
Alaa Faraj
Perché ero ragazzo
Postfazione di Alessandra Sciurba
Sellerio, 2025
Un ragazzo libico di Bengasi, di neanche 20 anni, decide con i suoi due più cari amici, di affidarsi ai barconi che trasportano in mare migranti dalla Libia, fuggendo da un paese in piena guerra civile (siamo nel 2015, post caduta del regime e morte di Gheddafi). La Tripolitania (il cui governo è l'unico riconosciuto dall'ONU con molte contraddizioni) e la Cirenaica si combattono, gruppi di integralisti intervengono sul territorio, la città di Bengasi subisce distruzioni notevoli: scuole e università chiudono, nei quartieri si piangono molti morti. Alaa è una giovane promessa del calcio libico, vuole anche continuare i suoi studi di ingegnere ma, al momento è impossibile: i sogni muoiono.
I libici, generalmente, non diventano migranti sui barconi, in quel momento le condizioni del paese non sono miserevoli, date le ingenti risorse del sottosuolo, gli studi sono garantiti dallo stato in modo quasi del tutto gratuito, ma lo stato di guerra e distruzione impedisce ai ragazzi di continuare ad avere istruzione e anche divertimento: i campi di calcio sono distrutti come le case e le scuole e il sogno di diventare calciatore si allontana. Le vie legali per espatriare in un qualsiasi paese europeo sono tutte chiuse: i tre ragazzi ci provano, anche con il consenso delle famiglie, ottenendo solo rifiuti e perdita di soldi. Suggestionati da un loro amico che si è imbarcato clandestinamente, raggiungendo sano e salvo la meta, decidono di mettersi in contatto coi trafficanti e affrontare il mare, nascondendo la partenza ai propri congiunti, sicuri che verrebbero da loro bloccati.
Questo è l'antefatto di una storia che ci viene narrata dallo stesso protagonista, ma non è un racconto come tanti altri che lo hanno preceduto e che sono stati pubblicati. Siamo di fronte ad una persona straordinaria che ha cercato di trasformare la sua storia in un atto di accusa, senza astio e livore contro le leggi sulla migrazione di cui si è dotata l'Europa e il sistema giuridico italiano che sulla questione agisce in modo contraddittorio, creando una discrepanza molto forte tra legge e giustizia.
Cosa è accaduto dunque a questi giovani? Si sono salvati dalle acque, ma non dai pregiudizi, che li hanno fatti indicare, in quanto libici, una volta salvati e sbarcati, come scafisti e trafficanti, sotto la profonda impressione di quella che è stata chiamata la “strage di ferragosto” : 49 persone sono morte soffocate, essenzialmente asiatici e africani, perché costretti a viaggiare senza aria, acqua e cibo, rinchiusi nella stiva a insaputa degli altri, che forse avevano pagato di più ed erano stati stipati all'aperto. Perfino il modo di vestire all'occidentale, dato che appartenevano a famiglie non povere, è stato chiamato in causa, come anche la gentilezza nel distribuire bottigliette di acqua al resto delle persone: segno inequivocabile che erano in combutta con i trafficanti... Alla conclusione di affrettate indagini, riconoscimenti effettuati da persone in stato di choc, dalla comunanza linguistica che si era osservata tra i giovani in questione e i trafficanti che erano fuggiti su uno scafo dopo la sistemazione dei partenti, (lasciando tutti in balia di un barcone malandato e sovraffollato, con alla guida un giovane nordafricano senza soldi che così si era guadagnato il viaggio), Alaa e gli altri finiscono in carcere e subiscono vari gradi di processo. La sentenza non varia mai: 30 anni. Alaa uscirà nel 2045 e passa dalle aule e dai campi di calcio alle celle di diverse carceri da Caltagirone all' Ucciardone di Palermo. Ma non si dà per vinto; studia, partecipa a tutti i corsi, frequenta persone nuove, si affeziona ad altri detenuti, guardie, a tutti i maestri e professori che si accorgono delle sue qualità notevoli, soprattutto studia e coltiva la lingua e cultura italiana, innamorandosi dell'arte.
La conoscenza di Alessandra Sciurba, docente del compartimento di diritto all'università di Palermo, attivista dei diritti umani, compartecipe di proposte di cultura per i detenuti, rappresenta una svolta, come anche la conoscenza di una avvocatessa agguerrita, Cinzia Pecoraro che prende a cuore la sua sorte: sorte che lei ha visto affidata fino a quel momento ad avvocati d'ufficio e privati rivelatisi impreparati sulla questione dei migranti e non disposti a impegnarsi più di tanto per quelli che, anche ai loro occhi, non erano altro che scafisti. Finito il corso con la Sciurba a cui Alaa aveva partecipato, il ragazzo non ha più occasione di frequentarla e inizia con lei una amicizia epistolare molto toccante: le lettere del giovane (ormai sulla trentina) vengono conservate e trascritte da Alessandra, che ne osserva la sempre più grande padronanza della lingua italiana e lo incoraggia a trarre un libro dalla sua esperienza.
Alaa aveva da tempo cominciato a scrivere su un quadernetto, annotando rimpianti, infelicità, vergogna nei confronti della famiglia, ma anche voglia di riscatto, decisione di accettare il ruolo di detenuto, ma mai quello di un criminale, perché tale non era e non si sentiva, anche se agli occhi dei più era un delinquente. Avere sulle spalle non solo l'imputazione di immigrante clandestino ma anche quella di trafficante di esseri umani, responsabile della morte di tante persone, lo umilia nel profondo, perché contrasta con tutti i principi morali che gli sono stati impartiti nella famiglia e anche dai vicini di quartiere. Quelle annotazioni diventano pagine di un testo più complesso che invia febbrilmente alla Sciurba, finché un editore intelligente come Sellerio decide di pubblicarlo, anche perché il suo caso aveva ormai interessato giornalisti, rubriche televisive, giuristi come Zagrebelsky, l'arcivescovo di Palermo Calogero Loiacono, perfino Don Ciotti di “Libera”, una élite che ancora non ha raggiunto però l'opinione pubblica sulla vicenda di Alaa Faraj.
Nel corso del tempo, dalle lettere si osservano le sue sempre più abili capacità di esprimersi nella nostra lingua: nel libro pubblicato, ricomposto dalla Sciurba dai mille foglietti recapitati da Alaa , nessuna revisione degli errori e si presenta così con un misto di vocaboli ed espressioni un po' auliche e libresche e parole dal sapore naif, dove gli errori di scrittura aggiungono un fascino teneramente poetico alla narrazione e hanno per questo tutta la forza della verità. Non c'è molto tempo per scrivere: sempre occupato in qualche lavoro all'interno del carcere o in qualche corso scolastico, nello studio e negli esami, tuttavia Alaa s'impegna nella scrittura con entusiasmo.
Il testo scorre tra ricordi della vita passata in famiglia, nel quartiere, con gli amici di sempre, con la sua ragazza, nei campi di calcio, a scuola e all'università; sugli squarci del presente buio del 2015, data della sua partenza, ci sono commenti critici sui disastri combinati dal leader diventato dittatore Gheddafi, sulle difficoltà della Libia a percorrere un autentico cammino di democrazia come in Italia, come in tutta Europa, sulla mancanza dei diritti di tutti, delle donne, dei giovani che si vedono depredati dei loro sogni, degli stranieri che vengono a cercare lavoro, ma trovano violenza e sfruttamento. Ma la rabbia cede sempre il posto alla speranza e non solo per la Libia, ma anche per l'Italia e l'Europa tutta che sull'immigrazione stanno compiendo crimini pari a quelli dei trafficanti, da tutti conosciuti e mai veramente sanzionati. Il caso del militare politico affarista trafficante stupratore al-Masri riconsegnato con volo di stato alla Libia dall'Italia, per paura di ritorsioni su accordi gas-petrolio, la dice lunga.
Eppure Alaa ha parole di passione per il nostro paese, lui che ha conosciuto in Italia solo le celle delle prigioni e le aule dei tribunali, ne ama la lingua e la cultura. Non c'è solo un sistema di giustizia traballante, una politica vessatoria nei confronti degli stranieri: Alaa sa quante persone si prodigano per i migranti, quanti li salvano dalle onde, quanti li curano e li sfamano, quanti si occupano dei loro casi giudiziari. Quando all'ultimo appello viene confermata la sentenza dei 30 anni si sente tutta l'impotenza dei giudici nel comminare una pena simile: sapendo che comunque tanti giovani scafisti arrestati, colpevoli o innocenti, sono solo l'ultima ruota del carro, di un sistema perverso di relazioni malsane tra stati, di trafficanti che governano le navi costiere libiche (pagate dall’Italia) di una umanità che ha perso la bussola. Ma i 30 anni restano. La fede e la speranza sono l'unica arma in mano ad Alaa, che di giorno ride e fa l'amabile compagno di cella e di notte si consuma nel pianto, nell'umiliazione e nella vergogna che ha arrecato alla sua amatissima famiglia. Per anni ha rifiutato di far venire in visita la madre, i fratelli e le sorelle, fino a che, durante il covid, con l'uso esteso dello videochiamate, ne ha rivisto i volti fino a decidere di accettarne le visite. La Sciurba gli dice in sostanza : "amico mio , vengono ad onorare non il carcerato ma lo scrittore che sei diventato". Infatti il libro ha avuto molte presentazioni, tra cui una memorabile sul sagrato della Cattedrale di Palermo, con il primo permesso di uscita di 2 ore dopo 10 anni.
Dunque, anche una storia di trasformazione e romanzo di formazione, non proprio conforme alle regole del genere. Il titolo del testo rimanda ad un'espressione ripetuta come un mantra nel libro: ha sbagliato a partire in quel modo dal suo paese “perché ero ragazzo”, e lo dice non solo per giustificarsi e impietosire. Ci sono dei brani in cui viene usata con un procedimento anaforico questa locuzione, con un'efficacia poetica di consumata abilità, infatti ci raggiunge e ci commuove, anche per un altro motivo: quale giovane non nutre sogni di una vita migliore, di una carriera, di una famiglia che formerà, di viaggi favolosi da compiere, di un mondo di giustizia e libertà? Ci richiama ai giovani che siamo stati, abbiamo lottato, forse abbiamo perso, ma non ci siamo persi. Almeno, una parte di noi...
Si era paventata una restituzione di prigionieri libici che avevano avuto espulsione, di cui lui avrebbe potuto approfittare per tornare in patria. Si è parlato di una grazia che potrebbe essere concessa dal Presidente della repubblica. Ha rifiutato tutto, vuole solo avere un giusto processo che lo scagioni dalle accuse infamanti. Un leone indomito, Alaa Faraj, che continua a lottare per la sua dignità di essere umano, senza dimenticare il sorriso, la tenerezza e il senso della bellezza.