Ta-Nehisi Coates
Il messaggio
Einaudi, 2025
traduzione di Norman Gobetti
Dell’autore, considerato uno dei maggiori letterati americani contemporanei, abbiamo recensito il primo romanzo, Il danzatore dell’acqua (2020) dove affronta con originalità una storia di schiavismo; qui lo apprezziamo in qualità di giornalista che approfondisce i fatti storici indagando sulla verità emergente, coinvolgendo anche le sue esperienze e responsabilità in merito.
Afroamericano, dal nome esotico di origine egiziana di cui ci fornisce spiegazione, Ta- Nehisi (Terra dei Neri) ha viaggiato molto e qui si sofferma su alcuni paesi, tra reportage di viaggio e racconto personale: parte da Dakar, sua terra di origine e dedica ampio spazio al suo viaggio in Palestina.
Ciò che colpisce in questo testo è il parallelo che l’autore stabilisce tra la sua storia di afroamericano (dove “le origini degli Stati Uniti vanno individuati non nella Dichiarazione di indipendenza, ma nello schiavismo”, concordando con Nikole Hannah Jones) e quella del conflitto Israele-Palestina di estrema attualità: il suo viaggio si svolge nel maggio 2023, e sappiamo che il conflitto di Gaza ha inizio, e ancora perdura, il 7 ottobre 2023.
Un breve resoconto sui primi tre capitoli del saggio: nel suo viaggio a ritroso a Dakar, parla delle sue origini o meglio dei suoi antenati, confrontandole con la sua vita attuale a Baltimora. La madre con tendenze artistiche, il padre sempre attratto dalla lettura, una volta rimasto disoccupato e già padre di famiglia si iscrive all’Università e consegue la laurea divenendo un bibliotecario ricercatore. Da questo nucleo familiare, la fame di ricerca, di verità ha sempre animato la vita di Ta-Nehise. Come già detto, il suo nome in antico egizio significa “terra dei neri” e si riferisce al regno della Nubia col preciso intento di evocare una civiltà nera, l’essere nati non per essere schiavi ma sovrani. Alla discussione di studiosi intorno al legame dell’Africa nera con l’Egitto, dedica un capitolo, Sui faraoni.
Durante il suo viaggio a Dakar, l’autore ci mette un po’ a sintonizzarsi con il luogo e la gente che lo guarda come “l’americano” alla stregua di come si vede un bianco. Poi un giorno trovandosi di fronte all’Oceano, vedendo l’isola di Gorée, lontano dall’asettico lusso dell’hotel che lo ospitava e scambiando alcune conversazioni con la gente locale, il suo cuore si apre, la mente ritorna alla sua terra, alla sua appartenenza. Si rende conto che “scendendo nel profondo si trova l’umano”, non c’è bisogno di traduzione. La stessa cosa l’ha appresa in molti ambienti dove ha insegnato siano esse biblioteche, prigioni, scuole, università.
Tornando negli USA farà altri incontri nella Carolina del Sud, a Chapin, continuando le sue battaglie per i diritti civili e le potenziali espressioni nella letteratura di questi diritti. Le sue riflessioni sono amare e incisive: “Abbiamo vissuto per tanto tempo sottoposti a una classe di persone che dominava la cultura americana con una croce in fiamme (intende il Ku Klux Klan) che non ci rendiamo nemmeno più conto di cosa significhi essere dominati”. Vivendo a Baltimora, si rende conto a cosa era stato addestrato in quel clima oppressivo della cultura americana e che si era salvato grazie ai libri che i suoi avevano in casa. Tutti quei miti americani fatti di statue e rievocazioni e principi di democrazia “non onoravano un passato ma assassinavano un futuro”.
Lo spazio più ampio del libro è lasciato al viaggio in Palestina intitolato Il sogno colossale. Qui si trova di fronte allo scioccante stato di polizia che separa Israele dalla Palestina. Fin dalla sua prima visita alla Yad Vashen, Ente nazionale per la Memoria della Shoah, di fronte alla memoria dell’olocausto non si capacita di come un popolo vittima dell’oppressione possa essere diventato l’oppressore. Ci sono stati per molto tempo i fautori dei due stati : Gerusalemme ovest, capitale di Israele e Gerusalemme est, capitale dello stato palestinese, ma la cosa non si è mai realizzata.
Coates stabilisce un immediato parallelo con le sue origini: dove erano nati i suoi avi, nessuno di loro era uguale a un qualunque uomo bianco e così Israele si stava rivelando un paese dove nessun palestinese è mai, da nessuna parte, uguale a una qualunque persona ebrea. Ovunque andasse in quella settimana, nei territori occupati a Gerusalemme est, Haifa, dai racconti di palestinesi e anche di israeliani lo Stato aveva un unico messaggio per i palestinesi all’interno dei suoi confini “Meglio che ve ne andiate da un’altra parte”. Può concludere dicendo “La razza è una forma di potere e nulla più”. Il luogo in cui si trova l’autore diventa incarnazione dell’Occidente e delle sue contraddizioni, con le sue pretese di democraticità, il suo fondarsi sullo sfruttamento. Lui nota inoltre una simmetria nelle frasi fatte: chi sostiene che Israele sia l’unica democrazia del Medio Oriente tende a sostenere che gli Stati Uniti siano la più antica democrazia del mondo…
Ci sono tra i testimoni nella sue interviste, anche due israeliani che hanno militato nell’IDF e parlano di arresti, posti di blocco, irruzioni nella case :”erano cresciuti con la convinzione che il popolo ebraico fosse la sola e unica vittima della storia” ma poi si trovano di fronte a una implacabile verità, che vittime e aguzzini si sono sempre scambiati di ruolo. Ma per molti di loro combattere contro gli arabi significa recuperare l’onore perduto per colpa dei nazisti ; la guerra dei 6 giorni nel 1967 “consacrò l’amore marziale degli Stati Uniti per Israele”. Ci sono molti punti di contatto tra i due stati che vengono evidenziati dall’autore. Il “sogno colossale” di cui parlava Theodor Herzl, padre del sionismo, è nato come risposta a un’oppressione che Coates conosce bene nei profeti del nazionalismo nero. Ma Herzl dichiarava in maniera liberale e ipocrita i suoi intenti di espansionismo: “espropriando con gentilezza”.
Inoltre a proposito dei rapporto di Israele con l’Africa, non può fare a meno di ricordare che, tra il 1976 e il 1993, Israele non fu solo alleato del Sudafrica, ma il vero e proprio arsenale dell’apartheid. Tuttavia lo scrittore si trova alle prese con una materia incandescente e non del tutto chiara : “quello che ha letto sulla Palestina somiglia poco a quello che ha conosciuto, l’obiettività si rivela sempre di più una pia illusione”, poi spingendosi ancora più in là afferma che “la Palestina non è casa mia... non basta conoscere le tradizioni, le sue lotte, i suoi popoli”. E conclude dicendo che se i palestinesi devono essere visti davvero, “questo accadrà attraverso storie tessute dalle loro stesse mani, non da quelle dei loro saccheggiatori, e nemmeno da quelle dei loro compagni”.
Ricordiamo che Coates è il teorico del movimento Black lives matter sorto nel 2013 e il messaggio del titolo è quello di rispetto per l’umano che ciascuno di noi dovrebbe trasmettere attraverso la propria attività; la sua in particolare è quella di raccontare, “assillare” con il racconto avendo dentro di sé la fame di chiarezza, di verità, senza dimenticare le parole di un altro grande artista, James Baldwin “la vita vera è quella interiore”.
La necessità di sintesi del testo ci esorta a ricordare che ci sono molti dettagli e racconti al suo interno che offrono numerosi spunti di riflessione e approfondimento.