Mohamed Mbougar Saar -La più recondita memoria degli uomini - recensione a cura di Giulia De Martino

 

 

 

 

 

 

 Mohamed Mbougar Saar

 La più recondita memoria degli uomini

 Edizioni e/o, 2022

 Traduzione di Alberto Bracci Testasecca

 

Non è facile parlare di questo romanzo e non solo perché è provvisto di più di 400 pagine, ma perché l’autore senegalese da noi già recensito per Terra violata del 2019, ci propone un romanzo- mondo con una moltitudine di personaggi, situazioni, memorie storiche e situazioni attuali, temi, suggestioni e confronti letterari, salti temporali che toglie quasi il respiro al lettore…

La trama. Un giovane scrittore senegalese, Diégane Latyr Faye,nel 2018, viene in possesso di una copia di un mitico libro scritto nel 1938, pubblicato da un editore ebreo, di un misterioso senegalese, T.C.Limane, scomparso poi dalla scena letteraria, dopo varie vicissitudini critiche che vanno dal “finalmente un Rimbaud negro” alle accuse più violente e razziste di plagiario: certo, la temperie culturale del tempo non poteva ammettere che un africano potesse scrivere come un francese.

Siamo in piena epoca coloniale e sebbene Parigi si collochi negli anni ’20-30 come il centro delle novità artistico-letterarie europee, per l’accademia francese è dura da digerire la possibilità di una invenzione originale da parte di un colonizzato, sia pure linguisticamente esprimentesi in un buon francese. Il tutto viene annoverato come un grandioso successo del sistema scolastico francese, sottolineato proprio da certe frange dell’ambiente accademico.

Il lettore, prima di procedere nella lettura, deve far caso alla dedica dell'autore a Yambo Ouologuem e alla citazione tratta da I detective selvaggi dello scrittore cileno Roberto Bolano… (e qui comincia la frenetica e compulsiva ricerca in internet delle informazioni sui molti dei personaggi che compaiono nel testo). Yambo Ouologuem: si tratta di uno scrittore reale o esce dalla penna dell’autore? In realtà è un omaggio alla triste parabola discendente di un vero scrittore maliano, primo africano ad essere insignito in Francia di un premio letterario e poi seppellito da un cumulo di critiche e accuse di plagio, tanto da farlo ritirare in Mali a non scrivere mai più un rigo. Quanto a Bolano, la citazione e le caratteristiche dello scrittore e poeta cileno, ci fanno intravedere a quale orizzonte dobbiamo ascrivere il romanzo di Mbougar Sarr : fantasia sfrenata nutrita da tutte le letture precedenti, dissacrazione e umorismo e tante riflessioni sulla letteratura. Tra queste ultime emergono: perché si sente il bisogno di scrivere? e quale è il ruolo dello scrittore? e quello degli scrittori che ci hanno preceduto?

Tornando al romanzo, il protagonista racconta come nasce la sua ossessione per T.C.Limane, autore de Il labirinto del disumano, conosciuto in un trafiletto di una antologia durante gli anni del liceo a Dakar, maturata negli anni parigini, nella prima metà degli anni 2000, e conclusasi durante un ritorno nel suo paese dopo 4 anni di assenza.

E’ stata la scrittrice Marème Siga D. sua compatriota, ormai sessantenne, famosa per dei celebri e osannati testi scritti senza peli sulla lingua, spesso a sfondo erotico (e perciò radiata dall’ambiente letterario e sociale di Dakar) incontrata per caso in un caffè parigino, a rinforzare la voglia di sapere tutto su Limane uomo e scrittore. Diégane intreccia un rapporto erotico ed intellettuale con questa donna che verrà indicata con la dicitura “ragno madre”: il protagonista intuisce in lei la conoscenza di profondi segreti circa la vita di Limane che la scrittrice gli rivelerà tra Parigi e Amsterdam, dove ormai abita. Soprattutto la donna gli mette in mano una copia de Il labirinto del disumano di cui lui conosceva solo l’incipit, miracolosamente ritrovato nelle sue ricerche d’archivio. Perché lei ne possiede una copia? La lettura e rilettura compulsiva di questo testo trasporta Diégane in una sorta di distacco dalla vita reale, come se la conoscenza delle circostanze della vita di Limane fosse per lui una questione di vita o di morte o dipendesse dal suo esempio la strada da percorrere come scrittore e come uomo. L’autore costruisce una sorta di giallo letterario con tanto di indagini, interrogatori di testimoni, analisi delle tracce.

Praticamente Diégane diffonde la lettura di questo testo nel gruppo di coinquilini, amici, colleghi e donne di cui si innamora, con cui divide la sua bohème parigina, fatta di discussioni feroci, bevute colossali, condivisioni critiche, un po’ di sigarette ‘speciali’ e tanto, tanto sesso. Qui, tra i nomi dei colleghi scrittori e traduttori, intellettuali e filosofi, giornaliste fotoreporter, proviamo ancora la vertigine di verificare in internet se sono personaggi veri, dato che vengono mescolati insieme a Gombrowicz o ad altri autori reali. Comunque in queste biografie finte, accurate e plausibili, ci si può divertire a riconoscere l’allusione a qualche scrittore africano delle nuove generazioni.

Apprendiamo da frammenti del testo di Limane, da pagine di diario, vecchi articoli di giornali e interviste, da confidenze di personaggi che hanno solo conosciuto Limane o contratto con lui rapporti più duraturi, come per esempio una poetessa haitiana, amica e benefattrice di Siga, in che modo e in quali tempi abbia percorso in lungo e in largo l’Europa e l’America latina, fino in Argentina. In questo paese ha vissuto per un po’ frequentando l’ambiente degli intellettuali come le sorelle Silvina e Victoria Ocampo, Ernesto Sabato e ancora Gombrowicz, trasferitosi laggiù. Cosa cercava nei suoi misteriosi viaggi? Nessuno sembra saperlo, anche i più intimi.

In questo modo il nostro scrittore ci pone di fronte a eventi quali il colonialismo, il nazifascismo e i campi dello sterminio ebraico, la seconda guerra mondiale e la resistenza, e anche la dittatura argentina in cui alcuni di questi personaggi si imbattono. Anzi, fa dello scomparso Assane, padre di Limane, il prototipo alla Fanon del colonizzato: innamorato della lingua, cultura, storia francese, soggiogato fino a combattere volontariamente per la Francia, mette da parte le origini e la sua cultura, la donna che amava e il figlio con lei concepito, abbandonando lei ad una delirante follia progressiva e Limane ad una continua ricerca della tomba di suo padre.

Siamo in presenza di un continuo scambio tra vita e letteratura, riflessioni sulla letteratura che crea la vita e viceversa. Questo è il vizio dello scrittore, ricorda Siga a Diégane: ”Ecco il tuo errore. Ecco l’errore di tutti quelli come te. Voi credete che la letteratura corregga la vita o la completi o la sostituisca, ma è sbagliato. Gli scrittori, e ne ho conosciuti parecchi, sono sempre stati tra gli amanti più mediocri che mi sia capitato d’incontrare. E sai perché? Perché mentre fanno l’amore pensano già alla scena che quell’esperienza diventerà. Ogni loro carezza è guastata da ciò che la loro immaginazione ne fa o ne farà, ogni loro colpo di reni è indebolito da una frase. Se dico qualcosa durante l’amore mi pare quasi di sentire i loro 'mormorò lei'. Vivono in capitoli. Le loro parole sono precedute da ‘virgolette’ “.

Non si pensi ad un testo noiosamente filosofico, c’è tanta ironia e anche sarcasmo soprattutto quando delinea l’ambiente degli scrittori africani in Francia, quello dei critici e degli accademici, sempre divisi nei giudizi sugli scrittori africani “troppo poco africani” o “troppo africani” fino a costringere mentalmente questi autori a scrivere quello che gli europei vogliono sentir dire. Ma anche gli scrittori africani non riescono a prescindere dalla consacrazione di un libro in terra francese, persino quelli che criticano tutto ciò. Del resto Diégane ha scritto e pubblicato giovanissimo un romanzo di cui l’ambiente artistico del Senegal si accorge solo dopo che qualche critico francese ha annoverato l’autore tra le speranze africane delle nuove generazioni. Proprio per questo il giovane autore non si riconosce più in quell’opera e insegue Limane per trarne una nuova frontiera di scrittura. Diégane ricorda come ancora aleggi in Senegal la négritude e la poesia di Senghor, diventato un laccio al piede dei giovani autori.

Critica e dannazione sono le due facce della stessa medaglia: allontanarsi dalla critica francese con sdegno in nome di una presunta libertà di scrivere ognuno come, dove e di cosa gli pare (indicativa la frase riassunta dall’espressione “dopotutto siamo cittadini del mondo” evocata da molti) e nello stesso tempo, sotto sotto ambire al riconoscimento e alla consacrazione francese che apre le porte delle traduzioni nel resto del mondo.

Ad un certo punto il romanzo ha una svolta, abbandona l’Europa e la sua cultura e torna in Africa, attraverso il protagonista che vuole recarsi nel villaggio natale di T.C.Limane. Ormai Diégane ha appreso la parte africana della storia dello scrittore, addirittura il particolare che Siga è sua cugina: suo padre aveva allevato Limane dopo la scomparsa del padre Assane ; le sue mogli, di cui solo una era ancora viva, potevano raccontargli ancora qualcosa di prezioso.

Mbougar Saar non resiste alla tentazione di infilarci anche un pezzo recente di storia senegalese: arriva a Dakar, senza dir niente alla famiglia, proprio quando il paese è in profonda emozione per il suicidio di una ragazza perseguitata dalla famiglia e dal vicinato perché incinta fuori del matrimonio. Si susseguono manifestazioni e prese di posizione, a somiglianza delle cosiddette primavere arabe. Diégane si mostra disilluso circa la possibilità del Senegal di cambiare veramente, se non si smontano in modo definitivo e serio le pastoie dei partiti e delle classi dirigenti.

Ma lui deve compiere l’ultimo passo per la conoscenza integrale di Limane: apprende del suo ritorno al villaggio e la sua trasformazione in guaritore e santone, come lo zio che lo aveva cresciuto.

Dunque il ritorno all’Africa passa per la cancellazione della memoria e l’immersione nel magico, nell’invisibile e nel contatto con la natura. La disillusione di Limane lo consegna all’arcaicità della tradizione e il risultato per Diégane è amaro: gli vengono consegnati un abbozzo di nuovo romanzo e alcune pagine di un nero taccuino, da cui sperava mirabolanti sorprese letterarie. Illeggibili e stantii. Finiscono nelle acque di un fiume che passa per il villaggio.

Non resta che l’ultimo atto per Diégane: non fermarsi nel suo paese. Lui cresciuto nella cultura tradizionale degli spiriti e della fede nell’invisibile (il romanzo è disseminato di spiriti e fantasmi che appaiono e scompaiono) non ha problemi con questo, ma la sua strada è un’altra.

Trovare il suo modo di stare al mondo, con una fede profonda nella letteratura, che forse non salva il mondo ma può  placare l'angoscia, “l’angoscia di non trovare niente, e non lasciare niente e, in fondo, critichiamo noi stessi, esprimiamo il timore di non essere all’altezza, perché ci sentiamo in una caverna senza uscita e abbiamo paura di morirci dentro come topi”.

Testo enormemente brillante e intelligente dove volentieri ci siamo persi per ritrovarci.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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