Victoria Jamieson, Omar Mohamed - Come stelle nel cielo - recensione a cura di Giulia De Martino

 

 

 

Victoria Jamieson,Omar Mohamed

Come stelle nel cielo

Il castoro, 2023

traduzione di Laura Tenorini

 

Vorremmo proporre alla vostra attenzione una graphic novel per ragazzi, patrocinata da Amnesty international, sul tema dei campi profughi e dell'infanzia rubata a dei bambini costretti a fuggire dai loro paesi, dalle case e dagli affetti più cari. Lo facciamo anche perché è un libro gradevole e ben fatto, dal disegno naif ma che non tralascia niente di queste vite, consumate nell'attesa. Il testo che accompagna una grafica semplice ma azzeccata è di un livello e linguaggio adatti anche ad una lettura adulta. Questo libro nasce dalla collaborazione di un assistente sociale di origine somala, Omar Mohamed e di una scrittrice americana per bambini e ragazzi che attraverso il fumetto ha raggiunto notevoli vertici di popolarità e ricevuto numerosi premi del settore.

Omar Mohamed, ormai uomo adulto, sposato con 5 figli, naturalizzato americano rievoca la infanzia sua e di suo fratello minore epilettico con disturbi mentali, scappati, nel 1994, dal loro villaggio in Somalia quando avevano meno di 5 anni, dopo aver visto morire il loro padre: nel momento dell'attacco al villaggio si fugge e basta, così come si è, qualsiasi cosa si stia facendo. Nel parapiglia e nel panico perdono la loro madre e vengono presi in carica da altre persone in fuga che si occupano di loro, seguendo la strada che conduce in Kenya, verso l'enorme e affollato campo profughi di Dadaab. Ci resteranno 15 anni, prima di essere reinsediati negli Stati Uniti nel 2009. Soltanto nel 2014 sono riusciti a rintracciare la madre rimasta in Kenya, che non ha mai smesso di cercarli.

Non è una storia particolare questa: le famiglie separate dalla guerra e dalla fuga precipitosa sono tante, tra i profughi, e non sempre c'è un lieto fine. I tempi lunghissimi di permanenza nei campi sono un altro dato comune a moltissime persone, praticamente prigioniere di mura e recinti, da cui non ci si può allontanare, se non perdendo lo status di rifugiato e i suoi privilegi...

Divisa in capitoli la storia si dipana, narrata in prima persona da un Omar che ne presenta le varie fasi, intervenendo con le sue riflessioni da adulto; le nuvolette del fumetto invece appartengono ai diversi protagonisti di allora. Omar e Hassan prima bambini, poi adolescenti, l'anziana Fatuma, una specie di madre adottiva cui vengono assegnati nel campo, divenuta anche la loro tutrice legale, in quanto bambini senza parenti; e ancora l'amico del cuore Jeri, le compagne di scuola Nimo e Maryam, Susana Martinez, l'assistente sociale che come un angelo custode ha sempre tenuto d'occhio i due fratelli, i maestri e i professori che aprono mondi sconosciuti a ragazzi che hanno visto solo i loro villaggi, gli algidi e impersonali burocrati dell'Onu che riempiono fogli e moduli, incapaci di sorridere (perlomeno così sembra a Omar) e tanti altri personaggi.

I due autori sono concordi nel voler rappresentare la vita quotidiana nel campo con tutti i mille problemi da risolvere ogni giorno, ma anche con le attività normali che contraddistinguono ogni gruppo umano: chi lavora, chi va a scuola, chi fa piccole riparazioni intorno alla casa, chi chiacchiera davanti all'uscio della capanna, chi spettegola e semina maldicenze, chi si occupa di qualche animale, chi va al mercato, chi gioca a pallone, chi mastica khat nascosto da qualche parte. Ma tutti devono alzarsi all'alba per approvigionarsi di acqua, compito riservato in gran parte a donne e bambini, facendo file chilometriche, le stesse che si devono fare quando arrivano le razioni di cibo che non bastano mai.

Le immagini mostrano fame e miseria, ma anche la intraprendenza di chi, arrivato con più mezzi di altri, riesce a metter su un banco di mercato o di riparazioni, di sartoria o altro. In quel campo si arriva, si inventano lavori, ci si sposa, si fanno figli, si muore, aspettando una sistemazione che non arriva mai. Ci sono delle immagini a campo lungo che ci mostrano tutto questo brulichìo di vita.

Omar andrà tardi a scuola, perché impegnato nell'accudimento di Hassan che non parla, si comporta stranamente agli occhi degli altri, perde facilmente l'orientamento o ha gravi crisi che lo lasciano spossato. Gli altri bambini, con l'innocente ferocia degli anni e dell'ignoranza, prendono in giro il piccolo Hassan, derubandolo delle scarpe o della maglietta. Anche perché non c'è molto con cui divertirsi e la noia la fa da padrona, inducendo a comportamenti inappropriati, come piccoli furti o risse.

Ma ad un certo punto Omar comprende che l'istruzione e la conoscenza dell'inglese sono una strada per uscire di lì e allora la persegue ad ogni costo con l'aiuto di Fatuma che si occuperà di suo fratello durante le ore di scuola: oltre le elementari e le medie, cui possono accedere tutti più o meno facilmente, ci sono anche le superiori, cui vengono ammessi perlopiù solo i maschi che superano esami estremamente rigorosi.

Però studiare al campo non è semplice per chi non ha alle spalle una famiglia: occorre, una volta tornati da scuola, lavare i panni per mantenersi decorosi, pulire la tenda, raccogliere la legna, l'acqua, giocare con il fratellino che pronuncia solamente la parola hooyo, mamma in somalo, utilizzandola per le occasioni più diverse. Non c'è elettricità al campo e se si fa tardi non si riesce a studiare al buio: per fortuna l'amico Jeri possiede una lampada e possono leggere insieme fino a tardi. A far da mangiare ci pensa Fatuma, ma spesso c'è solo una tazza di te da bere per ingannare la fame oppure una bella partita a calcio con un pallone di stracci e plastica.

Belle e colorate, ma di un colore triste se così si può dire, le immagini che ritraggono Omar alle prese con il cielo stellato: interroga le stelle per conoscere il suo destino o il perché della sua sorte, ci litiga quando mute brillano senza rispondere sul sospetto che la loro madre li abbia abbandonati, ci si abbandona fiducioso anche quando il buon Dio sembra non rispondere...

Il mito dell'America cresce potente in tutti coloro che aspettano e anche Omar ne viene preso, anche se con fasi alterne, perché a volte l'orizzonte della sua vita sembra chiudersi. Si fa molte domande sulla vita e sulla cultura somala, in particolare nei confronti delle bambine e delle donne. Quando vede la sua amica Maryam, che scrive belle poesie ed è la più brava a scuola, lasciare l'istruzione per sposarsi precocemente resta malissimo, confortato dall'altra compagna Nimo, prototipo della ragazzina che si ribella ed è intenzionata a proseguire la sua strada di autonomia.

C'è ironia e buonumore in questo fumetto non solo tristezza e miseria: gustose prese in giro di persone che si credono chissà chi, volontari e funzionari dell'UHCR, sussiegosi e pomposi, ragazzini prepotenti che si atteggiano a leader. Quando ormai le speranze sono al grado zero, ecco la notizia che i loro nomi sono nel mitico elenco di coloro che saranno reinsediati in un paese occidentale. “Gli Stati Uniti d'America!!!” urla felice Omar ormai maggiorenne: certo la felicità si mescola alla gelosia di chi non si vede scelto, al dolore di lasciare Fatuma e gli amici, ma ormai il destino cambia rotta e Omar non vuole lasciarsi scappare questa fortuna. Così portando con sé il fratello parte, dominato da un senso di colpa, simile a quello dei sopravvissuti ai lager: perché io e non un altro a godere di questa fortuna?

Insediato in America, Omar non dimentica i suoi ex-compagni e vicini di tenda. Negli Stati Uniti studia per diventare proprio quello che ha sempre desiderato: aiutare i rifugiati, in particolare del suo paese, a trovare aiuti, strade da perseguire, a facilitare esistenze duramente provate. Ogni tanto torna al suo vecchio campo in Kenya, dove ha ritrovato finalmente sua madre e Fatuma, per portare tutto ciò che è riuscito a raccogliere in America soprattutto per l'istruzione dei bambini e delle bambine. Non sappiamo se pensa alla sua Somalia, lasciata a 4 anni e in preda ancora a violenze e contrasti.

Un racconto struggente che spiega con semplicità quale sia la vita dei rifugiati, nella maggioranza dei casi, rinchiusi in campi limitrofi ai paesi di origine che hanno lasciato, sempre con la speranza di poter tornare e non in fuga sui barconi come immaginiamo noi a invadere i nostri territori: nessuno sceglie di andar via da casa propria, come dice la poetessa Warsan Shire, a meno che questa non si sia trasformata nella bocca di uno squalo pronto a inghiottire.

 

 

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