fine della dittatura di Abacha e degli scontri successivi alla sua morte. Anzi sono i tafferugli in un mercato che hanno a che fare con la misteriosa morte di Vivek, di cui non diciamo nulla per rispettare quell’atmosfera thrilling che acquisisce il romanzo, voluta da Emezi, che incatena l’attenzione dei lettori.

Ma il thriller è solo un mezzo: il testo è avvolto da un manto di spiritualità misteriosa molto accesa, che si rivela nelle ossessioni religiose delle due madri di Vivek e Osita: l’una cattolica, incline ad un cristianesimo formale coincidente con il perbenismo, l’altra metodista, con la fissazione di certi evangelici di estirpare i demoni dai corpi anche in modo violento, ma soprattutto nelle riflessioni del morto Vivek.  Quella sua nascita sul limitare della morte della nonna Ahunna, la comparsa su un suo piede del disegno di una cicatrice uguale a quella della madre di suo padre, la mancata designazione di un nome igbo femminile per lui, allo scopo di onorare il ritorno di Ahunna nella loro casa , le vie imperscrutabili per cui si compiono i destini degli uomini: sono segni che solo lui vede. Simboli di un sincretismo cristiano-igbo di molti nigeriani che credono nella reincarnazioni. Ma tutto viene espresso in un modo quasi ineffabile .

La vita del giovane diviene a poco a poco un inferno: una lotta tra la mente e il corpo che lo conducono ad un blackout, di cui si accorge solo l’amato cugino Osita, che però non dice nulla agli zii, pensando ad una crisi prima o poi risolvibile. E’ solo quando tutto ciò inficia il suo andamento scolastico e una vita da adolescente ‘normale’ che i suoi genitori si accorgono della faccenda e cominciano a ‘vederlo’ nelle sue difficoltà, ai loro occhi incomprensibili. Certo osservarlo uscire con lunghi capelli  e tuniche fluttuanti li spaventa, soprattutto pensando a quello che potrebbero pensare vicini e compaesani. La madre, per un periodo, si nasconde le difficoltà del figlio per non dover affrontare una realtà troppo oscura per la sua mente. E’ contenta che Vivek passi molto tempo con le sue amiche d’infanzia.

Il brevissimo capitolo 4 si esprime così:” Non sono ciò che tutti pensano che sia. Non è mai stato  così. Non avevo la bocca per tradurlo in parole, per dire ciò che non andava, per cambiare le cose che sentivo di dover cambiare. E ogni giorno era difficile, andare in giro e sapere che le persone mi vedevano in un modo, sapere che si sbagliavano in tutto e per tutto, che per loro il mio vero io era invisibile. Per loro non esisteva neanche. Quindi: se nessuno ti vede, tu ci sei ancora?”

Non è solo la difficoltà di capire la propria identità sessuale. Molti adolescenti potrebbero sottoscrivere queste parole: esse indicano la difficoltà di crescere e di essere accettati per quello che si è e non per quello che gli altri vorrebbero che fossimo.

Se poi si aggiunge un ambiente ostile culturalmente all’omosessualità, un tradizionale scontro generazionale presente sotto ogni latitudine, il rifugio nel gruppo dei pari ( qui però solo femminile) che ti accoglie e capisce, ecco che si delinea la storia di un processo di individuazione umana che va al di là delle difficoltà di “gender” che incontra Vivek. Oltretutto la sua sessualità viene rappresentata in un passaggio continuo di stati ed esperienze.

Questo sguardo alle difficoltà adolescenziali si rivela anche nelle storie di Osita e delle amiche presso le quali prende praticamente a vivere Vivek, abbandonando la desolazione della sua casa, immersa nella disperazione. Le amiche, accettandolo,  offrono al giovane la possibilità di pensare un futuro possibile. Nell’accettazione di lui chiariscono meglio le difficoltà in cui anche loro si dibattono. Ma gli eventi precipitano e niente va come vorrebbero i protagonisti: di nuovo un altro espediente di foto mette in mostra la rete di protezione intessuta dalle ragazze solidali nei confronti anche della madre che - loro ne sono sicure - non potrà mai accettare la verità sul figlio. Alcune foto non le verranno mostrate, proprio quelle volute da Vivek per testimoniare ciò che effettivamente era.

Un testo tenero, ma a tratti quasi brutale nella rappresentazione degli istinti sessuali e degli sforzi compiuti da genitori e zii per sottrarsi ad una situazione generatrice di angoscia. Il linguaggio però è sempre stranamente composto, anche nelle parti più scabrose.

Il Vivek che si dibatte non tra una identità presunta falsa e una identità nascosta autentica, ma in un divenire costante di mutamenti ci fa venire grossi dubbi sulle varie categorizzazioni in cui, noi occidentali, abbiamo racchiuso il problema. La chiave un po’ soprannaturale in cui l’autrice risolve la storia sembra dare un altro genere di risposte...

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