Paolo Borruso- Debre Libanos - a cura di Giulia De Martino

 

 

  

  Paolo Borruso

  Debre Libanos 1937

  Il più grave crimine di guerra dell’Italia

  Editori Laterza, 2020

 

In genere non abbiamo mai presentato libri storici veri e propri, ma questa volta il tema trattato e l’ampia e documentata ricostruzione storica ci inducono a farlo. Il libro di Borruso scava su un evento storico su cui era stato fatto cadere l’oblio: il più grave massacro di cristiani avvenuto nel 1937 nei monasteri etiopici di Debre Libanos e dintorni, ad opera dell’esercito italiano, formato in gran parte da soldati e ufficiali cattolici di un paese che, nel 1929, aveva riaffermato la sua cattolicità con i Patti Lateranensi. Andrea Riccardi nella vibrante e appassionata prefazione parla a ragione di nuovi martiri cristiani del Novecento.

Graziani parlò di connivenze con la resistenza armata etiopica, non meglio identificate, da parte del clero, ma nelle barbare uccisioni furono coinvolti pellegrini, studenti, contadini e vicini di agglomerati dei dintorni, uomini, donne, bambini. E’ evidente che molti facenti parte del clero si avvicinassero alla resistenza, come l’Abuna Petros, fucilato nel ‘36, per aver preso pubblicamente posizione contro il colonialismo italiano, dati i legami tra identità nazionale e identità religiosa, in un paese che non conosceva la distinzione tra stato e chiesa. Ma le proporzioni del massacro, intorno alle 2000 persone circa, superano la semplice reazione ad un attentato. Bisognava cancellare la memoria, fiaccare la volontà di resistere di un popolo, renderlo privo di storia e di passato.

Per inquadrare l’eccidio, avvenuto dopo l’attentato fallito al viceré di Etiopia Rodolfo Graziani il 19 febbraio 1937, lo storico parte dall’aggressione di Mussolini al regno di Hailé Selassié, membro di diritto della Società delle Nazioni. Per la necessità del duce di ingraziarsi il beneplacito della Francia e dell’Inghilterra, si andava giustificando la guerra come un tentativo di liberare dalla schiavitù, dalla povertà, da superstizioni arcaiche la popolazione, vittima di un sistema feudale e di un credo religioso praticato da un clero ignorante ed eretico. Ci fu qualche reazione dell’opinione pubblica mondiale di fronte all’aggressione del 1936, rinforzata dalle vigorose rimostranze del negus alla Società delle Nazioni, costretto a riparare in Gran Bretagna, ma a parte le sanzioni comminate all’Italia, che non servirono granché, tutto camminò a rilento. Venti di guerra cominciavano a profilarsi e non si voleva far cadere Mussolini in braccio ad Hitler, quindi per ragioni di opportunità si procedette con cautela. Dopotutto Francia e Inghilterra, votate all’antifascismo e pronte a schierarsi contro la Germania nazista,  erano pur sempre delle potenze coloniali imperialiste…

A questo punto l’analisi di Borruso si fa particolarmente attenta e approfondita: per realizzare i suoi scopi Mussolini ha bisogno del consenso della chiesa cattolica all’impresa. Qui non si trattava di attaccare delle tribù sconosciute e piegare degli idolatri o dei musulmani  alla conversione cristiana: l’Etiopia era il più antico stato cristiano in Africa, avendo abbracciato la religione  fin dal IV secolo. Dunque un cristianesimo non di importazione europea, come in altre zone dell’Africa, ma di provenienza mediorientale,che formava un tutt’uno con la monarchia, il clero e la popolazione. L’Etiopia formava uno stato politico, una identità nazionale a tutti gli effetti e dunque si doveva trovare una soluzione per non creare dubbi tra gli italiani, si doveva sporcare l’immagine di questo antico impero cristiano, presentandolo come scismatico ed eretico, avendo rifiutato il cristianesimo del concilio di Calcedonia del 451, seguito da cattolici, protestanti ed ortodossi. Dipendenti dal patriarcato di Alessandria, i copti etiopi erano di fatto pressoché indipendenti , soprattutto con Hailé Selassié, fino a diventare una chiesa acefala, in seguito al ritorno dell’imperatore dopo la II guerra mondiale.

La chiesa cattolica, con le sue gerarchie, le sue riviste come Civiltà cattolica, i parroci di paese e di quartiere, di fatto collaborarono ad avvalorare l’immagine degli etiopici come falsi cristiani, imbevuti di antiquate usanze ebraiche, praticanti la circoncisione e attaccati a superstizioni ignoranti. Dunque fu resa facile la connessione della fede cattolica con la civiltà, erede di quella romana, che bisognava portare ai poveri abitanti che non aspettavano altro... Ciò non toglie che parliamo di un paese non ricco, praticamente feudale, il cui clero, spesso povero, non doveva brillare per istruzione, in cui i diritti di molti erano nelle mani dei ras. Questo non giustifica nulla, ovviamente.

Le responsabilità della chiesa sono gravi quanto quelle dello stato italiano: ci furono delle voci cattoliche che si levarono in difesa degli etiopi, ma la ritrovata supremazia concessa alla chiesa cattolica con i Patti, non lasciava spazio. Colpisce l’assenza, negli archivi vaticani e delle congregazioni di missionari cattolici, di una qualsiasi documentazione riguardante le violenze e i soprusi fascisti nei confronti di popolazioni inermi. Sono bellissime le pagine di Borruso dedicate agli intrighi dei gerarchi, di Mussolini, del ministro Lessona, di Graziani e delle gerarchie cattoliche per asservire la chiesa copta alle esigenze dello stato fascista.

Il viceré Graziani, duro, inflessibile e paranoico e il generale Maletti, esecutore materiale delle violenze, sono i grandi protagonisti dell’eccidio dei monaci di Debre Libanos: ancora in ospedale per le ferite riportate nell’attentato, già dava ordini per una repressione senza precedenti. Attaccandosi a prove inconsistenti, mai dimostrate, parlò di un complotto ordito dalla resistenza e dal clero, i cui maggiori responsabili si trovavano, secondo le sue informazioni nel monastero in questione. I due giovani, autori dell’attentato, sarebbero andati a rifugiarsi presso i monaci e questo bastò al generale Graziani per sferrare un attacco non immediato, ma pianificato con cura per produrre il numero maggiore di vittime: si attese la festa di Takla Haymanot, a fine maggio,  che conduceva migliaia di pellegrini ai monasteri, si scelsero i luoghi più idonei e nascosti per il massacro, e tutta l’operazione si svolse a più riprese. I cadaveri non furono mai sepolti e infoibati in dirupi profondi. I sopravvissuti, perché non parlassero furono internati in veri e propri lager, il più famigerato quello di Danane o inviati in campi di concentramento in Italia, insieme agli oppositori. Tuttavia proprio i sopravvissuti che allora erano ragazzi, sono la fonte principale delle testimonianze orali dirette sugli eventi, presenti in numerose interviste  dello storico inglese Ian Campbell, il maggiore studioso dei massacri fascisti in Etiopia e in Libia.

Una parte dello studio di Borruso è dedicata alla sottrazione di beni di proprietà dei monasteri, donazioni degli imperatori e della élite aristocratica del paese, mai restituiti. Qualunque gerarca o addetto militare di rango tornava in Italia con casse piene di “souvenir” etiopici. Del resto basti pensare che la restituzione dell’obelisco di Axum, atto dovuto come prescritto nei trattati di pace post guerra, dal 1947 è stata procrastinata fino al 2005.

Nonostante la visita del presidente Mattarella ad Addis Abeba nel 2016 che ha reso omaggio al sacrario dei combattenti etiopici contro lo stato fascista, non si può parlare di una vera e propria presa di coscienza da parte delle istituzioni e dell’esercito circa gli eventi di Debre Libanos. Lo stesso Mussolini si era reso conto che le azioni  di Graziani non solo non avevano annientato la resistenza ma l’avevano di fatto amplificata, proprio a causa degli eccessi commessi. Infatti sostituì Graziani con Amedeo duca d’Aosta, che con un atteggiamento più conciliante verso il clero e la popolazione cercò di cancellare, senza peraltro riuscirvi, gli eventi descritti.

L’ultima parte, intitolata significativamente “L’oscuramento” e “Traversia di una memoria” analizza i motivi dell’oblio di questi eventi delittuosi, scavati in Italia da pochi storici come Angelo Del Boca e oggi da uno stuolo più nutrito di studiosi.

Si era pensato, alla fine della guerra, a una sorta di Norimberga africana, si raccolsero materiali, ma non se ne fece nulla, principalmente per l’ostruzionismo della Gran Bretagna: Badoglio, uno degli imputati, era troppo importante per gli Alleati, dato che era un leader favorevole a mantenere l’Italia nel campo occidentale nei nuovi scenari della guerra fredda che si profilavano. Inoltre l’Inghilterra fu sempre restia a perseguire crimini commessi contro non europei, considerando gli scheletri che aveva nel suo armadio coloniale…

L’Etiopia smise di pretendere il processo ai criminali di guerra perché la sua attenzione si rivolse soprattutto alla questione dell’annessione dell’Eritrea, che fu risolta dall’Onu nel 1952, lasciando l’Etiopia interamente tesa alla sua ricostruzione e ammodernamento e alla ricostituzione di tutta quella classe politica che era stata eliminata dagli italiani. Il negus, tornato sul trono, si permise di lanciare proclami di pace e conciliazione, chiedendo ai combattenti della resistenza di non prendersela con le proprietà degli italiani e i collaborazionisti e insistendo sulla pacifica convivenza tra cristiani, ebrei e musulmani. Quei musulmani che il regime fascista aveva tentato di coinvolgere contro i cristiani copti, promettendo loro mare e monti. Del resto, per l’eccidio di Debre Libanos, l’esercito si servì copiosamente di ascari eritrei, di musulmani libici e  somali, che si macchiarono di atti brutali incitati proprio all’odio religioso dal regime fascista.

Un testo scorrevole, di cui è impossibile riassumere le diverse indagini, che si fa leggere per la ricchezza bibliografica di riferimento e per la ricostruzione storica prima e dopo l’eccidio di Debre Libanos, rendendo chiaro anche al lettore non esperto entro quali parametri va collocato questo evento.

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