Fiston Mwanza Mujila - La danza del bifolco - a cura di Giulia De Martino

 Fiston Mwanza Mujila 

 La danza del bifolco

 Nottetempo ed. 2021 

  trad. di Camilla Diez

 

Abbiamo già conosciuto l’autore con “Tram 83”, sempre edito dalla stessa casa editrice, che ci presentava un' immaginaria tumultuosa città africana, ricca di vita, crimini, corruzione, creatività e sogni, in cui non era difficile scorgere la realtà delle grandi città congolesi della Repubblica democratica del Congo. Trapiantato a Graz, in Austria, la sua ispirazione lo porta sempre al suo paese, seguendolo anche nei vari cambi di denominazione da Congo belga a Zaire e infine a Congo democratico.

Nella “Danza del bifolco” la realtà immaginaria si fa precisa, storica, l’ambientazione si colloca tra gli anni ‘80-’90, seguendo gli eventi della caduta di Mobutu, delle guerre civili, dei traffici leciti e illeciti con l’Angola, dapprima quello portoghese, poi quello dei ribelli vincitori.

La vicenda si svolge prevalentemente a Lubumbashi, città del sud-ovest katanghese, dove l’autore è nato e vissuto e in parte a Lunda Norte, città angolana al confine con il Congo e zona mineraria, al centro di traffici di diamanti, dove molti congolesi emigrarono in cerca del colpo di fortuna che avrebbe dovuto renderli ricchi; questo succede perché, pur essendo il Congo ricco di miniere, compresi i diamanti, come nel Katanga, la situazione traballante e in subbuglio dell’Angola offre maggiori opportunità a chi ci sa fare.

In mezzo a questa girandola vorticosa di eventi politico-bellici, la vita della città si stringe intorno alla Piazza della Posta e al locale “Il Mambo”, dove sono famosi i momenti in cui si scatena la sensuale e frenetica“ rumba del bifolco”, tradizionale danza che appassiona gli abitanti della città fino allo spasimo: vi concorrono fiumi di birra e marijuana, provette e fascinose prostitute in cerca di clienti danarosi, ladruncoli che approfittano danzando dell’estasi dei ballerini, studenti adolescenti in piena tempesta ormonale, uomini d’affari in vena di togliersi di dosso “la fatica” di fare soldi, poveri cristi che cercano sollievo ai tormenti quotidiani. Non mancano neanche i matti e le spie governative. Non c’è bambino di strada che non abbia al suo attivo parecchie serate al “Mambo”…

Ma la vita ‘democratica’ al Mambo cesserà con i nuovi vincitori post Mobutu: i ribelli finiranno per rivelarsi peggio dei precedenti e al locale accederanno solo i nuovi ricchi che, profittando delle guerre civili, hanno fatto soldi a palate, allargandosi anche ad un circuito internazionale.

Da filo conduttore fanno le vite di alcuni ragazzi di strada, ma la trama è a balzelloni, con ritorni e fughe tra altri personaggi e storie: come è stato notato, l’andamento narrativo presenta delle consonanze con il free jazz, in particolar modo quello di John Coltrane, di cui segue la frammentazione e la irregolarità ritmica. A turno i personaggi esplodono in un assolo, per ricomporsi poi assieme proprio come i jazzisti anni ‘60.

I ragazzi di strada esercitano svariati mestieri e provengono da ambienti diversi, alcuni dai sobborghi poveri di Kamalondo, spesso cacciati dalle loro stesse case, altri da ambienti borghesi, ribelli alle aspettative conformistiche nei loro confronti da parte delle famiglie.

Formano un esercito di lustrascarpe, ladruncoli, venditori ambulanti di buste, scarpe di seconda mano ( o secondo piede come sottolinea l’autore…) detective al soldo di mariti cornuti o mogli gelose, all’occorrenza anche di spie governative, sniffatori di colla e fumatori di ‘diamba’. Sempre in lotta tra bande per la tenuta del proprio territorio o per conservare la leadership all’interno del gruppo, o in scaramucce con le forze dell’ordine, che però possono sempre rabbonire se hanno qualche spicciolo in tasca. Quando arriveranno le forze ribelli a cacciare il dittatore, si accorgono che molti drappelli sono composti da bambini soldato: per un po’ questi, allevati in Angola a comunismo e probità no drugs no alcol, faranno guerra ai ragazzi di strada, poi cederanno ai vantaggi della vita piacevole fatta di droga, sesso e rumba, faranno volare aquiloni , giocheranno a pallone o all’hula hoop, cercando di recuperare l’infanzia che non hanno mai avuto. Al contrario molti dei frequentatori della Piazza della Posta si chiederanno se non sia meglio arruolarsi per avere a disposizione un pasto caldo e delle armi vere e, chissà, la possibilità di fare carriera.

Non è facile riassumere le vicende di Molakisi, destinato da ragazzo di strada e poi minatore a diventare il capo di una potente e truffaldina chiesa del risveglio, o di N’gungi e Sanza, caduti nella rete del Signor Guillaume, personaggio dalla doppia vita, in realtà organizzatore dello spionaggio di Mobutu per reprimere qualsiasi forma di dissenso; detto il Samaritano perché aiuta allo scopo di cercare dei collaboratori tra i poveracci, i deboli e i ragazzini. Ma il Samaritano, uomo colto, oltreché spione, è anche responsabile della iniziazione di Sanza alla letteratura africana emergente e a quella europea.

Altri due personaggi spiccano nella congerie di volti e nomi che fluttuano nel romanzo: quello di Tshiamuena e di Herr Baumgartner. La prima è una figura di donna speciale, ritratta con le pennellate del mito e della magia, detta la Madonna delle miniere del Cafunfo e patrona di tutti i cercatori e minatori congolesi espatriati in Angola, divenuto un paradiso, negli anni ‘70, per gli zairesi avventurosi. Conoscitrice di tutti gli intrallazzi tra Zaire e Angola al tempo delle guerre civili, plurisposata con angolani per avere sempre i documenti di soggiorno in regola, contemporaneamente vaticinatrice, narratrice storica e dei miti ancestrali, guaritrice e splendida cuoca. Materna e vendicativa ad un tempo come le grandi dee madri.

Herr Fritz Baumgartner è uno strano scrittore austriaco, sempre in cerca di materiale per un romanzo che non scrive mai e che si fa pagare, spiantato com’è, dalle persone reali, desiderose di entrare come personaggi nel suo libro. Innamorato della cultura congolese, di una prostituta detta la Covatrice ( che diventa la sua donna) e della Rumba del Bifolco, per la quale va matto, finisce per immischiarsi nella politica di opposizione e per assumere la cittadinanza congolese. Forse un alter ego dello scrittore che fa il cammino inverso dell’autore dall’Europa all’Africa.

Una sarabanda pazzesca che ci fa girare la testa proprio come la rumba, scritta in modo scoppiettante e caotico, ma che ci immette in un universo a noi sconosciuto. Un linguaggio simile a certa cinematografia africana attuale, realistica e visionaria ad un tempo.

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