Djaili Amadou Amal - Le impazienti - a cura di Giulia De Martino

 

 

 

 

 Djaili Amadou Amal

 Le impazienti

 Solferino edizioni, 2021

 traduzione di Giovanni Zucca

 

Nel 2006 apparivano in Italia il romanzo “ Niketche” della mozambicana Paulina Chiziane ( ed. Nuova Frontiera) e“La ventottesima moglie” della senegalese Ken Bugul ( Dalai editore); nel 2013 “Amica mia” della senegalese Mariama Ba. In comune presentavano la tematica dei pregi e difetti della poligamia, con un occhio alla tradizione e un occhio ad una critica di questo regime matrimoniale, ancora molto diffuso in tutta l’Africa. In questo contesto il  romanzo “Le impazienti” ha un profilo completamente diverso: è un vero e proprio pamphlet politico contro la poligamia, non in forma di razionale libello polemico, bensì di avvincente storia di tre donne, che rispecchiano anche dolorose vicende autobiografiche della scrittrice.

E’ l’autrice stessa che, in numerose interviste - concesse in seguito alla vittoria conseguita con il primo premio del “Goncourt des Licéens”2020-  precisa alcune circostanze della sua vita: dal matrimonio forzato a 17 anni con un marito violento a quello combinato con un uomo ricco per interesse della famiglia, dall’ostracismo dimostrato dal suo parentado in occasione delle sue scelte divergenti dalle loro, alla ostinazione per il raggiungimento di una istruzione adeguata e di una libertà personale altrove.

La fuga, in mancanza di leggi che tutelino i diritti delle donne, è l’unica possibilità di sottrarsi ad un sistema patriarcale, rinforzato da dettami religiosi interpretati in modo rigidamente rigorista. Per l’autrice questo discorso riguarda sia l’islam che il cristianesimo o qualsiasi altra religione che dia una veste interpretativa religiosa al patriarcato. A Yaoundé la Amal fonda un’associazione, “Femmes du Sahel”che si prodiga in favore dell’istruzione femminile e dei diritti delle donne.

La scrittrice proviene da una agiata famiglia fulani (o peul, come si dice nei paesi francofoni) del nord del Camerun, incuneato tra il problematico nordest nigeriano, in mano ai Bokoharam, e il Ciad e il Niger, interessati dalle crociate jihadiste. I Fulani, un tempo totalmente nomadi o seminomadi, in eterna lotta con gli agricoltori sedentari di diverse etnie insediatisi in città, praticano con successo il commercio: in questo ambiente ricco e supertradizionalista si svolge la storia delle tre donne, due adolescenti e una trentacinquenne, che il destino unisce ma poi separa per gli esiti differenti dei loro percorsi.

Ma veniamo al titolo “Le impazienti”: non lo si comprenderebbe bene se non ne leggessimo quello originario del testo edito in Camerun “Munyal ou les larmes de la patience”. Munyal è la parola chiave che si sentono ripetere tutte le bambine e le donne, perno educativo anche per i maschi peraltro: significa quella pazienza-sottomissione al destino segnato da Allah, rappresentato sulla terra dai maschi della famiglia. Una donna non sottostà solo al volere del padre prima e del marito poi, ma anche a quello degli zii, una sorta di genitori-vicari, detentori anch’essi di diritti sulle donne del gruppo. Le lacrime della pazienza mostrano dunque, nel romanzo, quanto costa questa sottomissione. Accettare senza lamentarsi imposizioni, veri e propri stupri da parte dei mariti, botte e umiliazioni, celare la sofferenza in nome della pretesa armonia del clan, dell’equilibrio sociale tra gruppi parentali e non. Non solo: l’accettazione senza alcuna recriminazione segnala la misura della virtù femminile e la considerazione della donna presso il clan, dominato da concetti di onore e dignità, cui nessuno può contravvenire.

Il romanzo è narrato, di volta in volta, in prima persona dalle tre protagoniste: le due cugine adolescenti Ramla e Hindou e la daada-saaré Safira (cioè la prima moglie dell’uomo più ricco e influente politicamente della città di Maroua) che si vede arrivare a casa la giovanissima co-sposa Ramla, dopo tanti anni in cui è stata lei l’unica consorte.

Attraverso le descrizioni dei rituali matrimoniali apprendiamo tutte le “raccomandazioni” dei padri, delle madri, degli zii e zie, nonché delle cugine già sposate: come un mantra vengono ripetuti i concetti principali che sottostanno al “munyal”, con tanto di citazioni dal Corano.

Anche le donne più anziane si rendono responsabili di una strenua difesa di tali tradizioni; ci sono già passate e ora tocca alle più giovani: non c’è altro universo possibile al di fuori del destino disegnato da Allah, attraverso i maschi. Il ripudio o il divorzio sono sempre all’orizzonte e le conseguenze ricadono sui loro figli che perderanno e resteranno nella casa del marito, allevati dalle altre mogli. Anche le madri delle spose riottose rischiano di essere allontanate dai consorti con l’accusa di non aver saputo educare le figlie. Ormai invecchiate, rispedite nel clan famigliare, subiranno altri torti, dato che scatteranno i sospetti o le accuse di non aver saputo mantenersi il marito, macchiando l’onore della famiglia: la colpa ricadrà sempre sulle donne.

Ramla, innamorata ricambiata di un suo cugino coetaneo, guarda con invidia alla sorte di Hindou, per la quale è stato scelto un bel giovane di 22 anni, mentre a lei tocca un vecchio. Il destino di Hindou, in realtà, sarà terribile: il giovane è un debosciato, dedito a droghe, alcol e sesso sfrenato che la violenterà , picchierà e tradirà numerose volte. In un certo senso è un debole che non sa e non può sottrarsi alla tirannia paterna. Le reazioni di iniziale ribellione di Hindou diventeranno sempre più flebili fino a sprofondare in una ‘quieta’ pazzia.

Safira, sposata quasi bambina al potente marito che sceglierà Ramla come seconda moglie, non accetterà mai la co-sposa, arrivando a perseguitarla e a cercare di ucciderla, incarnando una figura di megera, tutta volta a difendere non tanto il suo amore per il marito, ma la posizione di potere tenuta per circa trent’anni per sé e per i suoi figli.

Ramla, la più istruita e ribelle delle tre, impedita a proseguire l’arricchimento della sua cultura, sarà l’unica a fuggire con un progetto in testa: continuare gli studi e fare di se stessa una persona libera. Su di lei ci sono le proiezioni autobiografiche più evidenti dell’autrice.

Il libro è avvincente nella trama non perché il lettore vuole sapere come andrà a finire, ma perché attraverso di essa si disvela un universo concentrazionario, pieno di odi, risentimenti, invidie, gelosie e intrighi, lontano assai dalla descrizione idilliaca del romanzo di Ken Bugul “La ventottesima moglie”...

Siamo certi che non in tutte le situazioni poligamiche si aprano tali abissi di sofferenze e turpitudini: oggi molti stati musulmani hanno attenuato certe disposizioni sfavorevoli alle donne, ma di sicuro nelle zone che interpretano in modo rigorista la religione sono fortemente in vigore. Quello che colpisce in questo testo è la forza delle convinzioni della scrittrice espresse in un linguaggio semplice e chiaro, ingenuo a volte, ma privo di retorica e senza scivolamenti in un pietismo di maniera.

Che il libro, con questa tematica, potesse avere successo in Europa, era prevedibile, ma, pubblicato in patria, ha avuto una certa eco anche in Camerun: ovviamente accendendo gli entusiasmi da una parte e generando polemiche e risentimenti dall’altra. Tenendo sempre presente, però, che il mondo occidentale non è tutto rosa e fiori per le donne e per tutti i soggetti fragili: basti pensare, per esempio, all’enorme aumento dei femminicidi in Italia, segno che il patriarcato è duro a morire ovunque.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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