Mohamed Maalel - Baba - recensione a cura di Giulia De Martino

 

 

 

 

 

Mohamed Maalel

Baba

Accento, 2023

 

Quando muore suo padre, il giornalista italo-tunisino Maalel, che scrive per il Giornale di Sicilia, si decide a narrare la storia di Ahmed, ispirata alla sua stessa vita e al complesso rapporto con il genitore. In realtà, confessa alla fine del romanzo, avrebbe voluto scrivergli una lettera per riscattare tutto quello che non aveva funzionato tra loro e gli ha, invece, dedicato una storia.

Una storia che ha molteplici piani narrativi: il primo è un dialogo costante con il padre, ricoverato per gravi motivi di complicanze diabetiche in ospedale, fatto di poche parole che viaggiano dapprima sull’onda della speranza e via via si intridono del sentore della morte vicina. Da questo piano del presente scaturiscono i ricordi del passato: l’infanzia e l’adolescenza del giovane Ahmed, trascorsa nel paese natale della madre ad Andria in Puglia, dove Taoufik, il padre immigrato dalla Tunisia, aveva trovato lavoro; la vita condivisa con la famiglia materna, guidata da una matriarca, nonna Raffaella, avvolta sempre in una nube di sontuosi fritti, composta di numerose zie e cugini, curati tutti con orecchiette e cime di rapa, lasagne e capitoni natalizi.

Ma dell’infanzia fa parte anche la rievocazione dei viaggi in Tunisia durante le ferie del padre, mal tollerati dalla moglie, perché comportavano debiti per l’acquisto di regali ai parenti e perché doveva vestirsi in modo più coperto e condividere la cucina con vivande del tutto prive di quel maiale che costituiva il cibo preferito di Ahmed, suo fratello Selem e tutta la banda del parentame pugliese, solito contrabbandare il suino per tacchino o pollo per non questionare con Taoufik.

La madre Paola tuttavia si appassiona alla cucina locale , tanto che suo marito predilige, fra tutti, il couscous della moglie. Le ricette che circolano di cucina pugliese e tunisina riempiono di odori sontuosi il romanzo. In Tunisia, il piccolo Ahmed che ama andare nel paese di suo padre, non ha per niente una buona impressione del nonno paterno, anaffettivo e burbero, ma trova un qualche legame con zii e cugini, anche se nel buio della lingua araba.

Non è facile per il ragazzino giostrarsi con tutte queste identità culturali, religiose e anche gastronomiche. Il padre cerca di avviarlo alla religione islamica con una certa insistente serietà: il figlio maggiore Selem gli sfugge e per questo il padre lo picchia, la moglie Paola è disponibile solo ad un islam di facciata, niente rossetto e trucco agli occhi o vestiti appariscenti quando esce con lui, altrimenti sono sonori schiaffi in faccia. Taoufik non è un integralista, è solo cresciuto in una zona rurale e poverissima, dove le tradizioni sono le uniche cose possedute insieme alla miseria e alla fame, ma questo il lettore lo apprende molto avanti nella storia, quando ormai è in pieno sviluppo il filone non solo della identità etnica, ma anche  sessuale del giovane protagonista.

Religione e sesso si intrecciano nella crescita di Ahmed: è disponibile all’ascolto degli insegnamenti islamici del padre e questi lo ripaga con un affetto e una predilezione speciali che si manifesta attraverso colazioni e merende al bar a base di dolci e cioccolata, anche se il ragazzino volentieri pecca con la madre e il fratello mangiando prosciutto e pancetta…La svolta viene quando il padre si accorge di una predilezione del figlio per il colore rosa, per le barbie di una sua cugina, per i cartoni animati o le canzoncine considerati da femmina. Infuriato lo iscrive alla scuola coranica della moschea dove gli vengono inculcati concetti retrogradi da un imam zotico e un po’ ignorante. L’evoluzione della presa di coscienza della sua identità sessuale subisce una battuta d’arresto: tenta di innamorarsi di molte compagne alle medie e alla scuola superiore per avere una vita normale e trovarsi una ragazza per fare contento il padre è il suo imperativo per molto tempo.

Quando ha la sua prima storia omosessuale vera si arrende all’evidenza e rivolge tutto il suo risentimento, per ciò che ha dovuto subire, verso il padre. Il rapporto diventa estremamente ambiguo: come si fa ad amare un padre che non sa frenare la sua rabbia nei confronti della moglie, che è violento e autoritario, e tuttavia è capace di grandi gesti di tenerezza e affetto sia verso Paola e Ahmed sia verso la famiglia pugliese acquisita? Nonna Raffaella e Taoufik hanno entrambi una maniera primitiva di conquistarsi l’affetto attraverso il cibo: alla morte del genero, la suocera che ostinatamente lo ha sempre chiamato Martino, giudicando impronunciabile il suo nome arabo, si chiede disperata per chi dovrà d’ora in poi cucinare i suoi manicaretti pugliesi…

I due fratelli trovano entrambi la loro strada attraverso l’allontanamento e l’indipendenza tramite il lavoro. Fino all’ultimo Ahmed non troverà il coraggio di rivelare la sua identità sessuale, ormai maturamente acquisita, riuscendo invece a manifestarla al fratello e alla madre.

La Tunisia, tanto amata prima, con la svolta autoritaria e tradizionalista seguita alla primavera araba, viene giudicata non solo con gli occhi nostalgici del padre che se l’era dovuta strappare dal cuore emigrando, ma con lo sguardo disincantato dell’adulto che sa che i cambiamenti, se ci saranno, saranno lenti e imprevedibili.

Tunisino, italiano, pugliese, omosessuale, couscous e orecchiette: un mix di esperienze di cui l’autore va fiero. E si rivelano anche nelle scelte linguistiche del romanzo, restituendoci la parlata tunisino-andriese del padre e l’invenzione da parte del bambino di un arabo inventato dato che quello reale non riusciva ad impararlo se non in modo elementare, soprattutto quando Ahmed si accorge che il genitore parlava solo il dialetto tunisino e non l’arabo con cui ci s’intende anche con un egiziano o un marocchino.

Avendo ormai letto molti testi di italiani di ascendenza araba o africana, possiamo dire che questo romanzo si fa leggere molto volentieri per l’humor che vi circola, per la distanza che l’autore sa mettere tra le sue esperienze più tribolate e la trasmissione al lettore di questa mescolanza in cui è vissuto e in cui è diventato l’uomo che è ora, per la comprensione, priva però di giustificazione, per un padre difficile e violento, vittima di un maschilismo e di un concetto di virilità ereditato da una catena di padri.

 

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