Nadia Wassef - La libraia del Cairo - recensione a cura di Giulia De Martino

 

Nadia Wassef 

La libraia del Cairo  

Garzanti,2021

Traduzione di Bianca Bernardi

 

Verrebbe da dire ” Uffa…l’ennesimo libro su librai e bibliotecari: ce ne sono in gran quantità, storici, thriller e horror, avventurosi, romantici…Basta scorrere il web per dare una dimensione numerica al fenomeno”.

Tuttavia la Wassef affronta questo testo mescolando la propria storia privata, quella professionale e quella storico-politica dell’Egitto dagli anni ’80 fino ai nostri giorni, creando una miscela esplosiva che comunica entusiasmo e ottimismo. Narrandoci la costruzione di una catena di negozi di libri, la Diwan, senza però nascondere i fallimenti e i passi indietro, le delusioni e i compromessi ci apre uno squarcio sugli ultimi 40 anni di questo paese da Mubarak a Mohammad Morsi, osservato da una intellettuale femminista laica.

Il libro viene scritto a esperienza conclusa, non per rinnegarla ma per sottolinearne la unicità e l’importanza. L’autrice vive ormai a Londra con le sue figlie e ha lasciato il suo piccolo impero nelle mani della sua amica Nihal, cofondatrice dell’etichetta Diwan, che ha trovato altre socie con cui continuare l’impresa. Nadia lascia per logoramento, non perché non ci crede più. I problemi familiari e la situazione che si è venuta a creare in Egitto dopo la sconfitta e la morte di El Morsi le hanno fatto venir voglia di cambiare un po’ ambiente e attività. La primavera araba ha smosso le acque e anche se, oggi, nulla sembra mutato, in lei c’è l’ottimismo di chi non pensa che una rivoluzione si compia in un giorno, ma ha bisogno di tempi lunghi fino a poterne vedere i mutamenti compiuti.

La libertà di pensiero e il rispetto per la cultura arrivano alle sorelle Nadia e Hind da un padre cristiano e una madre musulmana: una famiglia agiata borghese, fondamentalmente laica, nonostante le appartenenze religiose, abituata a discutere di tutto. Le ragazze appartengono a quel genere di giovani che vive in Egitto ma quasi si sente estranea al paese, sentendo un’appartenenza maggiore con la cultura occidentale: del resto i figli di queste famiglie studiano nelle costose scuole straniere private, parlano inglese e francese, viaggiano e non hanno consonanza con la parte piccolo-borghese e proletaria della capitale.

Ma le tre giovani donne, Nadia, Hind e Nihal, hanno in testa uno svecchiamento culturale audace che le costringe a confrontarsi con la storia d’Egitto, con la storia dell’editoria e della vendita del libro, consapevoli comunque che per alcune fasce di popolazione l’acquisto di libri è comunque proibitivo in rapporto ai magri salari percepiti.

L’Egitto possedeva solo librerie statali che vendevano solo quello che faceva passare il governo, dunque vecchie, polverose e poco frequentate. Poi c’erano quelle connesse direttamente alle case editrici, peraltro poco numerose e le piccole librerie rionali che vendevano perlopiù giornali e cancelleria d’ufficio e scolastica.

L’Egitto viveva con la testa rivolta al passato, ma senza conoscere veramente tutto quanto storicamente era accaduto nel suo territorio; la scuola faceva leggere pochi testi letterari arabi, generalmente poetici ma non Le mille e una notte: in occidente è considerato un caposaldo della letteratura orientale, ma peccaminoso e blasfemo per le autorità religiose. Poche erano le traduzioni della grande letteratura mondiale passata e attuale, i libri avevano una qualità scadente di carta e di stampa, mancando di codice ISBN non si potevano redigere classifiche dei libri più venduti: non esisteva l’usanza delle presentazioni dei libri alla presenza dell’autore e le copie firmate. Né tanto meno la presenza annessa alle librerie di caffetterie e luoghi di sosta e di ritrovo, così comuni ormai in occidente.

La rivoluzione di Diwan comincia a fare tutto questo, innescando processi di rinnovamento nell’editoria e nei gusti del pubblico: non si vergognano le nostre libraie di pronunciare la parola marketing, di lusingare i clienti con buste omaggio firmate da una stilista nota, di accoppiare muffin e letteratura. Anche quando scoprono che molte donne cominciano a frequentare più il caffè che la libreria per togliersi di dosso ogni tanto la casalinghitudine da cui sono afflitte, le tre imprenditrici sono contente di offrire luoghi gradevoli e riposanti, sicure che prima o poi saranno contagiate dalla cultura, distogliendole dalle mediocri e ripetitive soap opera televisive e dalle consuetudini patriarcali.

Non ci sono preclusioni per i generi letterari messi in vendita: tutto va bene purché si cominci a leggere, a fidarsi e affidarsi ai libri. C’è spazio per i giovanissimi autori della primavera araba come per i classici della narrativa egiziana, per i libri di auto-aiuto, per le ricette degli chef, per i testi sull’archeologia egiziana, per l’arte islamica e non, per i poeti arabi e anche per Le mille e una notte ( fra molte polemiche…), per le traduzioni di letteratura inglese e americana, per i fumetti e la letteratura infantile, per i grandi classici mondiali.

Proprio il fatto che sono donne aumenta il dileggio e lo scetticismo sulla riuscita dell’impresa: gli stanno addosso islamisti, funzionari censori, invidiosi. Imparano a guidare e non solo a subire i compromessi, consapevoli che il corpo a corpo non giova a nessuno. Imparano a scegliere collaboratori e impiegati, commessi ed autisti: quando sono uomini mal sopportano di essere comandati da donne, ma sanno anche guadagnarsi il plauso di quelli che capiscono il valore di quello che stanno compiendo. Possiedono profili caratteriali diversi, litigano anche furiosamente, ciascuna difendendo le proprie scelte, ma proprio la diversità è un elemento in più per la riuscita, garantendone l’arricchimento continuo. Discutono con garbo con tutti i clienti che hanno da mostrare lamentele sui servizi, accolgono suggerimenti,senza scandalizzarsi mai dell’eccentricità di certe richieste: fanno sentire i lettori importanti e compartecipi del rinnovamento che intendono attuare. Un’unica eccezione fa Nadia: quando sente puzza di islamici, sia pure mascherati, li indirizza con fredda eleganza alla porta…

Nadia lavora fino a notte fonda, non riesce a delegare ad altri nessun compito: tutti sono importanti per lei. Come tutte le donne che lavorano duro deve fare i conti con la famiglia, i partner, la consuetudine domestica. Sbrigativamente ci parla dei suoi mariti, chiamandoli n.1 e n.2: non è perché non li ama, ma perché si logora fino allo stremo nel tentativo di conciliare il tutto. Adora le sue due figlie, ma teme che le rinfaccino di averle trascurate, soprattutto da piccole. Ha una madre tradizionale ma solidale, con cui si conforta nei momenti peggiori. E’ una donna come tutte che ha paura e dubbi, ma in cuor suo sente di avere ragione ad andare avanti.

La Wassef, di libreria in libreria, nel corso degli anni, impara lei stessa a conoscere l’Egitto e i suoi connazionali, finalmente connettendo due parti della sua vita rimaste a lungo separate: la sua educazione familiare, i suoi studi e la realtà del paese.

Come lei stessa conclude, il libro che ha scritto non è solo un inno ai libri, ma una prova d’amore per il suo paese, e un inno alla speranza che si possa cambiare: se tre giovani donne, senza particolari appoggi, sono riuscite a superare pregiudizi, calunnie, a confrontarsi con il potere, a riunire intorno a sé soprattutto giovani che sanno guardare lontano, allora anche l’Egitto può cambiare, a dispetto di quello che appare oggi.

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