Sabrina Efionayi - Addio, a domani - recensione a cura di Giulia De Martino

 Sabrina Efionayi

 Addio, a domani

 La mia incredibile storia vera

Einaudi, Stile Libero Extra, 2022

 

Torniamo a recensire testi di autori italiani afrodiscendenti, cui siamo contenti di dedicare spazio, perché si tratta di scrittori giovanissimi con idee chiare e solidamente fondate. Non sempre emergono qualità letterarie spiccate ma lasciamo tempo al tempo…

Recentemente alcuni di questi autori sono comparsi non solo nei social media più tipici dei giovani o su youtube, ma in trasmissioni televisive di forte richiamo come Oggi è un altro giorno della Bortone, Le parole di Gramellini o Radici di Demichelis, soprattutto presentando delle storie di grande impatto mediatico: la scrittrice con due mamme, una bianca e una nera, il calciatore sopravvissuto al naufragio del barcone con cui era arrivato, il rapper laureato che non delinque e non si droga ( i loro testi sono recensiti nel nostro sito). Comunque è importante che gli scrittori afrodiscendenti si presentino al grande pubblico televisivo, che magari non frequenta granché i social, perché smuovono argomenti cruciali quali il razzismo, lo ius soli, le aberrazioni delle leggi e della burocrazia in materia di stranieri.

Addio, a domani ci mostra anche una scrittrice in gamba, che ha una consuetudine con la scrittura da quando, quattordicenne, cominciò a scrivere racconti per adolescenti come lei, su Wattpad, una delle più grandi piattaforme di lettura online, facendosi notare da Rizzoli che pubblica tre suoi romanzi young adult.

Ad un certo punto, grazie anche ad una provvidenziale psicoterapia che, come lei stessa ammette, l’ha molto aiutata, capisce che è di sé stessa che vuole parlare, della sua vita, mostrandone aspetti inquietanti che fino ad allora aveva nascosto a tutti, sentendosi pronta ad affrontare il passato di giovane prostituta nigeriana di sua madre, delle vicende che l’hanno legata ad una famiglia napoletana, cui affiderà sua figlia ad appena 11 giorni dalla  nascita, limitandosi a dire il nome: Sabrina. L’infelice ragazza madre andrà, di nascosto della madama, ad allattarla.

La storia di Gladys, sua madre, è quella di tante ragazze, affascinate dai ricchi abiti e accessori di qualche ‘maitresse’: i parenti cedono alle false promesse di mirabolanti lavori in Italia e lasciano partire, contraendo debiti, le giovani, spesso minorenni, destinate, in realtà, a finire per strada a vendere i loro corpi. Madame Joy e il suo uomo hanno messo su un fiorente sfruttamento di donne a Castelvolturno, che ha come base una casetta rossa sulla spiaggia, vicino alla Domiziana.

Il caso vuole che proprio di fronte venga ad abitare una famiglia che si sposta da Secondigliano (quartiere difficile a nord di Napoli) ad una abitazione vicino al mare, provvista anche di giardino: Nando e Maria, i loro figli e un viavai di parenti, soprattutto la zia Antonietta, che diventerà sua madre di fatto, anche in assenza di una adozione legalizzata.

La gravidanza di Gladys disturba gli affari di M.Joy che avverte minacciosamente la ragazza: suo prioritario dovere è di ripianare il debito esorbitante fatto per il viaggio e non allevare un figlio. Figlio nato, se non da un atto d’amore, perlomeno da un momento di serenità avuto con un giovane africano sbandato che faceva il pusher. Picchiata violentemente dalla madama, Gladys chiede alla famiglia di fronte di prendersi sua figlia, che neanche porterà il cognome del padre ma quello di un caritatevole connazionale che si presterà a donare le sue generalità all’anagrafe.

Questo l’antefatto di una vita che scorrerà favorevolmente per la piccola Sabrina, coccolata dal ‘parentado’ napoletano, continuando a chiamare mom la sua madre biologica dirimpettaia e mamma Antonietta che la cura come figlia sua.

I guai cominciano quando, un po’ più grande, dovrà affrontare episodi di razzismo a scuola o per strada, dove da subito sarà percepita come una giovanissima prostituta…L’amore di Antonietta non sarà sufficiente per tenerla al riparo e quando la madre biologica se ne andrà in Toscana per sottrarsi a madame Joy, per molto tempo non saprà più chi è: quando va a Prato e la mamma la porta alla chiesa evangelica, frequentando altri africani capisce che non la considerano una di loro e per i bianchi è troppo nera per essere normale. Cresce timida e riservata, il più possibile invisibile ad un mondo, le cui richieste non è in grado di soddisfare. Anche quando passa le vacanze in Nigeria si sente spaesata, con qualcosa però che la induce ad osservare per capire: non sa ballare come i cugini, tossisce furiosamente ai cibi troppo piccanti, eppure sente che qualcosa li lega. L’unica consolazione è la nonna materna: si comporta tale e quale alla nonna napoletana, entrambe la coccolano e preparano per lei cibi speciali. Si vede che tutte le nonne del mondo sono uguali, conclude Sabrina.

Ad un certo punto la madre, uscita fuori oramai dal giro di prostituzione, le rivela la sua vita passata, le sue angosce e difficoltà, sperando nella comprensione della figlia: ma lei non le ha perdonato quel lungo periodo di tempo in cui è scappata da Joy, lasciandola non da sola, ma solamente con l’altra mamma.

Crescendo continuamente con questo senso di ambivalenza nei suoi confronti, Sabrina per due anni decide di non vedere più la madre, oppressa dalla vergogna per le rivelazioni di Gladys sulla sua vita.

E’ il tempo giusto per riflettere e capire, anche con l’aiuto della psicoterapia: Antonietta la sostiene in questo periodo difficile, rispettando quel muto patto tra madri deciso tanto tempo prima. Non sarà mai del tutto sua questa figlia, ma non pronuncia parole che possano danneggiare definitivamente il rapporto di Sabrina con Gladys.

E allora, Sabrina scrive, finalmente liberata da ansie di cui non conosceva la natura, come un torrente in piena grida l’amore per le sue madri, comincia a combattere ciò che l’ha costretta ad una vita umbratile. Come per tanti giovani nella sua condizione di italiana straniera la letteratura cura, distanzia i problemi e trova la strada della comunicazione che solleva dalla solitudine.

Non si pensi che questo testo valga solo come sfogo: c’è una certa raffinatezza nello scegliere per il racconto della sua vicenda la terza persona, lasciando l’io e il tu verso la madre a cui si rivolge solo in alcuni capitoli, in cui non narra ma riflette. E aggiungiamo la volontà di dispiegare la sua molteplicità culturale attraverso l’uso di intere frasi e conversazioni in inglese senza traduzione. I nigeriani usano spessissimo l’inglese, anche a livello famigliare, modificato nella pronuncia, e insistono perché tutti i loro figli parlino questa lingua. Pure Sabrina lo ha imparato bene, anche se le piace mescolarlo, nel libro, con il dialetto napoletano della sua famiglia italiana. Qua e là timidamente traspare l’edo, la lingua del gruppo etnico di appartenenza di Gladys.

Il testo lancia un ponte aperto alla madre; addio, a domani, cita il titolo che contiene un forse della possibilità di capirsi e di amarsi. Nelle interviste lasciate in occasione della presentazione del suo libro, l’autrice rivela che nel frattempo si è rivista con la madre e faticosamente ma con maggiore chiarezza e volontà di prima ha riallacciato i rapporti con lei.

Ma la sua vita è a Napoli dove frequenta l’università e dove ha scoperto la politica con dei giovani come lei, decisi a lottare contro ogni tipo di discriminazione all’interno di un paese che considerano come il proprio, nonostante tutto…

 

 

 

 

 

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